Capitolo 33.

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ROMA, 1978.

Le nocche di Edoardo impallidirono tale era la forza con la quale stringeva il manubrio della sua vespa. Le sue ciglia erano divenute pozze d'acqua, tanto da rendere ai suoi occhi ciò che gli era attorno un velo sfocato, in cui erano visibili solo le fitte gocce piovane, cadenti sull'asfalto e illuminate dal fanale della sua vespa. Il suo polso era teso, tenendo l'acceleratore al massimo.

Era notte, le strade erano deserte; ma anche se fosse stata piena ora di punta, non se ne sarebbe curato. Era in uno stato emotivo in cui aveva raggiunto la massima sopportazione. Non poteva più rimanere immobile a non far nulla. Arrivò sotto il balcone di Gabriele e lasciò la vespa cadere, senza badare alla foga del suo gesto.

<<Gabriele.>> il suo richiamo fu un urlo straziato. La pioggia scorreva rovente sul suo volto inclinato verso la finestra della camera del rosso. L'acqua piovana percorreva il suo collo, per poi rendere zuppi i suoi indumenti.
<<Gabriele, io ti prego. Non ce la faccio più a stare.... a stare lontano da te senza una motivazione, senza non aver ricevuto neppur un addio.>> Le mani di Edoardo strinsero forte i suoi capelli biondi e fradici. Il suo petto si innalzava in un andamento fin troppo irregolare.
<<Io... io non posso accettare che tu stia permettendo a tua madre di tenermi lontano. Perché? Perché ami un ragazzo? Sarebbe motivo di odio questo? Dimmelo, mi devi risponde.>> continuò a sbraitare sotto la pioggia.
<<Come puoi permettere ad una persona esattamente uguale a te, con vizi e difetti, fatta di carne e di ossa, un essere umano come te e come me e come tutti, lasciarti giudicare? Lasciare che lei ti ritenga inferiore, anormale? Come puoi? Come puoi permettere questo? Stai solo amando... solo amando.>> Edoardo scosse la testa rammaricato. Morse forte l'interno del suo labbro, strinse gli occhi e abbassò il capo.
<<Non puoi farmi questo, Gabriele.>> pronunciò in un gemito di sofferenza.
<<Hai riempito le mie notti delle nostre parole, ora non puoi abbandonarmi al silenzio.>> puntò nuovamente il suo sguardo verso quel balcone, con la speranza che per un solo attimo avrebbe visto Gabriele; ma così non fu. Sospirò affranto, emettendo un verso di frustrazione. Alzò la sua vespa, la mise in moto e partì, con il cuore stretto in una morsa di profondo dolore.

Proprio quando la figura di Edoardo si allontanava dall'edificio della clinica, una lacrima cadde rumorosamente sul volto candido di Gabriele, la quale rigò la sua guancia e percorse il suo corpo irrigidito sull'uscio della porta finestra. Trattene ancora il fiato, quasi per paura di poter essere udito dal ragazzo che ormai era lontano. Non avrebbe mai avuto la forza di fronteggiare il suo volto sofferente, di rispondere alle sue domande. Rimase così, attaccato al vetro di quella finestra come se fosse l'unico appiglio a cui aggrapparsi pur di non cedere al declino che già era in corso.

Ti chiedo di amare la vita. Where stories live. Discover now