Mexican Standoff

9. Disincanto Patronus

Non era una novità che Hermione non riuscisse immediatamente in qualcosa. Non era così arrogante da sostenere che fosse perfetta, per quanto in tutti quegli anni avesse lavorato sodo e talvolta non aveva dormito la notte per avvicinarsi a quell'obiettivo. Non era per primeggiare sui suoi compagni, non le interessava quella becera supposizione che spesso le era stata sobillata, perfino dai suoi amici, quando si sorprendevano per quell'incantesimo o quella nozione che lei aveva già appreso prima di tutti quanti e nascondevano anche una certa invidia, ma che alla fine la accettavano perché Hermione era fatta così, le so-tutte-io hanno un loro modus operandi, specialmente se vogliono mantenere alta la media; certo, i voti la gratificavano perché erano la dimostrazione che tutti i suoi sforzi avevano uno scopo, non erano vani. E, in realtà, non era nemmeno per affermare la sua appartenenza a quel mondo che la respingeva e le ricordava con accanimento che qualsiasi cosa avrebbe fatto sarebbe stata ugualmente indegna, una strega a metà.

Eppure, quella volta, in quell'imperfezione, non si sentì semplicemente una strega a metà, non si sentì affatto una strega. Per la prima volta la sua magia era venuta meno, perché la sua mente, brillante capace e razionale mente, si era bloccata e aveva inficiato sulle sue capacità magiche.

Si chiese se fosse l'avvisaglia di un lento decadimento, se presto o tardi la sua magia avrebbe iniziato a diventare sempre più fallace, fino a impedirle di eseguire il più banale incantesimo.

«Wingardium Leviosa» disse puntando la piuma d'oca davanti a lei. L'oggetto si sollevò e volteggiò in aria davanti a sé, mentre alcune gocce d'inchiostro macchiarono la pergamena sottostante. La fece ricadere e riprovò l'incantesimo senza pronunciarlo e di nuovo la piuma si librò verso l'alto, confermandole che la sua magia era ancora lì. Per il momento.

Ripulì le sbavature d'inchiostro e fissò le parole davanti a lei, appunti racimolati nell'ultima ora da tutti i manuali sull'Incanto Patronus che Madama Pince era riuscita a scovare nella Biblioteca. Sapeva già tutto, aveva già studiato tutto quello che riguardava quell'incantesimo sin da quando Harry le aveva raccontato delle lezioni private di Remus al terzo anno, per arrivare preparata a quel momento in cui sarebbe riuscita ad eseguirlo anche lei, e quando al quinto anno, dopo tanti tentativi, finalmente era apparsa la sua bellissima lontra, ecco, solo quello sarebbe bastato per incasellare quel momento come un ricordo felice, perché la sua mente, i suoi pensieri, attraverso la magia aveva preso una forma. La sua magia era la sua felicità, ma la magia le aveva anche portato via i suoi genitori e Remus, Tonks, Fred, Dobby e Sirius erano morti. Persino Silente, il più grande mago che avesse avuto l'onore di conoscere e avere come preside, che le aveva donato la Giratempo per permetterle di accrescere le sue conoscenze magiche, era morto per colpa della magia. E Piton, che nonostante non l'avesse mai tollerata e che lei aveva invece ammirato in segreto per la sua infinita conoscenza e talento in Pozioni, era morto sotto una bacchetta. Per la magia, per il potere più grande di tutti.

Anche lei ambiva alla grandezza, ma quanto ci sarebbe voluto prima che quell'irrefrenabile corsa a fare sempre meglio, ad essere la migliore in tutto le avrebbe fatto perdere di vista ogni cosa, a logorarle l'anima, a perdere quella razionalità che aveva salvato lei e i suoi amici in non poche occasioni?

Persa nei suoi pensieri, non si accorse del sopraggiungere di Malfoy per la loro lezione. Appena il ragazzo si sedette, Hermione chiuse tutti i libri con un veloce colpo di bacchetta e li impilò nella sua borsa.

Malfoy la osservò dall'altra parte del tavolo e se aveva notato gli occhi gonfi per il pianto di quella mattina, dove era rimasta in quel bagno anche durante il pranzo finché non si era imposta a uscire per seguire la lezione pomeridiana di Rune Antiche, non lo diede a vedere.