I.JASON

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«HEY, cosa ci fai sveglia?» Jason aprì la porta della propria stanza, e Daphne si fermò nel mezzo del corridoio. Le vide lanciare uno sguardo verso le scale, dove si intravedeva un frammento del cielo notturno. «Non è il tuo turno, dovresti riposare, sei ancora debole»

Lei annuì distrattamente, sospirando e strizzando gli occhi per la stanchezza. Aveva ancora le occhiaie violacee sul volto, i capelli scombussolati e la coperta con cui girava da quando avevano lasciato Roma per ricalibrare la propria temperatura. Jason non aveva ancora avuto l'occasione di chiederle cosa fosse successo, o forse non voleva farlo dato quello che era successo dopo con Percy ed Annabeth, ma sentiva che forse era il momento. «Hai ragione, volevo...volevo solo darti questo» tirò fuori dalla tasca qualcosa che inizialmente Jason, con il semibuio sottocoperta, non riuscì ad identificare. Fece un passo avanti, lasciando il pavimento della propria stanza per incontrare il legno freddo del corridoio, e assottigliando gli occhi il figlio di Giove riconobbe la figura circolare. Un sorriso si fece spazio sul suo volto mentre Daphne gli allungava la statuetta del Colosseo, minuscola e di roccia ma perfettamente intagliata, e una risata roca gli usci dalle labbra. «Non te l'ho dato prima perchè...lo sai, ma non mi sono dimenticata, auguri» Jason prese il regalo tra le mani ruvide, facendolo girare per vederne ogni lato sotto allo sguardo attento della romana.«Grazie» sussurrò, era un semplice gesto ma con tutto quello che era successo negli ultimi giorni, cavolo negli ultimi mesi, Jason si sentì scaldare il cuore. «Non è niente di che-»

«No, sul serio, me lo ricordo» le vide chiudere la bocca istantaneamente, con quello sguardo pieno di aspettative e speranza che non era molto comune da trovare su Daphne Rosier, e Jason le sorrise stringendo la figurina rocciosa nella mano. «Ricordo quando ridevamo dei turisti, e delle statuette, di te e del souvenir di...» Jason corrucciò le sopracciglia, ricordava le loro risate e il modo in cui poi ammisero entrambi che se fossero mai andati in italia avrebbero preso anche loro un piccolo colosseo, ricordava la stanza, nella quinta coorte, e il letto a cui lati erano seduti guardandosi l'un l'altro anche se l'immagine era leggermente sfocata e i suoni lontani. «Las Vegas» completò lei, e lui annuì, alle loro risate si aggiunse il suono della ruota che girava. «La ruota da casinò che usavi per calmarti, il portachiavi» Daphne annuì appoggiandosi alla parete dietro e stringendosi la coperta sulle spalle.

Leo e Nico dovevano essere di sopra, al turno notturno. Mentre Hazel, il coach, Frank e Piper dormivano nelle stanze in fondo al corridoio, tra di loro i dormitori di Annabeth e Percy erano vuoti e riempivano lo spazio necessario per non fargli sentire la loro piccola conversazione notturna, ciononostante lui e Daphne parlavano a bassa voce. «Cosa ti è successo, nel ninfeo?» Jason le chiese, passando il pollice sulle piccole finestre del monumento che teneva tra le mani. Daphne sospirò, fece passare qualche secondo, e poi si arrese. «Mio padre ha messo in dubbio le mie intenzioni, su questa nave, dopo...dopo Charleston, quindi ha deciso di darmi una lezione»

«Che lezione?»

«Non riuscivo a dormire, a ricaricarmi, ero sempre più debole e...e penso che l'acqua fredda del ninfeo sia stata l'ultima goccia» Daphne sbuffò divertita, il senso sadico di suo padre si presentava raramente, ma la sua severità era qualcosa che nemmeno Gea era riuscita a fargli dimenticare. Improvvisamente, il figlio di Giove si sentì ribollire dalla rabbia.«Dovrebbe capirlo, stai facendo la cosa giusta»

«Spero che lo stia capendo» alzò brevemente gli occhi al cielo come se potesse vedere attraverso il soffitto, o in generale. «Ma comunque, ho tradito la legione, sto aiutando dei greci, Jason, la vergogna che Hypnos ha portato su di lui e su di me è qualcosa che lo acceca, e il fatto che ormai sto rimanendo senza essere costretta lo infuria a tal punto che-» Daphne si lasciò scappare una risata, scuotendo la testa. «Sta perdendo la testa»

«Perchè?»

