39

394 50 56
                                    

Erano le prime ore del pomeriggio, il sole era alto nel cielo terso e le persiane semiaperte lasciavano intravedere i rami della malva che si muovevano sinuosi a causa della leggera brezza estiva, mentre la stanza si immergeva silenziosa nella penombra.

Un barlume di luce passava timido attraverso le lamelle, accarezzando la pelle chiara delle gambe di Daniel intrecciate alle mie.

I nostri corpi distesi sul letto, affaticati dalla nuotata mattutina, infiacchiti dal torpore dell'estate e stremati dal sesso.

Io concentrato sulla lettura, lui con la testa poggiata sul mio petto che si lasciava toccare i capelli dalle dita della mia mano quando non era costretta a staccarsi da lui per voltare pagina.

Dopo averlo fatto, ritornavo nuovamente sulle sue ciocche, ci intrecciavo le dita, una, due volte, per poi lasciarle sciogliersi e cominciare ad accarezzargli la fronte, toccargli lo zigomo e percorrere con l'indice il perimetro della sua bocca asciutta, dalle labbra di zucchero, che sembravano essere state dipinte da un abile ritrattista. Voltavo un'altra pagina, e avvertivo già la nostalgia della sua pelle.

Poi all'improvviso mi sentii sfilare il libro dalle mani, Daniel si alzò dal letto e di scatto mi prese per i polsi trascinandomi con lui in salotto.

«Non l'hai ancora fatto!»

«Di che stai parlando?»

«Mi hai sempre detto che riesci a suonare, ma da quando siamo entrati in questa casa e hai visto questo pianoforte non hai fatto altro che ignorarlo per tutto il tempo. Mi piacerebbe assistere ad una tua performance.»

«Io... non ho mai detto di riuscire a suonare, al massimo strimpello qualcosa...»

«Devo implorarti per convincerti?»

«Non credo ne valga la pena, davvero...»

«Non accetterò un no come risposta!», mi prese con forza per le spalle, mi portò verso lo sgabello davanti al pianoforte, e mi ci fece sedere sopra.

Lui prese posto sulla poltrona, proprio di fronte a me. Accavallò una gamba sull'altra, poggiò il gomito sul bracciolo e affondò la guancia dentro al palmo della mano. La testa piegata in una curiosa attesa e i suoi occhi verdi sgranati fissi sui miei. Le sue labbra vermiglie e dischiuse ed io che lo guardavo con un'espressione completamente assorta, perso nella prepotenza della sua bellezza.

«Qualsiasi cosa andrà bene, mon petit prince.», ed io feci scivolare delicatamente le dita sui tasti non prima di aver preso un profondo respiro.

Poi cominciai a suonare.

Per cercare di impressionarlo, scelsi la "Ballata in Sol minore di Chopin", una delle poche che riuscivo a ricordare e che avevo imparato grazie a mio nonno.

Iniziai con le poche battute del Largo introduttivo. Per un breve istante lo spiai con lo sguardo. Gli occhi chiusi e le dita della sua mano che tamburellavano sul velluto del bracciolo della poltrona, seguendo perfettamente la cadenza delle note.

Una sola occhiata fu abbastanza per distrarmi e perdere la concentrazione, così improvvisamente non riuscii più a continuare e fui costretto a fermarmi.

«Che succede?»

«Scusami, io... Ti avevo detto di non essere molto bravo...»

Nel frattempo Daniel si era già alzato dalla poltrona ed era arrivato alle mie spalle, dietro lo sgabello dove mi trovavo seduto. Si chinò in avanti, portò le mani sul pianoforte e le sue braccia ai lati del mio corpo che mi circondavano.

«Non puoi suonare Chopin come se stessi suonando Mozart, mon petit prince.» Sussurrò al mio orecchio, con un tono di voce dolce, capace di accarezzarmi la pelle. «Chopin è delicato. Si dice che questo sia uno dei più bei pezzi per pianoforte che siano mai stati scritti. Non puoi soltanto premere i tasti, devi imparare a sentire.»

«Sentire cosa?»

«La passione. Il dolore nascosto tra le note.»

Restai sbalordito. Lo guardai con uno sguardo attonito e non proferii parola. Per un secondo posò le sue dita fredde sulle mie e poi mi guidò delicatamente sul seguito della composizione.

Danzavamo all'unisono sui tasti neri e bianchi mentre sentivo il suo petto palpitare contro la mia schiena, il suo mento nell'incavo del mio collo, la musica di Chopin e il suo delicato profumo.

Un attimo perfetto che scorreva scandito dalle note del pianoforte.

