CAPITOLO 4 - E LA CENA?

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Restava solo più una questione: la cena di quella sera.
<<Quindi ehm... Che diceva mio padre circa... Stasera?>> Chiesi, tentando di non fargli capire di essere piuttosto curiosa all'idea di dover cenare con lui. O forse mio padre intendeva che lui avrebbe solo dovuto accompagnarmi ovunque io volessi?>>
<<Mh?>> Fece lui alzando di scatto la testa. Sembrava quasi preoccupato per qualcosa. <<Oh, sì,>> fece scuotendo il capo: <<ha detto che non potrete cenare insieme, stasera. Lui cenerà col primo ministro.>>
Ovviamente.
Affari.
O come si dice.
<<Questo lo ricordo, ma... tu sarai... Obbligato a restare?>> Gli chiesi.
Lui storse le sue labbra perfette ed asserì: <<Se vuoi aspetterò in auto. E poi, se vorrai uscire bene, oppure ordiniamo qualcosa a casa. Così inizio a conoscere i negozi da asporto di cui ti servi di solito. Sì, forse credo sarà meglio optare per questa opzione.>>
Scoppiai a ridere: <<L' Alex delle pizze mi sembra piuttosto improbabile come rapitore o assassino.>>
<<Beh, non si sa mai.>> Fece lui irritato.
Mi misi più comoda sullo sgabello imbottito e mi chinai verso di lui. Indossavo il maglione quindi era escluso che potesse vedere la mia scollatura eppure il mio pensiero andò al mio décolleté adesso più in vista e decisamente più vicino, davanti a lui. Non ero molto dotata in quel senso, però... lui forse l'avrebbe notato. Che razza di pensieri mi balenavano in testa!? <<Certo.>> Ammiccai. <<Non si sa mai.>> Feci ritraendomi.
<<Non hai idea di quanti pazzi ci siano al mondo.>> Commentò sorseggiando il thè.
<<Sì, lo immagino.>> Feci, portandomi la tazza alla bocca a mia volta.
<<E tu sei molto bella, per cui...>> Lo guardai da dietro la tazza: <<da ragazzo capisco bene se qualcuno volesse tentare un qualsiasi approccio con te.>> Dischiusi le labbra, e quando il disincanto finì posai la tazza e mi alzai di colpo: <<Bene, io sono di sopra. Se sentirò degli spari sappi che>> ed abbassai la voce: <<nel mio armadio c'è un nascondiglio che si apre schiacciando una password a tre cifre. Quindi ti lascerò solo soletto rischiare la vita per me ed occuparti dei malviventi mentre io andrò ad avvisare la polizia e mi rintanero' lì.>>
<<Sul serio!?>> Fece lui interessato. <<Hai un cavo' in camera tua?! Non me l'avevi detto, questo.>> Fece abbassando la sua tazza.
Io feci spallucce: <<Non me l'hai chiesto.>> Replicai.

Un minuto dopo eravamo in camera mia di sopra. Tenevo lo sportello aperto di quella che era una specie di camera blindata dotata di telefono, ricetrasmittente, acqua e provviste varie. Era piccola ma confortevole. C'erano addirittura dei libri.
<<Però...>> Fece entrando. <<L'intera collezione di Agatha Christie?>> Domandò osservando la piccola libreria di gialli. Era l'edizione uscita un decennio prima, quella con la firma dell'autrice in copertina ed il giallo bello spalmato sopra.
<<Idea di mio padre.>> Feci.
<<La libreria?>> Chiese lui sorridendo divertito.e guardandomi.
Che Dio mi aiuti, che bel sorriso.
E pensare che eravamo soli soletti nella mia camera da letto.
<<Non quella!>> Dissi ridendo avvicinandomi.
<<Però è geniale, una sorta di... cassaforte per libri. Tieni contanti o gioielli, qui dentro?>> Mi chiese.
<<No, tutto quello che ho è qui.>> Feci mostrando un punto luce -regalo di mia madre - che portavo al collo e due anelli al dito medio della mano sinistra. Il primo me l'aveva regalato mio padre, d'oro, con un cuore. Il secondo me l'ero comprato io giusto l'altro giorno per i miei diciotto anni, che avrei compiuto giusto la settimana successiva. A forma di corona e d'argento. Mi ricordava un fantasy che stavo scrivendo. Parlava di una regina per cui trovai simpatica l'idea di averne uno così. Guardandolo mi avrebbe spronato nei miei continui momenti di "blocco dello scrittore".
<<Nel caso entrino dei ladri?>> Chiese lui riportandomi alla Realtà.
<<Già. E poi non teniamo contanti in casa. Né gioielli. Mio padre ha giusto un orologio che però porta sempre con sé.>>
<<Bene.>> Ribadì Max.
Uscimmo, chiusi la porta inserendo un altro codice a tre cifre e lui domandò: <<Ogni tanto entri per... controllare se tutto funziona?>> Aprii la bocca divertita dal suo senso di protezione ed ingegno. <<La radio, i comandi...>>
Quel ragazzo pensava proprio a tutto.
<<Sì, Sherlock Holmes, ci entro. Quando mi annoio e gioco a guardie e ladri, anche. Ci sono entrata giusto domenica sera. Non riuscivo a dormire.>> Lui passò sopra alle mie battute di spirito e si diresse verso la portadella camera. <<Bene! Allora, se non hai altre botole o nascondigli, ti lascio studiare. Sono di sotto se ti serve..->>
<<In realtà ho finito.>> Dissi. Non che avessi studiato gran ché, quel pomeriggio, essendo che per la maggior parte del tempo avevo pensato proprio a lui. Erano già le sei. Tra l'accademia, la scuola e Max si era fatto tardi. Avrei sfruttato il weekend per studiare per le verifiche di fine trimestre e per scrivere l'ennesimo articolo per il giornalino della scuola.
<<Oh. E di solito cosa fai... Palestra? O... Altro, di sera?>> Mi chiese.
Io sbottai in un sorriso divertito: <<Tutte queste domande come se... volessi conoscermi meglio per invitarmi ad uscire, soldato.>> Feci al settimo cielo e cominciando a sperarci sul serio.
Lui però tornò serio, più di quanto non fosse stato prima: <<Beh, temo... Che anche se ne avessi l'intenzione non potrei farlo, Lara.>>
<<E perché?>> Chiesi seriamente delusa.
<<Perché sei la figlia del mio capo.>>

La ragazza e l'ufficiale Where stories live. Discover now