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25 Dicembre 1992

Per Natale ho deciso di non tornare in Scozia dalla mia famiglia, ma di rimanere qui a Londra per stare vicino a Mattia.

Ieri abbiamo passato il giorno della vigilia in ospedale, in tua compagnia. Caren ha addobbato la tua stanza e Mattia ti ha lasciato un regalo, proprio sotto l'albero che si trova a fianco al tuo letto.

Poi siamo andati a casa tua, dove Giselle ha cucinato una deliziosa cena che è rimasta però intatta su tutti i nostri piatti. Nessuno ha spiccicato una parola e prima di mezzanotte siamo rientrati a casa.

Mattia si è buttato sul divano con tutte le scarpe, si è coperto fino al naso e Dakota gli si è seduta vicino. Ho finto di non notare le sue lacrime e mi sono chiusa nella mia stanza a singhiozzare silenziosamente anch'io.

Non me lo perdonerò mai...

Quello che i medici hanno detto quella sera a Robert, è stato davvero scoraggiante. «Temiamo che Daniel non riuscirà più a svegliarsi.» E dentro la stanza è calato il gelo.

«Che significa?», ha urlato Mattia lasciandosi cadere sulle ginocchia. Il Dottor Turner ha abbassato lo sguardo e ha scosso la testa, e Mattia gli si è precipitato contro appendendosi con tutta la forza al colletto del camice urlando, e piangendo, «Che vuol dire temete che non riuscirà a svegliarsi?», gridava con il volto in fiamme e le vene del collo rigonfie. Robert l'ha preso di forza e lo ha allontanato dalla tua stanza portandolo fuori, mentre invano cercava di divincolarsi dalla presa, con i singhiozzi che si trasformavano in profondi e dolorosi affanni. Io sono rimasta con Caren che ha iniziato a piangere tenendoti per mano. Dopo qualche ora siamo andati a casa Fox, e da quel momento Mattia non ha degnato di uno sguardo più nessuno. Sarei voluta riuscire a dirgli qualcosa, ma non sono mai stata brava con le parole e non lo sarei stata di certo in quel caso.

Mi sono svegliata questa mattina, prima dell'alba mentre fuori era ancora buio pesto. Quando sono andata in salotto, sul divano ho notato Dakota che dormiva sulla coperta di Mattia, ma di lui non c'era traccia. Non si trovava né in bagno, né in cucina. Era troppo presto per venirti a fare visita, così dopo aver indossato gli stivali ed essermi infilata di fretta e furia la vestaglietta e il cappotto, sono uscita di casa per cercarlo.

Nevicava e l'aria era così gelida che potevo sentirla graffiare sulla pelle. Ho vagato per tutto il vicinato, urlando inutilmente il suo nome a squarciagola. Poi sono andata a cercarlo, prima in ospedale, dove di lui non c'era nemmeno l'ombra e infine dai Fox, senza riuscire a trovarlo. Non sapevamo dove si fosse cacciato e il panico ha iniziato a prendermi a pugni lo stomaco insieme al terrore che avesse potuto fare qualcosa di irrimediabile.

Erano quasi le undici quando nella mia mente, veloce come un lampo, rimbalzò il ricordo di quello che ti aveva detto tempo fa.

Ti avrebbe portato sul tetto dell'Opera. Rabbrividii solo al pensiero.

Ho preso l'auto e mi sono precipitata a Coven Garden. Una volta arrivata davanti al teatro, sono scesa dalla macchina e mi sono fatta spazio tra la nube di persone che si trovavano in fila per comprare i biglietti de "Lo schiaccianoci" e che protestavano per il mio modo poco elegante e cortese con cui cercavo di farmi largo tra la folla che sembrava schiacciarmi sempre di più.

Quando sono riuscita finalmente a raggiungere la portineria avevo già il fiatone e, cercando di raccontare tutta la faccenda, ho avuto paura di non essere presa sul serio, di non essere creduta ed essere scambiata per una forsennata, un'ubriacona. Invece, con tutto il mio stupore, quella giovane signorina dai capelli rossi è stata molto gentile nell'accompagnarmi fino a su, tramite due rampe di scale e un ascensore.

