Capitolo 37.

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ROMA, 1978.

Ogni singolo momento che Gabriele trascorreva all'interno di quella clinica sembrava bruciare sulla sua pelle, poiché era perfettamente consapevole che ogni momento avrebbe potuto essere l'ultimo.
Difatti, attendeva impazientemente che quella maniglia, dalla quale non riuscì a distogliere lo sguardo, si abbassasse e dietro quella porta aperta si presentasse la propria madre. Questo fu lo stato in cui si ritrovò da quando il giorno prima aveva lasciato la stanza di Lisa ed aveva salutato per sempre Edoardo. Forse si sarebbero rincontrati, forse la vita sarebbe stata così bizzarra da concedere ad entrambi la possibilità di vivere il proprio amore magari in un futuro neppure troppo lontano. Tuttavia, si erano detti addio. Ed era stato così maledettamente sofferente, ma d'altronde chi mai nella vita sarebbe riuscito a pronunciare un addio senza sentire il proprio animo svuotarsi e lasciare un profondo buco nel petto?

Sospirò, accasciandosi sul materasso. Ed ecco, che quel bussare si era presentato alla porta. Sorrise, in un gesto pieno di rammarico. Era davvero pronto a lasciare quel posto? Era davvero pronto a rassegnarsi alla fine della felicità? Si alzò, sentendo il petto pesante ed il corpo, nonostante alcuna ferita, profondamente dolente. Si diresse verso la porta e si preparò mentalmente alle parole ripugnanti che gli sarebbero state rivolte a momenti. Non solo rappresentava il più grande abominio agli occhi della madre, adesso era divenuto anche colui che le aveva disubbidito, colui che aveva messo in vergogna il glorioso nome dei "De Angelis".
La sua mano stinse la maniglia e l'abbassò, aprendo la porta; ma quando i suoi occhi si scontrarono con il volto che si ritrovò davanti, sobbalzò e si ritrasse sorpreso.
<<Io... voglio parlarti.>> la voce di Edoardo fu vacillante, opponendosi a quella serietà impressa sul suo volto.
Gabriele lo scrutò, quasi per capire se non fosse davvero frutto della sua immaginazione. Poi, si guardò intorno intimorito e afferrando il suo polso, spinse Edoardo dentro la propria camera; chiudendo la porta alle proprie spalle, dalla quale non si smosse mantenendo la sua schiena aderente al legno di essa. Non poteva avvicinarsi a lui, non voleva avvicinarsi a lui. Sarebbe significato dire un altro addio, e non avrebbe retto ciò.
<<Perché sei qui?>> domandò Gabriele.
<<Non essere così distante.>> pronunciò Edoardo.
<<Ci eravamo detti addio, perché sei ancora qui? Non è già difficile?>> ci fu della rabbia nelle sue parole.
<<Perché non accetto questo finale.>> Edoardo avanzò verso Gabriele.
<<Non accetto questa cosa. Non posso.>> aggiunse, scuotendo la testa.
<<Ho capito che non si può conoscere l'amore, se si riceve e basta. Si conosce l'amore solo quando si prova. Ed io, ero talmente inconsapevole dell'esistenza di questo sentimento fino a te...>> la mano di Edoardo cinse quella di Gabriele.
<<Tu mi hai fatto provare il vero amore e sono estremamente convinto che questo sentimento si provi solo una volta sola. E magari non avremo un per sempre, ma voglio solo porre un finale migliore a tutto ciò.>> una lacrima solcò il suo volto.
<<Perché te lo devo, perché ce lo dobbiamo.>>
Gabriele percepì le sue gambe talmente molli, da avere difficoltà a reggersi in piedi. Era in completo subbuglio. Non sapeva cosa fare, ritrovandosi in bilico tra il fronteggiare le conseguenze e scappare.
<<Ti prego. Vieni con me, solo per due giorni.>> Edoardo sfilo dalla tasca interna della sua giacca sua biglietti.
Gli occhi di Gabriele si retraessero sorpresi alla dicitura "Roma – Firenze".
<<È una follia.>> disse in un filo di voce.
<<Ne sono consapevole, ma sarebbe la nostra ultima follia.>>
La mano di Edoardo si posò in un delicato gesto sulla guancia di Gabriele, tocco che portò il rosso ad alzare lo sguardo.
<<Ti prego.>> sussurrò Edoardo, ancorando i propri occhi a quelli del ragazzo.
Gabriele strinse forte le labbra e sospirò. La furia dei suoi genitori scaturita da quella fuga, sarebbe stata immaginabile. Ma in quel momento, quel timore divenne talmente sottile da annullare ogni tentativo di riflessione. Avevano bisogno di un finale migliore, meritavano un finale migliore. E così, annuì.

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