«La sta perdendo e basta, vede cose, tradimenti, come se non stessi vivendo per riabilitare il suo nome da quando quel...greco si è presentato a San Francisco con quel suo ghigno deplorevole l'anno scorso, dalla parte del nemico. Gli dei si credono così in alto» Daphne sospirò, sentiva la rabbia che risaliva nella voce dell'amica. Un tono così famigliare. «Così diversi, così migliori, che qualsiasi cosa tu faccia non sarà mai abbastanza a meno che non l'abbiano pianificata loro stessi, così che possano darti una pacca sulla spalla e prendersi il merito del tuo successo» Jason avrebbe voluto chiederle di smetterla, il modo in cui Daphne smascherava sempre gli dei così apertamente, così ingenuamente, senza curarsi del fatto che la sentissero sempre gli metteva ansia. Ma non poteva, non ci era mai riuscito e di certo non lo avrebbe fatto adesso, dopo che Giunone l'aveva strappato dal campo Giove confermando le ragioni per cui Daphne odiava le divinità. «Stai attenta» la richiamò, e lei sbuffò.

«Ho una sola vita, Jason, non posso sprecarla a stare zitta perchè loro giocheranno con me in qualsiasi caso, non posso...non posso e basta»

«E' che non voglio che ti succeda qualcosa-»

«A te è successo comunque» gli rispose lei, forse fin troppo brusca, ma con la voce comunque spezzata. Jason abbassò lo sguardo, mordendosi l'interno guancia e fissando gli occhi sul piccolo colosseo. «Mi dispiace, per non esserci stato...gli ultimi mesi per te saranno stati...»

«Non è colpa tua» Daphne scosse la testa, come per rimproverare il suo tentativo di scuse. «Sono felice di averti trovato, davvero, scusa per come ho reagito all'inizio»

«Era comprensibile» gli rispose lui, alzando le spalle. Daphne sorrise. «Tu, Jason Grace, sei troppo buono» provò a farlo sembrare un altro rimprovero, ma il sorriso sul suo volto era controproducente. Daphne si diede una leggera spinta e si avvicinò, chiudendo la distanza tra di loro e mettendogli una mano gentile sulla guancia. «Per questo lei ha scelto te» aveva le sopracciglia, ormai bianche, corrucciate, e un'amarezza nel tono che fece stringere il cuore a Jason.

Per quanto il figlio di Giove avesse cercato di darsi delle risposte in quei mesi, specialmente dopo aver scoperto che fosse tutto un piano di Giunone, Daphne aveva ragione. La dea non l'aveva scelto per la sua bravura con la spada, per la sua intelligenza, le sue abilità da leader o cose del genere, l'aveva scelto per la sua lealtà, per la sua bontà, perchè non si sarebbe rivolto contro gli dei nonostante la rabbia di avere la propria vita nascosta o cancellata. Jason non avrebbe reagito come Reyna o Daphne o Dakota avrebbero fatto in quella situazione, non avrebbe rimpianto la propria vita con impazienza e rancore a tal punto da ritorcersi contro le divinità stesse. E nonostante Jason sentisse la rabbia a volte, o frustrazione quando vedeva Daphne e sentiva quell'orribile sensazione di dover sapere qualcosa ma non cosa, non era abbastanza da fargli cambiare lato di guerra.

Ciononostante, non portava rancore o temeva la lealtà dei suoi compagni, perchè la loro sarebbe stata una reazione giustificata, guidata dalla stessa passione che aveva lui, solo che in direzioni diverse, e ciò li rendeva tanto uguali quanto diversi. Jason aveva semplicemente avuto la sfortuna di andare nella direzione che voleva Giunone, e per questo aveva dato le spalle a Daphne.

Quando aprì la bocca, per risponderle o persino chiederle se c'e l'avesse con lui perchè lui non c'e l'aveva con gli dei (o almeno non sempre come lei), la nave tremò e Jason dovette afferrare i gomiti di Daphne per impedirle di cadere. VUna delle porte in fondo al corridoio si aprì per la scossa e i rumori che si sentiva da fuori. «Un'altro» Hazel sbuffò, correndo di fianco a loro verso le scale che davano sul bordo principale.

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VIDI | leo valdezDonde viven las historias. Descúbrelo ahora