Capitolo 1 - Era davvero una bella villetta ...

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Oggi.

Era davvero una bella villetta. Sembrava quasi guardarmi dall'alto in basso, nella sua maestosa eleganza, facendo mostra del suo incantevole giardino, un paradiso terrestre, e dei suoi due piani. Dava l'impressione di squadrarmi dalla testa ai piedi, quasi a volermi rimproverare il solo fatto di stare lì, fermo in mezzo al traffico dell'ora di punta, ad osservarla ammaliato, "tu che sei un povero pezzente, tu che non potresti permettertela neanche lavorando una vita!", sembrava esclamare. Eppure, non so perché, mi sentii attratto sin da subito da quella costruzione, che spiccava, come il sole fra le stelle, sullo sfondo di un quartiere residenziale in apparenza pacifico e accogliente. Associai quell'immagine così incantevole a un telefilm che mia moglie seguiva sporadicamente in televisione, "Desperate Housewives". Il suono di un clacson mi riportò bruscamente alla realtà. "Smetti di fantasticare", mi dissi, "o farai tardi al lavoro". E ripresi a guidare, immergendomi nuovamente nel torpore di una squallida e grigia metropoli del Nord Italia. Imboccai l'autostrada e premetti più forte sull'acceleratore, quasi sentendomi in colpa per aver anche solo osato pensare di contattare i proprietari per chiedere maggiori informazioni sulla vendita. Si erano quasi fatte le otto e mezza quando parcheggiai l'automobile e presi l'ascensore, diretto mestamente alla mia postazione. Avevo sempre detestato il mio lavoro. Sulla mia uniforme, di un arancione abbagliante, spiccava una targhetta con su scritto: "addetto alla nettezza urbana". Insomma, uno spazzino. A dirla tutta, mi occupavo della pulizia di un ospedale, ma il mio superiore era stato così "gentile" da concedermi il lusso di continuare ad indossare un'uniforme vecchia e logora, risalente ai tempi in cui, ancora giovane e speranzoso, lavoravo part-time come netturbino per pagarmi gli studi all'università. Ormai erano passati quasi vent'anni da quel periodo, e non solo avevo rinunciato definitivamente al sogno di diventare medico, ma ero talmente in rosso con i conti da non potermi permettere nemmeno una divisa nuova! Così, ancora allora, a quaranta anni suonati, mi toccava essere inadeguato rispetto agli altri, mi toccava spiccare su tutti i miei colleghi per il colore della mia stupida divisa.
Una croce, direi.
E a tutto questo si aggiungevano gli imbarazzanti commenti dei miei ex colleghi dell'università, tutti medici, ovviamente, tutti affermati dottori che avevano ricevuto in eredità patrimoni dai genitori ultraricchi, e anch'essi dottori.

«Buongiorno, Edoardo».

Mi voltai per rispondere e, con amarezza, scoprii che a parlare era stato Simone, un mio vecchio amico nonché coinquilino ai tempi di Medicina. Oramai per me era il "dottore Alberini", ovviamente, e guai a dargli del tu.

«Buongiorno, Dottor Alberini» risposi con il tono più gentile che riuscii ad ottenere.

«Mi raccomando, dai una pulita alla stanza 2, stanotte abbiamo avuto un paziente con ematemesi».

Mi rivolse un sorrisetto, come a dire "vediamo se hai il coraggio di chiedermi cosa significa ematemesi". Io che ti avevo passato, al tempo, il compito di Patologia Generale, brutto imbecille! Io che ero presente, forse l'avevi dimenticato, al famoso esame di Anatomia in cui avesti il coraggio di prenderti, soddisfatto, il tuo bel 30 e lode, dopo aver esclamato che il cuore ha tre cavità! Eppure tu facevi il cardiologo, mentre io pulivo i pavimenti.

«D'accordo, ci vediamo» mi limitai a rispondere.

Presi scopa e spazzolone e mi diressi verso la stanza n° 2. Lungo il corridoio, incontrai un'altra vecchia conoscenza, più gradita.

«Edo! Come stai? » esclamò Marta.

«Tutto ok. Lei, dottoressa Ferrero? ».

«Quante volte devo dirti di chiamarmi Marta! Tutto ok anch'io, se così si può dire dopo una notte di dieci ore! Finalmente si torna a casa! Melissa come sta? E tua moglie? ».

Il mistero della casaWhere stories live. Discover now