Prologo

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Forse iniziò tutto quella sera uggiosa del 1984, quando lo vidi per la prima volta, tra la polvere e le ragnatele dell' orfanotrofio.
Intento a salire le scale, con le mani in tasca, e l'aria disinvolta.

O forse molto prima...anzi, sicuramente iniziò tutto molto prima.
Il 14 maggio del 77, io e papà seduti sotto l'ombra di un gelso, contemplavamo il nulla, perché troppo stanchi, dopo la lunga mattinata passata a rinvigorire i campi che per tutto l'inverno avevamo abbandonato.
"Mamma non sarà felice di sapere che i pomodori non sono sopravvissuti." enunciò ridacchiando.
Poi cadde un silenzio quasi imbarazzante se l'uomo accanto a me non fosse stato mio padre.
Le rondini cantavano stridule, mentre il frinire delle cicale riecheggiava nell'aria.
Abbassando lo sguardo notai i vestiti sporchi di terra così come le mani e probabilmente anche la faccia.
Papà stanco e indolenzito teneva gli occhi chiusi mentre con calma respirava l'aria umida primaverile.

Lo osservai un attimo, poi la mia attenzione venne rubata dal profumo che da molto lontano si era fatto strada fino alle mie narici, e dopo poco verso le sue.
Poi improvvisamente, senza pensarci due volte, si alzò in piedi per dirigersi verso casa.
Lo seguii con lo scoccare insistente delle mie ciabatte sul suolo frastagliato e caldo.
Arrivati sulla soglia della porta notammo il pavimento bagnato ed il mocio appoggiato al muro a pochi metri di distanza da noi.
Mamma, sentendoci, con camminata veloce, ci raggiunse, per poi minacciare con aria divertita entrambi.
"Non vi azzardate a passare, aspettate qualche minuto fuori."
Dopo diversi minuti seduti sul gradino davanti la porta entrammo in casa, togliendo le scarpe.
Scalzo attraversai l'ingresso, le scale verso il piano di sopra e senza indugiare andai in bagno.
Dopo una veloce ma rinfrescante doccia misi dei vestiti puliti e mi presentai in cucina.
Io e mamma aspettammo che papà si lavasse e che il pranzo fosse pronto prima di sederci a tavola.
Dopo pranzo entrambi si lasciarono andare al sonno e sperduti per la casa si addormentarono.
Poi finalmente papà si svegliò e successivamente a un veloce spuntino mi propose di uscire un po '.
Avvertimmo mamma di star uscendo per qualche ora, poi ci dirigemmo verso il pickup rosso.

Percorrevamo la strada silenziosi, dal nulla gli chiesi se potevamo andare al cinema e dopo un sorriso ed un accenno di approvazione, la macchina si schiantò dritta contro un'altra auto.
Sembrava non essere successo nulla, quando aprì gli occhi, poi realizzai di essere sdraiato sull'asfalto rovente, con schegge di vetro tra i capelli e tagli su tutto il corpo.
Una signora seduta al mio fianco urlava, ma riuscivo ad intuirlo solo grazie alla bocca aperta e l'espressione afflitta, non sentivo assolutamente nulla se non un forte fischio dentro la testa.
Girai lo sguardo e vidi la macchina su cui poco prima ero seduto, bruciare
Inutile dire che papà era rimasto bloccato lì dentro.
Ancora oggi mi chiedo se
Magari era sveglio quando la macchina stava bruciando ?
Ha realizzato che da lì a poco sarebbe morto?
Ha cercato di scappare ?
Era già morto allo schianto ?

Passai un lungo periodo in ospedale e, non appena riuscii a riprendermi mamma si ammalò, troppi dispiaceri, io ero uno di questi.
E decise anche, che saremmo rimasti nella casa in campagna, in quanto non avrebbe sopportato che la gente in paese le iniziasse a fare la carità solo perché papà era morto.
Così iniziò a non stare bene mentalmente, la notte non chiudeva occhio, passava le giornate a piangere e quando cercavo di starle vicino finiva per urlarmi contro di starle lontana perché le ricordavo l'incidente.
Vederla in quello stato lentamente lacerava anche il piccolo me che però trovava conforto nei vicini.
La sera prima di andare a dormire guardavo fuori dalla finestra di camera mia, che dava perfettamente sul loro giardino, sempre ben sistemato e animato.
Il rumore dei bicchieri di vetro, a volte pieni altre vuoti, delle posate, dei piatti, delle risate, delle sedie di plastica, dell'acqua della piscina , mi rassicurava e teneva lontano dalla crudele realtà con cui da qualche settimana facevo a botte.
Ricordo perfettamente la prima volta in cui mi accorsi di loro e dei loro comportamenti frivoli.
Si divertivano, così come tutti nel mese di giugno.
Nella loro frivolezza però c'era della velata serietà, la solita coscienziosità che si trova negli sposini, che credono di avere tutto sotto controllo anche se si lasciano andare ai pensieri giovanili.
Dopo diverse notti passate a osservare decisi di farmi notare anche io .
Seduto dietro l'alta aiuola che divideva le due case, credevo potessero sentire il mio leggero respiro o i miei movimenti cauti.
Ovviamente non accadde nulla ne la prima , ne la seconda ne la terza volta.
così cambiai strategia.
Una mattina mi presentai proprio davanti il loro cancello di casa,
vidi la donna arrivare che con un sorriso smagliante mi salutò.
"Buongiorno, come va? tutto ok?"
"posso stare un po con voi?"
"la mamma che dice?"
"mamma non lo sa"
Non rispose più, semplicemente mi fece entrare.
Dopo avere attraversato il giardino, che così come appariva dalla finestra era ben sistemato e accogliente.
Entrammo in casa, il marito cucinava qualcosa.
Quando si accorse di me si limitò a sorridere.
"Abbiamo ospiti mh? Come ti chiami piccoletto?"
"Ares."
"ti piacciono le uova alla coque?"
"certo"

Dopo pane e marmellata alle fragole assaggiai le uova, che diversamente da come avevo cercato di far capire, non avevo mai mangiato cucinate in quel modo.
Lei mi aiutò a levare il guscio, lui invece mi preparò altro pane, con abbondante marmellata e burro.
Durante la colazione si presentarono a me, lei, Monica, dai capelli lunghi e mossi, dalle sfumature marroni e dorate, con dei grandi occhi color nocciola, dal naso sottile e dalle labbra carnose, lui invece, Giovanni, dai capelli brizzolati, dalla barba grigia, con degli occhiali quadrati ed un paio di occhi verdi.
Erano entrambi bellissimi.
Così come la casa, il giardino e le loro maniere.

Passai il resto dell' estate con loro, che senza pretese mi accolsero comprensivi, sapendo la situazione.
Mamma era ormai sprofondata in un varco, ed io non potevo più aiutarla.
Ero riuscito a smuoverla qualche volta, magari per farla mangiare o farle cucinare qualcosa, ma avendo la domestica, lei non doveva mai pensare a nulla.
Sembrava stesse andando meglio, dopo diversi mesi, poi però ebbe una ricaduta, dalla quale non si riprese più.
Ero spaventato, non avevo più nessuno, speravo che i vicini di casa mi prendessero con loro ma non lo fecero.
Monica era incinta, aveva altro a cui pensare e sembrava anche non stesse più andando tanto bene con Giovanni, quindi non li biasimo.
Non avendo nessuno con cui stare, venni mandato in un orfanotrofio nei dintorni di Lecce, sperando di essere adottato.




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