Capitolo 25 (Arielle - Presente)

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Per quanto ci avessi provato, quelle parole non le avevo mai dimenticate. A volte tornavano a tormentarmi nei miei sogni, altre volte erano l'eco del mare che mi sommergeva nei momenti più bui.

E alla fine, quella con un cuore in meno nel petto ero io.

«Figlio di puttana!» A volte lo shock ti paralizza, altre ti colpisce in faccia come una molla e ti lancia in avanti come un sasso in una fionda. Le mie nocche assorbirono tutto l'impatto del primo colpo che scagliai contro la sua mascella. La pelle escoriata bruciò, ma accolsi con grande gioia il suo grugnito di dolore.

«Direi che me lo sono meritato.» Voughn si aggrappò alla sedia pulendosi il sangue sul labbro con il dorso della mano.

Non gli diedi il tempo di rimettersi in piedi, lo volevo sul pavimento, sotto di me, sanguinante. L'avrei fatto sanguinare io, cazzo e tanto.

Con un calcio deciso allontanai la sedia e lui caracollò sul pavimento. Caricai lo stesso piede pronta ad affondarglielo nello stomaco e vedergli sputare un fiotto rosso simile a quello che gli macchiava le labbra, ma in una mossa fulminea da vipera che non era altro, afferrò la mia caviglia e mi spinse all'indietro. Sbattei col culo sul pavimento e imprecai a voce alta, contraendomi per il dolore alle ossa.

Mi ci volle molto più tempo di Voughn per rimettermi in piedi. Il suo corpo, ora slanciato e indurito dai muscoli, svettò su di me. Assorbiva il nero nella stanza come se gli appartenesse.

Ero troppo in là col cervello per farmi intimorire da lui. «Tu non hai idea di quello che ti meriti.» La morte, per mano mia. Appoggiandomi ai gomiti e facendo leva su una gamba, spinsi l'altra dritta verso le sue palle.

Ancora una volta i suoi riflessi intercettarono il colpo prima che andasse a segno e finii di nuovo sul pavimento.

Come se avesse avuto a che fare con una bambina capricciosa, Voughn s'inginocchiò ai miei piedi. «Fidati Arielle, ne ho piena coscienza. Ma adesso tu e io abbiamo affari più importanti di cui discutere.»

Lo fissai in silenzio, la mente correva a velocità supersonica. Quello era Voughn, capelli neri, occhi impenetrabili come una sbavata d'inchiostro su un foglio bianco, tratti marcati che gli anni avevano indurito e reso più affilati. Era cresciuto, il suo corpo era cambiato, i muscoli che lo ricoprivano adesso sembravano di puro acciaio. Cazzo, persino le sue ossa sembravano di puro acciaio, le mie nocche avrebbero potuto testimoniare. Eppure rimaneva sempre lui, il ragazzo ombroso di cui mio fratello di si era innamorato. Il Consulente che mi aveva tenuta sotto scacco per tutte quelle settimane.

«Ecco perché non ti sei fatto più vivo dopo...» Provai a mandare giù macerie. «Dopo quello che è successo. E io che pensavo che fosse perché stavi soffrendo troppo.»

A ripensarci ora, era incredibile come all'epoca avessi trovato la lucidità necessaria a interrogarmi sulla sofferenza di qualcun altro.

Distolse lo sguardo da me solo per un secondo, ma c'era troppa oscurità intorno a lui per afferrare ciò che gli appesantiva gli occhi. «Sei libera di non crederci, ma mi dispiace che le cose siano dovute andare così. Mi dispiace che Leo sia dovuto morire.» Si rimise in piedi e mi tese una mano.

Rimasi a fissarla sconcertata. Come se avessi potuto accettare di toccarlo! M'investì una nuova ventata di calore bruciante. «Il nome di mio fratello non deve uscire dalla tua cazzo di bocca!» Schiaffeggiai la sua offerta con disprezzo e mi rimisi in piedi da sola.

Ero parecchi centimetri più bassa di lui e molto, molto più esile. Se Voughn avesse voluto, avrebbe potuto farmi del male senza problemi, mi mancava la massa fisica necessaria a contrastarlo. Aveva dimostrato anche di avere ottimi riflessi. Di conseguenza, quando il mio primo pugno era andato a segno, era accaduto perché lo aveva permesso lui. Mi venne voglia di dargliene un altro, seguito da un calcio e poi da una testata.

Angel Of RageWhere stories live. Discover now