Capitolo 3 - Dissociazione

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«Le case non uccidono le persone. Le persone uccidono le persone».

Mi svegliai di colpo, impaurita.

Era solo un sogno.

Colpa del mio fantastico fratello minore, che la sera prima aveva insistito a portarmi al cinema a vedere Amityville Horror. Grazie a lui, quella notte non avevo fatto altro che sognare omicidi e pozze di sangue che avevano come scenario la nostra nuova casa. Come se non bastasse, dopo il cinema eravamo andati a cenare in pizzeria, dove avevo nuovamente incontrato quello strano ragazzo che mi spiava ormai da mesi e che, guarda caso, sarebbe stato presto il mio nuovo vicino. Un tipo molto singolare: alto, moro e con gli occhi azzurri. Un gran figo, penserete. E in effetti lo era, salvo quell'aura di eccentricità che si portava dietro. Stava sempre da solo, e devo ammettere che un po' mi faceva pena. Eppure, non riuscivo a non esserne inquietata ...

«Sorella, io sto per chiudermi a chiave in bagno».

Le parole di Davide mi catapultarono nella realtà. Caspita, se lui era sveglio doveva essere davvero tardi.

Guardai la sveglia sul comodino: le undici e trenta. Dovevamo sbrigarci: a breve sarebbero tornati mamma e papà a prendere la nostra roba.

«E' tardissimo, spero che almeno abbia preparato la tua valigia!» gli dissi, agitata.

«Guarda che io è già da un po' che sono in piedi, e grazie a te e ai tuoi stupidi incubi. Non hai fatto che strillare stanotte» esclamò Davide, irritato.

«Vorrà dire che la prossima volta sceglierò io cosa vedere al cinema!» controbattei io, prontamente.

Presi l'accappatoio e, approfittando della sua distrazione, mi intrufolai in bagno. Neanche il tempo di chiudere a chiave, che da dietro la porta risuonarono le sue urla contrariate.

«Non è possibile, sono ore che sono sveglio!».

«Ti saresti dovuto fare la doccia ore fa, allora» ribattei.

Circa trenta minuti dopo, liberai il bagno.

«E' tutto per te, fratellino» dissi, ridacchiando.

Davide, senza nemmeno guardarmi in faccia, prese una tovaglia e si infilò sotto la doccia.

Mentre lui si sciacquava, mi misi a riempire un po' di scatoloni, temendo le urla dei miei genitori.

Alle 12.30, mio padre suonò il campanello e caricò sull'auto tutti gli scatoloni e due valigie.

«Vi dispiace portare voi quello che resta? La nostra nuova vicina - una signora molto simpatica - è stata così gentile da offrirci il suo aiuto con il trasloco, e tra mezzora sarà qui a prendervi con la sua auto» disse mio padre.

«Simpatica significa bella nel tuo vocabolario?» chiesi io, maliziosamente.

«Bella come può esserlo una signora di ben ottantuno anni» rispose.

«Si chiama Dorotea, comunque ... vive nella villetta accanto alla nostra con suo nipote, un ragazzo un tantino strano» aggiunse eloquentemente.

«Per te ogni ragazzo tranne Davide è strano» dissi.

Ero troppo orgogliosa per specificare che aveva ragione. Quel tipo era veramente strano. Se solo mio padre avesse saputo che era da un paio di mesi che mi gironzolava intorno, non solo avrebbe evitato di affittare quella casa, ma addirittura ci saremmo come minimo trasferiti su un altro pianeta.

Tipica iperprotezione meridionale.

I trenta minuti successivi furono allo stesso tempo i più brevi e i più lunghi della mia vita.

Il mistero della casaWhere stories live. Discover now