61. Sebastian (parte 2)

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Dopo aver fatto la doccia ed essermi rivestita con i suoi indumenti, faccio ritorno in stanza e osservo Aiden mentre nel silenzio più totale va a prendere il mio posto all'interno del bagno. Nel mentre che attendo che il ragazzo si faccia nuovamente vivo, mi soffermo ad osservare gli spazi attorno a me, scrutando con minuziosa attenzione l'arredamento monocromatico e giovanile della stanza. Con un accenno di riluttanza mi muovo in direzione dell'armadio aprendo entrambe le ante laccate di nero. Guardo cosa vi è all'interno e per poco non urlo quando un respiro caldo entra in collisione con la pelle delicata del mio collo. «Cosa stai facendo?» Mi volto immediatamente in direzione di Aiden, le guance livide per essere stata colta in flagrante a frugare fra le sue cose. Non mi sono affatto accorta che l'acqua avesse iniziato e poi smesso di scorrere all'interno del bagno. Eppure, il suo corpo parzialmente nudo e ancora gocciolante è la conferma del fatto che si sia fatto la doccia. I capelli scuri e filiforme per l'acqua che li impregna, gli ricadono con una delicatezza disumana sul viso, rendendolo però al tempo stesso più spigoloso e ammaliante. Faccio per parlare, ma in quel esatto istante il mio sguardo cade verso il basso e mi sembra di perdere improvvisamente la mia capacità di parola. Un tenue "oh" è l'unico suono che fuoriesce dalle mie labbra alla vista dell'addome ben definito e ricoperto da centinaia di minuscole gocce d'acqua che gli imperlano la pelle piuttosto pallida. «Mi era parso di toccare qualcosa quando cercavo di provocare Amelie e Savannah, ma questo ben di Dio va ben oltre la mia più fervida immaginazione.» Mi tappo la bocca con una mano quando mi rendo conto di averlo detto ad alta voce e di non averlo unicamente pensato. La mia sfrontatezza lo fa scoppiare a ridere. «Vedo che non hai ancora imparato ad avere un filtro bocca-cervello.» Si prende gioco di me sfiorandomi in modo lieve con le nocche sulla guancia. Mi mordo la punta della lingua con gli incisivi per non riempirlo di insulti in spagnolo. La sua espressione torna nuovamente seria. «Perché stavi frugando nel mio armadio? Questa volta però cerca di guardarmi negli occhi mentre mi rispondi.» Roteo gli occhi al cielo e imito una risata civettuola e chiaramente derisoria. Decido dunque di puntare ad una risposta ironica. «Stavo controllando che non avessi qualche scheletro nell'armadio.» Sollevo le spalle con scioltezza. Aiden sbuffa e successivamente mi sposta di lato per afferrare dei vestiti e lasciarsi successivamente cadere l'asciugamano di dosso; mi volto immediatamente, prima che i miei occhi possano adocchiare qualcosa di estremamente osceno e allo stesso tempo allettante. Non mi rendo conto di essermi coperta il volto con le mani fino a che non è Aiden a spostarmele dal viso con delicatezza e anche un mezzo sorriso divertito ad increspargli le labbra rosee.

Il giovane uomo non pronuncia alcuna parola, con la mano mi fa cenno di sedermi sul bordo del letto mentre si allontana in direzione della scrivania. Mi vengono i brividi quando lo vedo sollevare un asse di legno del parquet. Non so se sperare o meno che sia l'altra lettera che avevo adocchiato la scorsa volta. Non posso fare a meno di tirare un sospiro di sollievo quando constato che fra le sue dita vi è il collo di vetro di una bottiglia di tequila pregiata. Mi porge l'oggetto facendomi un lieve occhiolino dal doppio senso. «A te l'onore di aprirla.» Mi mordo il labbro inferiore, fin troppo tentata di rispondergli a tono con una battuta maliziosa che lo spiazzerebbe. No Kalea, non è questo il momento di provocarlo. Faccio un respiro profondo e mi concentro a rimuovere il cappuccio in plastica della bottiglia, per poi iniziare a svitare lentamente il tappo in sughero in modo tale che non faccia un botto nel bel mezzo della notte. «Sei capace di aprire una bottiglia?» domanda con il divertimento impresso in volto mentre scruta il movimento delle mie mani. «Sto solo cercando di non fare rumore.» borbotto infastidita dai suoi modi sempre tanto prepotenti e altezzosi. «Perché mai? Questa camera è insonorizzata.» Cerco di non far caso ai doppi sensi che trasudano dalla sua voce e riesco finalmente a stappare la bottiglia. Aiden muove un passo nella mia direzione, sfiorando con le sue gambe le mie ginocchia e chinandosi con il busto in avanti. «Potresti urlare e nessuno sarebbe in grado di sentirti.» Di colpo la sua voce sembra diminuire di qualche tonalità, divenendo così più roca e ammaliante. Alterno ripetutamente lo sguardo fra i suoi occhi di ghiaccio e l'imbocco della bottiglia. «Potrei farti urlare e nessuno lo sentirebbe; a parte noi due ovviamente.» Ed è proprio in quel esatto istante che decido di portarmi la bottiglia alle labbra e bere la tequila a sorsi pur di aumentare la distanza fra i nostri corpi fin troppo vicini. Lo sguardo di Aiden mi scorre dalle labbra attaccate alla bottiglia, al collo che fa su e giù ad ogni sorso, per poi infine scoppiare a ridere scuotendo il capo in maniera sconsolata. «Non pensavo avessi tanta paura di godere.» Per poco non sento la tequila riversarsi al di fuori delle mie narici nel mentre che prendo a tossire per le sue parole. «Diciamo che questo non è esattamente ciò di cui vorrei parlare.» bofonchio fra un colpo di tosse e un altro. Alza apparentemente le mani in segno di resa prima di dirigersi in prossimità del davanzale della finestra. Lo osservo mentre con le dita sembra perlustrare attentamente la parte inferiore del bordo in marmo della finestra. Sorride nel momento esatto in cui si avverte un piccolo rumore simile ad un "click" nell'aria. Un piccolo pezzo di muro si stacca rivelando un minuscolo scompartimento in cui lui infila immediatamente le dita estraendo un qualcosadi simile ad una di quelle sigarette che si fanno a mano. Roteo gli occhi al cielo quando comprendo di cosa si tratta. «Sul serio? Vuoi davvero fumare quella roba proprio adesso?» Mi lancia un'occhiata dalla testa ai piedi. «Ha parlato il vecchio saggio con una bottiglia di tequila già a tre quarti» Mi rendo conto che non posso fargli la predica se poi io non sono tanto meglio, dunque mi limito a sbuffare sorseggiando ancora un po' di alcool. Tamburello delicatamente le dita sul vetro della bottiglia prima di permettere al mio sguardo di incrociarsi nuovamente con il suo. Sospiro piano. «Hai detto che non ci devono più essere bugie fra di noi...» parlo piano, schiarendo più volte la voce a causa del bruciore lasciato dalla tequila lungo la mia gola. «È così infatti.» Aiden espira una piccola nuvola di fumo bianco rispondendomi. «Allora ho bisogno di sapere cosa ci facevi alla festa e perché avevi in tasca dieci milioni di dollari.» Sentenzio con fermezza riacquistando la mia determinazione, lasciando che tutta la mia forza d'animo s'intraveda dai miei occhi. «Non vuoi veramente saperlo.» taglia corto il ragazzo portandosi la canna alle labbra. Mi mordo la lingua per non pronunciare nulla di offensivo, ma alla fine decido di non pormi alcun limite. «Sono io che non voglio saperlo o sei tu che non ne vuoi parlare?» Lo scruto con insistenza in attesa di una risposta che sia in grado di soddisfare la mia curiosità. «Pensa ciò che vuoi.» svia per l'ennesima volta il discorso. Appoggio la bottiglia sul comodino accanto a me in maniera fin troppo brusca e mi sollevo dal letto per poter giungere difronte a lui. «Parli tanto di onestà e di non avere segreti e poi sei il primo che non ha nemmeno il coraggio di darmi uno straccio di spiegazione!» contrariamente alle mie aspettative, il tono con cui pronuncio il tutto è fin troppo calmo, seppur carico di un gelo in grado di far venire la pelle d'oca. «Non ho mai detto che avessi intenzione di raccontarti ogni cosa.» Solleva le spalle con indifferenza, facendomi innervosire all'inverosimile. «Allora come pretendi che io possa fidarmi di te e raccontarti del mio passato?!» Gli punto un dito contro il petto con la rabbia negli occhi. «Tu devi farlo, sei una mia subordinata, e in quanto capo clan io devo assicurarmi che le nuove reclute non siano un pericolo per la mia gente.» La delusione è fortemente dipinta sul mio volto incredulo. Siamo davvero ritornati a questo? Mi faccio forza cercando il contatto visivo con le sue iridi serie. «Non pensi sia un tantino troppo tardi per fare questo discorso? Vorrei ricordarti che ho già preso parte a diverse attività del clan e nonostante ciò, tu non sei ancora a conoscenza della mia storia, dunque, dimmi, dov'è il senso logico del tuo discorso?» Incrocio le braccia al petto con evidente presunzione. Aiden stringe i denti con insistenza, facendo così guizzare i muscoli della mascella. «Il senso sta nel fatto che ho appena scoperto che Sebastian Diaz è il tuo fratellastro, nonché capo del clan di cui io sono acerrimo nemico!» Lo scruto con incredulità prima di emettere una lieve risata derisoria. «Però ti sei fidato a mettermi la lingua in bocca immediatamente dopo averlo saputo.» puntualizzo in tono piccato. Aiden retrocede con il busto, evidentemente punto dalla veridicità delle mie parole. «Quella era solo attrazione fisica.» tenta di giustificarsi non capendo che questa volta sono molto più agguerrita del solito. «Dunque scommetto che dirmi che ero la cosa più bella su cui i tuoi occhi si fossero mai posati, era solo perché lo spirito di Shakespeare aveva inaspettatamente preso possesso del tuo corpo.» Mi passo la lingua sulle labbra con evidente divertimento. Prima che possa rispondere, prendo nuovamente parola io. «E scommetto che "farei di tutto per te", era anch'essa una frase dettata dal momento. Anche quella serviva a fare scena?» Aiden resta in silenzio senza neppure avere il coraggio di guardarmi negli occhi. Tutto ciò non mi ferma dal proseguire. «Ti stai palesemente arrampicando sugli specchi, quindi perché non provi a concedermi un briciolo di verità per una volta?!» Le sue spalle tremano leggermente mentre sospira. «Non ero a conoscenza dell'accordo che hai stipulato con MC, l'ho scoperto solo dopo e non sai quante avrei volute dirtene dietro per questo! Sai quanto cazzo sei stata incosciente?!» domanda voltandosi improvvisamente verso di me con la voce colma d'ira e preoccupazione. Retrocedo di un passo, per niente pronta al suo movimento improvviso. «Pensi davvero che ho avuto scelta?» domando con sentita ironia. Aiden ammutolisce di colpo. «MC ti ha costretta?» Sembra riflettere intensamente sulle mie parole. «In principio ho tentato di rifiutare, ma mi ha lasciato intendere che non avessi molta scelta.» spiego puntando il mio sguardo verso il cielo stellato fuori dalla finestra. «Nonostante ciò, non riesco ancora a comprendere cosa ci facessi tu lì.» Mi volto di nuovo con il busto verso di lui. Aiden stringe le mani in due pugni, tenendo allo stesso tempo le braccia tese attaccate al corpo. C'è qualcosa che lo tormenta nell'animo, eppure non riesco a comprendere dai suoi occhi cosa sia. Lo vedo sospirare prima di sedersi sul bordo del letto con occhi tristi e un'altra emozione che non sono in grado di decifrare dal suo sguardo. «Nel tardo pomeriggio, dopo diverse commissioni sono finalmente tornato a casa e lì ho incontrato MC che se la stava ridendo allegramente da solo, non ne comprendevo il motivo, fino a che non gliel'ho chiesto, e a quel punto ho capito cosa stesse effettivamente accadendo. Ti ha mandato al ballo con l'intento di capire se tu conoscessi o meno una persona, e arrivati a questo punto mi sembra di comprendere alla perfezione a chi si riferisse con esattezza.» Lo osservo con attenzione, avvicinandomi a lui di un passo mentre il modo frettoloso in cui si passa le mani nei capelli non fa che accrescere la mia curiosità ed i miei sospetti. Abbasso lo sguardo sul pavimento. «Voleva capire se io conoscessi Sebastian.» sussurro flebilmente la frase, nuovamente travolta dalle intense emozioni che la sua vista mi ha causato. «A quanto pare lo conosci anche meglio del previsto.» sentenzia Aiden in maniera piuttosto piccata. Sospirando mi siedo a mia volta sul letto, assicurandomi però di essere ad almeno mezzo metro da lui. «La storia della mia famiglia è così travagliata che a malapena mi ricordo ogni cosa di tutto ciò che è accaduto nell'arco di poco meno di due decenni. Io e Sophia abbiamo in comune sia la stessa madre che lo stesso padre, mentre Sebastian è consanguineo a noi solo dal lato paterno. Sai, ognuno vive le cose a proprio modo, fin da piccola Sophia non ha fatto altro che incolpare Sebastian per la mancanza di una figura paterna nella sua vita, io ho sempre avuto la consapevolezza di non essere altro che un errore in una situazione ancor più sbagliata. Ho convissuto con la consapevolezza di avere una famiglia disastrata fin dalla tenera età, e in parte devo ringraziare mia madre, non mi ha mai nascosto quanto facesse schifo mio padre, né tanto meno quanto lei in realtà provasse ancora qualcosa per lui. Ironico, non credi? Un criminale piomba nella tua vita, tu te ne innamori follemente, ci hai una figlia, ti tradisce, da quel tradimento nasce un figlio, anni dopo lo rincontri in un bar e da una scopata ci nasce una seconda figlia, ma nonostante tutto ciò, nonostante il trascorrere degli anni, tu non puoi fare a meno di essere innamorata di lui. Da piccola credevo che fosse tutto molto romantico, un po' come due amanti che si vedono solo una volta ogni tanto e in quei momenti devono condividere di tutto, ma quando fui abbastanza grande da capire e avere le mie idee e la mia morale, compresi che non vi era nulla di più tossico. Ho semplicemente smesso di credere all'amore. Che senso aveva stare male per una persona che si ricordava di te una volta l'anno, o quando si sentiva troppo solo per scoparsi una semplice puttana?» La voce mi si incrina per il dolore. «Non sai quanto dolore loro due hanno riversato su me e Sophia. Ogni volta che litigavano, la mamma se la prendeva con me, d'altronde ero io l'errore, mentre Sophia ci rimetteva perché tentava di difendermi, ad ogni costo, beccandosi alle volte anche delle percosse al posto mio. Si può dire che sono cresciuta a schiaffi e punizioni.» tento di ironizzare, ma il sorriso si spegne immediatamente sulle mie labbra. «La verità è che sono dovuta crescere da sola. Sophia mi voleva bene, ma ho sempre sospettato che in realtà, sotto sotto, lei incolpasse anche me per la mancanza di una presenza paterna costante nella sua vita. La consapevolezza di non avere un padre a me non ha mai pesato, da piccola, forse, probabilmente perché ero troppo ingenua e vederlo poche volte all'anno mi sembrava normale, ma raggiunta una certa età ho compreso che avrei voluto essere tutto fuorché come mia madre: disperata e dipendente da un uomo.» «Ora capisco come mai non ti lasci mai mettere i piedi in testa da nessuno.» commenta Aiden distraendomi momentaneamente dai miei pensieri. «Non l'ho propriamente deciso io, è semplicemente diventato un meccanismo di difesa. Non sai effettivamente quanto mi sia stato utile nel corso degli anni, ad un certo punto ricordo che si arrese anche mia madre alla mia testardaggine, avevo circa undici o dodici anni quando accadde.» Mi tiro le ginocchia al petto come a volermi difendere e consolarmi dai brutti ricordi. «Nonostante il lavoro illegale di mio padre, non è che avessimo poi così tanti soldi, difatti vivevamo in una sorta di fattoria, ricordo ancora quando all'età di quattro anni mi divertivo a rincorrere le galline per il giardino, gettando loro addosso il mangime nella speranza di farmele amiche; ti assicuro che questa tecnica non ha mai funzionato.» Un sorriso malinconico smuove le mie labbra ma senza giungere agli occhi. «Quando i bambini non mi prendevano in giro per la mancanza di un padre, lo facevano sul mio aspetto fisico, criticando il mio peso, i miei vestiti bucati o le scarpe logore dal tempo. Tutti i loro giudizi mi hanno scalfito nel corso degli anni, creando la maschera che utilizzo all'esterno per proteggermi da tutto e tutti.» I suoi occhi velati di malinconia mi fanno sentire oltremodo a disagio. «Non guardarmi così, non sto chiedendo la tua pietà.» mi irrigidisco quando sento l'aria spostarsi non appena il suo corpo si trova accanto al mio. «Non sto tentando di rendermi compassionevole ai tuoi occhi.» sottolinea giocando distrattamente con un mio riccio; roteo gli occhi al cielo, ma per una volta decido di non ammonirlo per tale gesto. «Sono sempre stata a conoscenza dell'esistenza di Sebastian, per i miei primi anni di vita l'ho semplicemente ignorata. Per quanto Sophia tentasse di influenzarmi con il suo odio, io non mi smossi mai dagli ideali ingenui che avevo a quella tenera età; non mi piaceva condannare la reputazione di qualcuno semplicemente per via di alcune dicerie di paese, questo poiché io ho vissuto quelle stesse dicerie sulla mia pelle e sul mio conto. Non ho mai condannato Sebastian per essere il figlio bastardo di un uomo infedele, ho sempre condannato mio padre per aver reso cornuta mia madre, e queste sono due cose completamente diverse. Hai mai sentito parlare di un certo Giacomo Leopardi?»Aiden pare confuso dal mio repentino cambio di argomento. «Se non ricordo male era un poeta italiano e veniva definito da tutti "pessimista".» annuisco storcendo leggermente le labbra. «Non lo definirei tanto pessimista, quanto più un realista incompreso dalla società, ma non è questo il punto. Leopardi è conosciuto per le sue poesie, ma in realtà egli scrisse anche dei testi in prosa, uno fra i quali: Dialogo della Natura e di un Islandese. Penso che non sia uno dei suoi testi più conosciuti e in parte mi dispiace visto il grande significato che racchiude, difatti ricordo ancora il paragone che egli fece in alcune righe. Nel racconto Leopardi si identifica nell'Islandese che, dopo un lungo viaggio si trova a confronto con la Natura e, di fronte al suo cospetto non può che fargli alcune delle domande che più lo affliggono, ad esempio il suo non capire come mai la vita debba essere resa tanto difficile da quest'ultima quando lui non ha chiesto di essere al mondo. Con il paragone della villa, Leopardi tenta di far capire che la Natura è il proprietario, mentre lui è l'ospite; ciò rende la villa il paragone del mondo e l'invito ad entrare il paragone della vita, ovvero che noi non scegliamo di nascere, dunque perché dovremmo subire il malcontento di chi ci ha messo al mondo?» Mi appassiono talmente tanto al racconto che mi rendo conto del modo in cui Aiden mi guarda solo nel momento in cui prendo fiato, facendomi avvampare di colpo. «Tutto questo per dire che non condanno Sebastian per essere venuto al mondo, non ha scelto lui di nascere, dunque non dovrebbe subire lui gli sbagli delle altre persone.» Tento ora di tagliare corto, mordendomi un labbro in imbarazzo, sperando che la conversazione prenda velocemente una piega completamente opposta a quella attuale. Ben presto mi rendo conto che Aiden non pare minimamente intenzionato a interrompere il mio racconto dunque, con non so bene quale forza d'animo, riprendo a narrare della mia sciagurata infanzia. «Come ti stavo dicendo: ho semplicemente ignorato l'esistenza del mio fratellastro, all'incirca fino ai miei sei anni, quando mio padre ebbe la malsana idea di farci vivere tutti sotto lo stesso tetto, amante compresa. Era convinto che questo ci avrebbe fatto risparmiare molti soldi, e noi già non ne avevamo tanti all'epoca. Per quanto fossi piccola, capii in fretta che ciò avrebbe portato non poco scompiglio nella mia famiglia, e così fu. Fin dal primo giorno ci furono litigi su litigi. Mia sorella Sophia era abbastanza grande da comprendere a pieno tutta la situazione, eppure questo non le fece nascere un briciolo di compassione nei miei confronti, tant'è che ero sempre io a subirmi l'ira di mia madre per ogni singola cosa, lei decise di lavarsene le mani nel momento in cui capì che io non odiavo la situazione quanto invece la odiava lei. Se fino a quel istante mi aveva sempre difesa, da quel momento in poi smise di farlo. Non dimenticherò mai il giorno in cui Sebastian vide per la prima volta mia madre sfogarsi su di me per qualcosa che aveva fatto quel bastardo di mio padre; da allora, ogni singola volta che li sentiva litigare, veniva in camera mia, mi prendeva per mano e mi portava nella stalla costruita in giardino. Aspettava con me che le acque si calmassero definitivamente prima di farmi rientrare in casa. Inizialmente credevo che volesse unicamente giocare con me fra la paglia e le galline, lentamente compresi che lo faceva per evitare che mia madre mi mettesse le mani addosso e, quando iniziai a capirlo, lo vidi per la persona che era realmente, non per quello che tutti dicevano che fosse.» Il corpo mi si ricopre di brividi al ricordo di tutte quelle percosse. Vorrei aver avuto tutta la forza d'animo che ho adesso. Vorrei potermi essere ribellata. Il ragazzo al mio fianco afferra un mio riccio e se lo attorciglia delicatamente attorno al mio dito. «Quindi fra tutto il male, lui è stato il tuo bene.» Annuisco alla sua affermazione per poi abbassare lo sguardo sulle mie mani. «Vorrei che non fosse così, ma ciò che ti ho appena descritto è solo l'inizio di tutto il male che ho dovuto affrontare nella mia vita.» Aiden mi scruta con attenzione, i suoi occhi sono gentili e non mi giudicano ad ogni respiro come invece avrebbe fatto chiunque altro. Sono certa che agli occhi di ogni altra singola persona presente sulla terra, io sarei semplicemente apparsa come una finta vittima intenta a martoriarsi per ottenere delle stupide attenzioni. «Ci credo senza alcuna ombra di dubbio. Come ti ho già detto in spiaggia: i tuoi occhi parlano molto più di quanto faccia la tua bocca.» Vago con lo sguardo per tutta la stanza, senza mai soffermarmi su niente in particolare, cercando al contempo di temporeggiare. Non so se sono pronta a fidarmi di lui, ho come il presentimento che voglia sfruttare le mie debolezze per raggirarle contro di me, esattamente come tentava di fare all'inizio della nostra conoscenza...e anche un'ora fa. I miei occhi incrociano i suoi, facendo così crescere a dismisura il dilemma che dimora in me e mi arrovella insistentemente la massa grigia che mi ritrovo nel cranio. Fidarsi o non fidarsi, è questo il dilemma! Esasperata dalla situazione in cui io stessa mi sono cacciata, espiro violentemente per liberarmi da tutta la tensione che mi sento addosso. «Sebastian mi ha salvata in ogni modo possibile. Non gli sarò mai grata abbastanza per tutto ciò che ha fatto per me. Si può praticamente dire che mi abbia cresciuta lui.» Aiden aggrotta le sopraccigli con confusione. «Non ha pochi anni in più di te?» Domanda con riluttanza. «Lui ha dovuto imparare a crescere da solo, e molto più in fretta di me.» Mi mordo il labbro inferiore alla visione di tutti i ricordi che mi ripercorrono la mente come se fossero appena stati impressi lì per la prima volta. «Un po' come tutti noi.» si trova a commentare il ragazzo ottenendo il mio assenso. «Era lui a giocare a nascondino con me solo per nascondermi dai miei genitori. Era lui a tapparmi le orecchie quando per strada i bambini mi prendevano in giro per il mio fisico. Era lui a farmi le boccacce per farmi ridere ed evitare che io piangessi quando cadevo e mi facevo male. Era lui a prendermi la mano e trascinarmi via ogniqualvolta delle ragazze mi provocavano per vedermi reagire. Era lui a picchiare tutti i ragazzi inopportuni che ci provavano con me. Lui era il mio eroe.» Mi stringo le ginocchia al petto con una certa malinconia. Aiden sospira scuotendola testa. «Ti rendi conto che mentre lui faceva tutto questo per te e ti trattava come una principessa, al mondo esterno dava solo l'impressione di essere un pazzo maniaco assassino?» Dinanzi alle parole insensibili di Aiden non posso fare altro che alterarmi e volgergli uno sguardo truce che lo percorre dalla testa ai piedi. «Pensi davvero che non lo sapessi?» Inarco un sopracciglio pera ffermare con maggiore incisività quanto appena detto, facendo così apparire una domanda come un'affermazione. «Quindi tu lo sapevi e la cosa ti andava anche a genio?!» domanda con una tale incredulità che pare colpirmi al volto peggio di uno schiaffo. «Mi pare che nemmeno tu sia tanto innocente, eppure eccomi qui a rivolgerti la parola e tollerarti quanto meno il minimo indispensabile.» rispondo piccata e sulla difensiva. Si permette ogni volta di criticare senza sapere nulla, non mi lascia mai finire di parlare e poi pretende di conoscere le cose. Aiden mi stai davvero facendo girare le palle che non possiedo fisicamente. « "Tollerarmi quanto meno il minimo indispensabile", interessante, vedo che facciamo degli ottimi progressi nel nostro rapporto.» La sua ironia non ha altro scopo se non che di infastidirmi e farmi innervosire. «Vuoi conoscere la storia o preferisci che me ne vada?» Mi innervosisco ancora di più quando mi accorgo che sembra anche riflettere a lungo sulla domanda che gli ho appena posto. «Sei sempre il solito stronzo.» Lemie gambe scattano da sole, portandomi ad alzarmi dal letto e a dirigermi verso la porta per andarmene; la sua mano mi afferra per il polso e con delicatezza mi tira a sé. «Mi diverte stuzzicarti.» ridacchia leggermente. «Ti scaldi molto in fretta.» Mi fissa divertito con le sue maledette fossette ad incavargli le guance sollevate da un sorriso genuino. «Arriverà il giorno in cui sarò io a ridere di te, dopo che ti avrò riempito il culo di calci.» Digrigno i denti a causa della stizza, lasciando sibilare le "s" nel parlare. Aiden continua a prendersi gioco di me. «Ma quanto siamo delicate: delle vere e proprie donzell eeducate e dal linguaggio forbito.» Stringo le mani in due pugni per non tirargli uno schiaffo seduta stante. «Ti dico io dove mettertelo il linguaggio forbito...» Mi mordo la lingua per non proseguire oltre ed iniziare a insultarlo in due lingue diverse. Ridendo mi fa segno con la mano di tornare a sedere sul letto e, con non so quale voglia, decido di fare quanto da lui indicato. Appoggia un gomito al ginocchio e, con la mano chiusa a pugno sotto il mento, incrocia insistentemente le sue iridi cristalline con le mie. «Sarei curioso di sentire il continuo della storia.» afferma con leggerezza, spronandomi con un gesto dell'altra mano a proseguire il mio discorso precedentemente interrotto. Roteo gli occhi al cielo. «Stronzo.» borbotto con un filo di voce. «Vorrei ricordarti che ti sento.» commenta nel tentativo di infastidirmi. Gli rivolgo un sorriso dispettoso. «Se non avessi voluto essere sentita non l'avrei detto ad alta voce.» Espiro in maniera rumorosa. «Sebastian non ha salvato unicamente la mia infanzia, ma anche gran parte della mia adolescenza. Mi è stato accanto in momenti nei quali tutti gli altri invece si allontanavano da me. Negli anni mia madre smise di prendersela insistentemente con me, ma il suo sguardo sprezzante è una cosa che mi rimarrà per sempre incastrato nella pelle. L'orrore le dipinse il volto quando scoprì quanto effettivamente io e Sebastian legammo in quel periodo; eravamo talmente inseparabili che addirittura nostro padre aveva paura di separarci, anche solo per qualche ora.» Chiudo gli occhi cercando di ricordare i momenti vissuti con colui che io ho sempre considerato mio fratello. L'accenno di un sorriso mi nasce sul volto. «Ogni volta nostro padre trovava qualcosa affinché potesse metterlo in punizione e impedirgli di uscire, ma lui puntualmente trovava il modo di sgattaiolare fuori e raccogliermi dei fiori; me ne portava di ogni genere: dalle margherite alle rose, dalle peonie ai narcisi, dai gigli alle campanule. Non sarebbe mai stato scoperto se una volta non avesse deciso di esagerare, e al posto di limitarsi a cogliere un fiore dal campo, decise dirubare per me un'orchidea da una fioraia in fondo alla strada, la quale lo riconobbe e chiamò mio padre per avvertirlo del gesto "deplorevole", a detta sua, del figlio.» Aiden mi scruta con attenzione. «Tuo padre lo sgridò perché aveva rubato?» Sogghigno divertita prima di rispondere: «No, lo sgridò perché si era fatto beccare. Il giorno dopo gli insegno come rubare i fiori senza essere scoperto dalla fioraia.» Il ragazzo sembra essere incredulo della cosa per alcuni secondi prima di accennare una lieve risata. «Deduco che non ci si potesse aspettare molto altro da tuo padre.» Annuisco in accordo. «Deduci bene. Non mi aspettavo però che Sebastian continuasse su quella strada a dir poco "malavitosa".» Mi tiro le ginocchia al petto. Tutto questo è accaduto solo per colpa mia. Se non avessi sentito la necessità di volergli bene, un bene dell'anima, ora non sarei qui a parlare di lui come se fosse morto ma allo stesso tempo ancora vivo. «Scommetto che ti stai attribuendo la colpa dei suoi atteggiamenti.» Mi mordo il labbro inferiore evitando lo sguardo di Aiden.«Se lui ha deciso di essere un mostro non è di certo colpa tua.» continua a insistere il ragazzo non facendo altro che alimentare il mio malessere. «Tu non capisci!» Alzo il tono della voce fissando i miei occhi lucidi nei suoi. «Cosa dovrei capire? Tuo fratello è uno degli assassini più sadici sulla faccia di questa terra e vorresti farmi credere che la colpa sia tua e di qualche stupido fiore?» La perplessità di Aiden è palpabile dalla sua voce. «La prima persona che abbia mai ucciso in vita sua, l'ha ammazzata a causa mia! Per difendermi! Sei in grado di immaginare il senso di colpa che ho provato quando l'ho visto con le mani, i vestiti e il volto imbrattati di sangue altrui? Vuoi sapere però la cosa peggiore qual è stata? Quando ho visto nascere nei suoi occhi quel luccichio sadico e bramoso di sangue, quello stesso luccichio che l'ha spinto ad avvicinare la mano tremante alla bocca per leccarsi il sangue della sua vittima via dalle dita! Sono stata io la prima a sentirgli esclamare: "il sangue ha un sapore magnificamente dolce!". Voi ora lo conoscete tutti per questa sua frase cult, ma io l'ho fatta nascere.» Avverto le mani tremare ancora per lo sconcerto a quel ricordo crudo e innaturale. Il ragazzo dai capelli mori mi fissa giudicandomi profondamente con il suo sguardo cristallino. «Cosa vuol dire che l'ha fatto per difenderti?» domanda con l'orrore dipinto nella voce. «Avevo quattordici anni e quel giorno decisi di andare da sola nel parchetto vicino casa. Avevo appena litigato con mia madre, una di quelle classiche discussioni fra madre e figlia che non portano assolutamente a niente. Quel piccolo angolo verde era il mio rifugio; mi sedevo sempre sulla stessa panchina. Ripensandoci adesso, quel giorno c'era davvero qualcosa di diverso nell'aria, ma a quel tempo non avrei davvero saputo dirti cosa. Di certo, mai mi sarei aspettata di essere afferrata bruscamente dalle spalle con un fazzoletto intento a coprirmi il naso e la bocca. Non so se per paura o istinto di sopravvivenza, ma in quel momento trattenni il respiro,  evitando così di ispirare il cloroformio di cui era imbevuto il pezzo di stoffa. A quattordici anni non avevo la minima idea di come ci si difendesse da una cosa simile, ricordo solo che inizia a dimenarmi, fortuna volle che riuscii a colpire il mio aggressore nella costole abbastanza forte da fargli lasciare la presa e permettermi di scattare in avanti. Sebastian mi afferrò al volo prima che potessi ruzzolare al suolo con il fiato corto e i polmoni pressoché privi d'aria a causa di tutto il tempo che avevo trattenuto il respiro. Nell'unico istante in cui trovai la forza di sollevare lo sguardo, compresi dai suoi occhi che la questione non sarebbe andata a finire bene. Sebastian aveva sedici anni, il mio aggressore all'incirca attorno alla trentina. Ero spaventata come mai prima. Temevo per la mia vita e anche per quella del mio fratellastro. Non mi ero però resa conto che nella mano opposta a quella con cui mi teneva stretta a sé, Sebastian stringeva con forza un piede di porco. Nello stesso istante in  cui me ne accorsi io, se ne accorse anche l'uomo che mi aveva aggredita. Si mise a correre e Sebastian, dopo avermi lasciata andare delicatamente vicino alla panchina, si precipitò all'inseguimento. Gli urlai di lasciare perdere, di tornare indietro. Non mi diede ascolto. In poche falcate gli fu alle spalle e nel giro di qualche secondo il piede di porco impattò con il retro delle ginocchia dell'uomo. Egli cadde a terra e per un momento sperai che Sebastian avesse finalmente l'intento di desistere, ma nuovamente mi sbagliai. Sollevò il braccio e con tutta la forza possibile colpì il mio aggressore alla schiena. Ricordo perfettamente il rantolo di dolore che emise a quella bastonata. Pensi che Sebastian si fermò a quel punto? No, certo che no. Prese l'uomo per le spalle, lo voltò a pancia in su e dopo essercisi messo a cavalcioni sopra, prese a riempirgli il volto di pugni a mani nude. Sono pressoché certa che gli abbia rotto il naso, ad un certo punto si era sentito un rumore di ossa rotte e il naso aveva preso a sanguinargli copiosamente. Gli urlai nuovamente dismetterla ma Sebastian era fin troppo accecato dalla rabbia. Mio fratello prese di nuovo in mano il piede di porco e incominciò a colpire l'uomo con sempre più forza. Vidi il petto del mio aggressore smettere di sollevarsi, lo vidi esalare il suo ultimo respiro, Sebastian continuò a colpirlo per almeno altri cinque minuti, facendo zampillare il sangue del malcapitato ovunque. Quando finalmente la sua ira si placò lasciò cadere quella che ormai era diventata la sua arma del delitto e si alzò per raggiungermi. Rimasi completamente paralizzata sul posto. I miei occhi erano fissi sul suo corpo ricoperto dalla testa ai piedi di spruzzi di sangue color cremisi. A quella visione sentii il mio stomaco iniziare a venire meno. Ricordo ancora come seguì la traiettoria dei miei occhi sul suo corpo fino ad abbassare lo sguardo sulle sue stesse mani; la cosa impressionante è che il sangue era talmente tanto che non riuscivo nemmeno più ad intravedere un pezzo di pelle dalle mani agli avambracci. Proprio in quel istante vidi quel luccichio malsano nascergli negli occhi e il secondo dopo avvicinò la mano tremante al viso, tirò fuori la lingua e con aria fintamente esitante prese a leccare via il sangue dalle dita. Non sono in grado di descrivere il sorriso soddisfatto che gli si era dipinto in volto in quel momento. