XII.

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"Le lacrime vengono dal cuore,
non dal cervello".
- Leonardo da Vinci

Rimanemmo a parlare in cucina fino a quando Aedus non terminò il tè che gli avevo preparato

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Rimanemmo a parlare in cucina fino a quando Aedus non terminò il tè che gli avevo preparato. Poi lo vidi sbadigliare. Era lecito dopo tutto quello che era accaduto nelle ultime ore.

Con un briciolo di timidezza, gli afferrai la mano e lo portai nella mia camera sotto il suo sguardo sbigottito. Forse non avevamo abbastanza confidenza per farlo, ma in quel momento mi importava ben poco. Sarebbe stato un problema che avrebbe affrontato la me del futuro.

Fu così che si ritrovò nella mia stanza. Nel mio spazio. E io glielo avevo concesso. Addirittura, glielo avevo chiesto. Neanche Ilia era mai riuscito ad entrare all'interno di quel luogo così intima per me. Ma, chissà come mai, ad Aedus lo permisi. Forse erano state le sue ferite aperte, forse perché iniziavo a fidarmi di lui, ma lo feci comunque.

Mi misi a sedere sul materasso, con la schiena appoggiata alla spalliera e lo invitai a fare lo stesso, per poter appoggiare la testa sulle mie gambe. « Vieni qui ».

Mi guardò dubbioso, chiedendomi conferma con quegli smeraldi chiari che si trovava al posto delle pupille e, quando annuì, si stese esitante. Iniziai a giocare con i suoi ricci in tenere carezze: passavo la mano sui lati rasati, poi infilavo una ciocca attorno al dito e la srotolavo. Lui, invece, portò la sua attorno al mio ginocchio, quasi fosse una sorta di abbraccio involontario.

« Come ti senti? ». Volevo che sfogasse le emozioni che lo stavano tormentando, così che alleggerissero la sua anima e condividessero quel fardello con la mia.

« Mi sento vuoto. Sento di non avere più alcuna ragione per andare avanti ».

Mi ferì profondamente sentirlo parlare in quel modo, ma la sofferenza lo faceva agire di conseguenza. « Adesso ti sembra che tutto faccia schifo, forse un po' è vero. Ma, proseguendo, imparerai a convivere con questo dolore e a sfruttarlo per dare il meglio ».

Pian piano iniziava a chiudere gli occhi, lottando affinché non accadesse. Poco prima di addormentarsi, mi fece una confessione. Una di quelle che ti fanno mancare il fiato, un battito nel petto prima di far prendere al cuore un'accelerazione senza limiti.

« Non è vero. Tu non mi farai mai schifo ».

Continuai a coccolarlo anche quando cadde in un sonno profondo. Doveva portarsi addosso molta stanchezza da quella giornata, e la nonna doveva essere stata il colpo di grazia.

Lo guardai dormire placidamente, con le gote e il naso arrossati dallo sforzo del pianto. Eppure sembrava un angelo ai miei occhi. Era come un bambino da proteggere.

Smisi di toccarlo solo per spostare la coperta piegata ai piedi del letto affinché lo proteggesse da quel freddo autunnale, ma poi ripresi subito i miei movimenti sul suo capo. Lo avevano fatto rilassare, perciò non avrei cessato fino a quando non me lo avrebbe chiesto lui.

The last secondWhere stories live. Discover now