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«E adesso che si fa?» Gli chiesi quando uscimmo dalla via dei mercatini di Camden.

«Adesso? Ti porto in un altro posto!». La luce che emanavano i suoi occhi era diversa dal solito.
I suoi modi di fare e la sua quasi gentilezza discordavano con il Daniel che avevo conosciuto fino a quel momento.

Riprendemmo le bici e pedalammo per circa quindici minuti fino ad arrivare in un quartiere chiamato Covent Garden. Quando legammo le biciclette al lucchetto, Daniel mi spiegò che il nome del quartiere non era altro che una storpiatura della parola "Convent Garden", perché anticamente ci si trovava uno storico convento circondato da un vasto giardino. In epoca più recente, era poi diventato sede di musei, negozi, numerosi teatri e bancarelle d'artigianato.
Subito dopo aver fatto un giro della piazza principale, Daniel mi trascinò in una via claustrofobica.

«Che ci facciamo qui?» Chiesi mentre lo guardavo arrampicarsi su un muro alto circa due metri.

«Sta' zitto e seguimi.» Si passò una mano tra i capelli disordinati.

Da sopra il muretto si chinò e mi porse la mano, invitandomi a salire. Impacciato, misi un piede su una grossa pietra che sporgeva dal muro di un po', e continuai ad arrampicarmi facendo la stessa cosa con l'altro, fino a quando la mano di Daniel incontrò la mia stringendola, e con forza mi aiutò a salire. Dopo alcuni minuti di faticosa scalata tra le mura di diversi palazzi, mi accorsi che eravamo arrivati molto più in alto di quanto pensassi, e mi resi conto che forse sarebbe stato meglio informarlo riguardo la mia acrofobia.

«Accidenti!» Strillai, quando sbadatamente strisciai il ginocchio sul calcestruzzo dell'ennesima parete che stavamo scavalcando.

Daniel si preoccupò più del dovuto, mi fece sedere immediatamente per terra ed io restai in silenzio mentre mi ripuliva la ferita con il bordo della sua maglietta. Subito dopo, avvicinandosi sempre di più al mio ginocchio, passò delicatamente l'indice sul bordo della ferita ancora sanguinante. Mi guardò per un istante e poi si portò il dito sporco del mio sangue dentro la sua bocca.

«Non farlo!» Fu l'unica cosa che riuscii a dire mentre il mio corpo rimase impietrito per via di quel gesto. "Assaggiare" il mio sangue, era stato qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima. Era stato così strano ed intimo che restai spiazzato. Lui restò in silenzio e mi aiutò ad alzarmi e dopo esserci arrampicati un'ultima volta su una tettoia, per oltrepassarla, davanti a me trovai una vista mozzafiato. Era così bella quanto lo era la paura che avvertivo in quel momento.

«Dove ci troviamo?» Balbettai confuso, mentre da quell'altezza Londra non sembrava altro che una piccola bomboniera.

«Ci troviamo sul tetto del Royal Opera House. Uno dei teatri più importanti d'Europa.»

«Wow...»

«Se ti sporgi un po' di più da questa parte, potresti riuscire a vedere uno dei terrazzi del teatro. Ogni volta che vengo qui a pensare, becco sempre qualche ballerina in tutù che fuma, o qualche cantante che comincia a scaldarsi la voce.»

«Vieni qui a pensare? Pensare cosa? Non potresti farlo semplicemente da camera tua?»

«Qui è diverso. Penso sia un posto magico, ed è soltanto mio. Qui mi sento libero di fare qualsiasi cosa.»

«Qualsiasi cosa? Ad esempio?»

«Ad esempio, posso stare in bilico tra la vita e la morte.» Daniel si avvicinò sempre di più al bordo del tetto fino a che le punte delle sue scarpe ormai accarezzarono il vuoto.

«Ti prego fermati!» Tesi una mano verso di lui, mentre il mio battito accelerava e lo immaginai tuffarsi giù senza nessuna esitazione. Le ginocchia mi tremavano ed anche se non volevo avvicinarmi più di tanto all'estremità del tetto, provai a fare lentamente un piccolo passo verso di lui.

«Tranquillo! Non cadrò! Non ora.» Disse con molta calma e freddezza, come se non avesse alcun timore di scivolare e finire di sotto. Quando lo vidi indietreggiare di qualche centimetro, tirai un sospiro di sollievo e sentii le mie gambe afflosciarsi e cedere dalla tensione fino ad accasciarmi per terra.

«Vieni qua!» Mi invitò a raggiungerlo, ma io esitai. Daniel mi tese la mano di nuovo, come aveva fatto poco fa per aiutarmi ad arrampicarmi.«Non avere paura.» Sussurrò.

Avevo sempre avuto terrore delle altezze e dei luoghi troppo elevati, ma ogni volta che Daniel mi tendeva la mano, mi sentivo attratto da lui come ad una calamita, così non potei fare altro che stringerla ed alzarmi mentre mi avvicinai barcollante di fianco a lui.

«Adesso urla!» Mi strinse la mano. «Urla!» Mi incitò nuovamente mentre lo guardavo con un sguardo perplesso.

Cos'erano i sussulti che provavo dentro al petto come violente martellate? Era la paura di cadere? Essere a chissà quanti metri d'altezza sopra un tetto e sentire il vuoto a pochi centimetri dai piedi? Oppure era la stretta salda della mano fredda di Daniel che teneva la mia, la vista dei suoi capelli al vento e i suoi occhi su di me a farmi provare un tuffo al cuore?

Chiusi gli occhi e provai ad urlare, ma venne fuori soltanto un debole stridio.

«Nah! Non va bene così! Devi lasciarti andare! Fai come me!»Daniel gonfiò il petto e gridò a squarciagola. «Liberati della paura! Riprova!»

Ubbidii. Gonfiai il petto anch'io, chiusi gli occhi e gridai verso il vuoto con tutta la forza che avevo, una e più volte e con quelle urla tirai fuori tutta la paura che provavo in quel momento. Daniel si unì a me e urlammo all'unisono. Quando smettemmo mi accorsi che le ginocchia non mi tremavano più. Tenni ancora gli occhi chiusi, ma avere a fianco a me Daniel e la sua mano stretta alla mia mi fece sentire più sicuro e capace di qualsiasi cosa, proprio come mi aveva detto.

«Ti senti meglio adesso?» Le nostre mani si staccarono, anche se la mia aveva già nostalgia della sua.

Riaprii gli occhi e quando guardai il vuoto sotto di noi, la mia vista si oscurò per qualche secondo e persi l'equilibrio. Sentii che stavo per cadere all'indietro e per sostenermi, con la mano afferrai il braccio di Daniel che preso di sorpresa non ce la fece a sorreggermi, ed io mi ritrovai in un istante per terra con le sue ginocchia che abbracciavano il mio bacino.

«Fammi indovinare. Vertigini?» Un sorriso gli sollevò l'angolo destro della bocca. Le labbra carnose, i denti bianchissimi, le guance rosee e quella dannata fossetta. Il suo corpo era sopra il mio. Sentivo il battito pulsare nelle vene.

La distanza che c'era tra di noi era dovuta soltanto dalle sue braccia ai lati della mia faccia che sorreggevano il suo busto di qualche centimetro. Lo guardai dal basso, e da quella prospettiva, notai le sottili vene che si gonfiavano di poco ai lati dei suoi occhi. Poche gocce fredde di pioggia iniziarono a picchiettare sul mio viso, e pian piano aumentarono d'intensità fino a confondersi con quelle che colavano dai capelli ormai fradici di Daniel sulla mia fronte. Non ci pensai troppo, e con i gomiti mi spinsi lentamente verso di lui, che rimase immobile sopra di me, sotto la pioggia mentre il mio respiro diventava sempre più lento e pesante.

Vuoi baciarmi, Daniel? Perché io si. Voglio farlo qui e ora. Voglio farlo adesso. Voglio farlo forse dalla prima volta che ho incrociato il tuo sguardo sfuggente e il tuo sorriso impercettibile. Se non ti sposti adesso, giuro che finirò per baciarti! Un centimetro, un altro centimetro ancora e giuro che se non ti sposterai, morirò di crepacuore. Morirò per il calore che sento venir fuori da quelle labbra semiaperte, e morirò consapevole di aver conosciuto il sapore che ha un tuo bacio.

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