Ed è stato proprio lì che ho trovato Mattia, mezzo nudo e ricoperto dalla neve. Era palesemente sconvolto e fuori di sé. Si trovava rannicchiato per terra, con la testa poggiata sul pavimento ghiacciato e la pelle diventata bluastra a causa del freddo. Non tremava nemmeno più.

Mi sono messa immediatamente a correre verso di lui, mi sono sfilata il cappotto di dosso e gli ho coperto le spalle sollevandolo da terra mentre lui aveva provato ad aprire gli occhi senza avere nemmeno la forza di camminare. Una volta in piedi ha soffocato un rumore che gli si è fermato in gola, e poi ho sentito la sua voce scura pronunciare il tuo nome senza nemmeno muovere le labbra, «Daniel, Daniel...» e la signorina dai capelli rossi mi ha aiutato a portarlo fin dentro la macchina.

Quando l'ho riportato a casa, Mattia ha cominciato a tremare. Prima lentamente, poi sempre di più fino a non fermarsi. «Fre-ddo.»Riusciva soltanto a balbettare, mentre in viso era completamente assente. Così l'ho accompagnato in bagno, l'ho spogliato perché lui sembrava non riuscire più a muoversi. Ho guardato bene il suo corpo, ed era pieno di graffi, sporco di asfalto, di neve e di sangue. L'ho fatto sedere dentro la vasca, lui si è portato le ginocchia al petto ed è rimasto fisso a guardare il vuoto davanti a lui, mentre io tenevo il soffione contro la sua schiena. L'acqua calda gli scorreva lenta sui capelli, sul viso, sull'addome e sulle ginocchia; lavava via tutto lo sporco, ma non riusciva a portare con sé tutto il dolore che ormai aveva preso il controllo del suo corpo.

Poi lentamente ha smesso di tremare.

Dopo averlo lavato, ho avvolto Mattia dentro un accappatoio facendolo sedere sul bordo della vasca. Aveva gli occhi arrossati, lucidi e cerchiati. Il volto pieno di tagli, come il suo corpo, e le labbra spaccate, gonfie e ancora colorate di un rosso scuro, quasi bordeaux.

Mi sono accovacciata difronte a lui, con i gomiti sulle ginocchia e l'ho guardato dritto negli occhi.
«Cos'hai fatto Mattia?» Ho sussurrato. Lui ha pronunciato il tuo nome. Lo ha ripetuto una seconda volta e poi ha detto «Se Daniel morirà, morirò anch'io.» «Non è così che funziona, Mattia!» L'ho rimproverato, alzando la voce. Sentivo ormai gli occhi riempirsi di lacrime. «Lui sta morendo, non tu! Tu devi andare avanti, è la tua vita, cazzo!» Lui è rimasto impassibile. «Io lo amo.» Ha detto. «So bene che lo ami,» Mi iniziò a tremare la mandibola, «Tutti noi amiamo Daniel, ma non puoi mandare a puttane la tua esistenza! Non è questo che Daniel vorrebbe, non è così che vorrebbe che tu fossi! Lo capisci che stanotte... Stanotte, avresti potuto perdere la vita? Non pensi ai tuoi genitori? Ai tuoi amici? Vuoi mandare davvero tutto al diavolo? Sei davvero così egoista? Daniel non si sarebbe mai innamorato di un egoista!» Avevo la voce completamente rotta dal pianto. Lui ha cominciato a sgranare gli occhi, poi il suo viso si è contratto e ha iniziato a battere le palpebre in continuazione finché non ha preso a singhiozzare ininterrottamente.

Mi sono sentita come se mi avessero strappato via il cuore dal petto.

Abbiamo pianto abbracciati non so per quanto tempo. Forse diverse ore. I suoi capelli bagnati contro il mio ventre e le mie braccia che stringevano la sua testa.

Poco più tardi l'ho aiutato a rivestirsi e poi si è addormentato, esausto, crollando sul mio letto, dopo poco tempo.

Mi sento dannatamente in colpa per essere stata così dura con lui. So per certo però, che tu non vorresti mai vederlo in queste condizioni. Quindi Daniel, anche se presto dovrai andare via, io ti prometto che mi prenderò cura di lui. Come ultima promessa, farò che Mattia non sprofondi nell'abisso.

Adesso capisco perché non volevi coinvolgerlo in quest'incubo. Tu lo sapevi bene, ci eri passato prima di lui...

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