Capitolo 18 - Incomprensioni

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<< Allora? Quando avevi intenzione di dirmelo, Melissa? >>.

Non avevo mai visto mio padre così infuriato in tutta la mia vita: perdeva la pazienza molto sporadicamente, e perlopiù con mio fratello.

<< I-io ... >> balbettai, imbarazzata.

Non sapevo cosa rispondergli.

<< Non pensavo che fosse importante >> me ne uscii alla fine.

<< Non pensavi che fosse importante? Ma che diavolo ti passa per la testa! Sei sempre stata una persona seria e giudiziosa ... >>.

Ecco.

Odiavo quando mi diceva così. Odiavo dover essere sempre all'altezza dei suoi standard, dover essere sempre e comunque quella seria, quella tranquilla, quella saggia ...

Non lo sopportavo.

<< E adesso dove stai andando? >> domandò mio padre, vedendomi indossare la giacca (di Giacomo) e prendere la borsa. << Guarda che non abbiamo ancora finito! >>.

Stava strillando, e aveva attirato su di sé l'attenzione dei pazienti e di tutto il personale sanitario.

<< Potresti evitare di urlare? Non so se te ne sei accorto, ma siamo in un ospedale. Ah, e a pochi metri da qui ci sono i genitori di Giada, che meriterebbero un po' più di rispetto da parte tua >> dissi, tutto d'un fiato.

<< Melissa >> abbassò la voce, trattenendomi per un braccio. << Non avrai mica intenzione di andartene con quel pazzo? >>.

<< Se c'è un pazzo, qui dentro, sei tu >> esclamai, fredda.

Mi svincolai dalla presa e mi diressi verso Giacomo, indirizzando un'ultima occhiata a Giada, ancora apparentemente addormentata.

Beata te, pensai, che te ne stai lì a dormire e non senti nulla.

<< Potresti ... ? >> iniziai, rivolta a Giacomo.

<< Non avresti dovuto parlare in quel modo a tuo padre >> mi rimproverò lui, serio. << Ha ragione, sei troppo seria per frequentare un pazzo come me >>.

Era visibilmente abbattuto.

<< La smettete tutti di dirmi che sono troppo seria per fare qualcosa? >> sbottai, irritata. << Non ho intenzione di parlargli, almeno non per oggi, non fino a quando non si sarà calmato >>.

<< Ma ... >> iniziò il ragazzo, agitato.

<< Quindi, le cose sono due >> proseguii, ignorandolo. << O mi accompagni tu a casa, o sarò costretta a chiedere un passaggio a Federico >>.

Pronunciai quelle parole istintivamente, senza pensare. Non era proprio da me parlare in quel modo, ricattare qualcuno. Cosa mi stava succedendo ...

<< Ti accompagno io >> cedette, sconfitto.

Mi prese per mano e ci allontanammo, non prima di aver indirizzato a mio padre - ancora furente - un ultimo sguardo colmo d'ira. Non riuscivo a credere che avesse detto quelle cose, che mi avesse rimproverata davanti a degli sconosciuti, umiliandomi. Ma dov'era finito il papà buono e gentile di sempre? Aveva veramente lasciato spazio a quell'uomo vile ed autoritario? Stile "padre padrone" dei primi del Novecento?

In realtà, almeno un po' aveva ragione, dovetti ammettere: dopotutto, forse avevo sbagliato ad omettere il piccolo dettaglio che Giacomo era "malato" e suo padre un ex carcerato. Peraltro, indagato per omicidio. Non tolleravo comunque quella sua necessità costante ed irrefrenabile di avere il controllo di tutto e di tutti: di me, di mia madre, di mio fratello. E, a poco a poco, quell'utopistico castello di sabbia che si era costruito stava crollando: mia madre non gli parlava, e Davide si stava cacciando in qualche guaio, qualcosa ai limiti della legalità, ne ero sicura.

Il mistero della casaWhere stories live. Discover now