«Non sapevo fossi capace di suonare.» Ritirai le mani dai tasti e gli feci spazio sullo sgabello facendolo sedere vicino a me.

«Questo perché non immagini come sia crescere come figlio unico in una famiglia con una madre francese e un padre inglese, ricco e snob. Sai la rottura a fare solfeggio a soli nove anni quando l'unica cosa che mi interessava davvero erano i videogiochi?» Sorrise scoprendo i denti bianchissimi.

«Com'è stato? Crescere con i tuoi in Inghilterra, esserti spostato in Francia per poi ritornare nuovamente a Londra?»

«Faticoso. Sin da quando ero piccolo, mio padre si era impegnato nell'ardua impresa di farmi diventare la sua perfetta copia. O per lo meno, ci ha sempre provato. Mi voleva con un educazione scolastica rigida e impeccabile. Desiderava farmi conoscere tutto sulla politica, la costituzione, l'arte, la musica e le buone maniere. Cercava di trasformarmi in un piccolo lord, figlio di un'aristocrazia che ormai non esiste neanche più. Voleva fare di me un trofeo da esporre con orgoglio per riempire il suo ego e sentirsi un padre migliore di quello che ha avuto lui.»

«E tua madre invece?»

«Oh, mia madre era tutto il contrario, un tornado di emozione e spontaneità. Era la figlia di un curatore d'arte. Nata e cresciuta nelle campagne francesi. Uno spirito libero e ribelle. Nonostante ciò, cercava di rispettare le idee di mio padre, e riusciva sempre a trovare un compromesso, mantenendo la famiglia unita.»

«Che è successo poi?»

«Mio padre tradì mia madre, più di una volta. Lei lo scoprì e decise di fare le valigie e tornare in Francia, portandomi con sé. Per quanto da fuori possa sembrare terribile, trasferirmi a Parigi fu una delle cose più belle che mi sia mai capitata nella vita. Fu come uscire da una prigione di cristallo che mio padre aveva costruito intorno a noi. Mi ritrovai da un giorno all'altro a vivere in un monolocale nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés, frequentare una scuola pubblica e cenare con del cibo precotto sul divano. Non mi sentii più libero in vita mia come in quel momento.»

«Anche tua madre era felice lì?»

«Aveva sofferto già molto a Londra, quando nonostante i tradimenti, cercava in qualunque modo di salvare la loro relazione. A Parigi ebbe l'opportunità di farsi una nuova vita. Lavorava per una pasticceria, i suoi dolci erano davvero ottimi... Oh, il sapore della sua torta meringata al limone mi perseguiterà per sempre! Nel tempo libero scriveva molto, dappertutto, e se ne avvertiva l'esigenza o sentiva arrivare l'ispirazione, lo faceva persino in qualunque posto si fosse trovata. Aveva da poco firmato un contratto con una casa editrice, era riuscita a pubblicare il suo primo romanzo quando le fu diagnosticato il cancro. Dopo la sua morte, tornare da mio padre in Inghilterra fu qualcosa di orribile. Odiavo lui per averla tradita e ai miei occhi, Caren, non era altro che una perfida nemica. Sono sicuro ricorderai ancora i nostri litigi e le nostre urla fuori dalla tua stanza, quando eri ancora nostro ospite.»

«Come potrei mai dimenticarle?» Scoppiai in una risata e poi tornai subito serio. «Mi dispiace per tutto quello che hai dovuto passare. Ti meriti tutta la felicità del mondo, Daniel...», dissi dopo aver poggiato la testa sulla sua spalla.

«Mi basti tu, mon petit prince.» Mi diede un bacio sui capelli, poi mi accarezzò la guancia. «Non possiamo lasciare la ballata di Chopin inconclusa! Sarebbe davvero scortese!» Mi fece un sorriso e riprese a suonare dal punto in cui avevamo interrotto.

Nota dopo nota, le sue dita affusolate si muovevano sul pianoforte con estrema abilità, grazia e maestria.

La mia testa ancora sulla sua spalla ed il mio sguardo fermo ad ammirarlo mentre mi innamoravo di lui ogni istante di più.

La ballata stava quasi per terminare, finché le sue mani non si fermarono improvvisamente insieme all'ultima nota del pianoforte che restò appesa nell'assoluto silenzio.

Poi le sue palpebre farsi pesanti.

Non ebbi il tempo di vederlo accasciarsi sul parquet, che il tonfo causato dalla caduta del suo corpo esanime contro il pavimento, riecheggiò per tutta la stanza.

AMORE89Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora