Capitolo 17 - Spiacevoli scoperte

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"Sono le sei e mezza del mattino, e come ogni giorno siamo qui a farvi compagnia in radio. Oggi si prospetta una giornata solare ma fredda; eh già, sembra che dovremmo dimenticare, almeno per un po', il caldo afoso dei giorni scorsi".

Spensi la radio sveglia e mi alzai silenziosamente: non volevo svegliare Elena. Presi l'accappatoio e mi diressi rapidamente verso il bagno per farmi la doccia. Entro pochi minuti, scesi in cucina a prepararmi la colazione, trovandovi Davide, sdraiato sul divano.

<< Dado >> esordii. << Cosa ci fai qui a quest'ora? >>.

Mi rivolse un'occhiata confusa.

<< Io ... niente, ero sceso a prendere qualcosa da bere >>.

L'odore di sigarette (e altro) nell'aria era ben riconoscibile.

<< Non è che hai fumato? >> gli domandai, furente.

<< No >>.

Mi avvicinai a lui e gli annusai i vestiti, che puzzavano incredibilmente di tabacco.

<< Davide, cosa stai combinando? >> chiesi. << Tu non sei così. Non ti riconosco più >>.

<< Potrei dire la stessa cosa di te >> si limitò a rispondere, alzando le spalle e salendo in camera sua.

Aveva ragione.

Nel giro di due giorni mi ero ubriacato, cosa che non succedeva da prima che nascesse Melissa, e mi ero assentato al lavoro. Mi versai del caffè in una tazza e lo bevvi, sorseggiandolo e rimuginando su quanto accaduto. Mio figlio aveva iniziato a fumare, a soli tredici anni, e Dio solo sapeva che cosa. Estrassi dalla tasca un anello vecchio e logoro e me lo rigirai fra le dita: sembrava una fede. No, forse non era una fede; era d'argento e all'interno c'erano incise due iniziali: L. e L. Manipolai quell'oggetto misterioso ancora per alcuni minuti, riponendolo poi con cura in una tasca del giubbotto. L'avevo trovato il pomeriggio precedente, pulendo la piscina in giardino. Chissà a chi apparteneva ... forse avrei dovuto parlarne con il precedente proprietario. Sì, decisi, l'avrei chiamato quella sera stessa, di ritorno a casa. Presi le chiavi dell'auto e mi diressi in fretta verso la mia postazione lavorativa. Erano quasi le otto, quando timbrai il cartellino. Decisi di prendere l'ascensore, e all'apertura delle porte ebbi di fronte mia figlia.

<< Melissa? >>.

Aveva delle vistose occhiaie e sembrava stravolta.

<< P-papà ... >> balbettò, sorpresa.

Alle sue spalle c'era Giacomo, il nipote della vicina.

<< Cosa ci fai qui? >> domandai.

<< Giada è in coma >> rispose semplicemente lei, tirando su col naso.

<< In ... coma? >> ripetei meccanicamente, incredulo.

Presi mia figlia per mano e la trascinai in fondo al corridoio, lontana da quel ragazzo.

<< Ti ha accompagnata lui qui, Mely? >> chiesi, insistente.

<< Sì >> fu la sua risposta. << Papà, erano le due di notte e tu ti saresti dovuto svegliare presto per venire al lavoro. Non sapevo a chi chiedere >>.

Era visibilmente mortificata.

<< Hai fatto bene >> dissi infine, abbracciandola.

Dopotutto, la sua migliore amica era in coma, e l'aveva fatto per non svegliarmi.

Il mistero della casaWhere stories live. Discover now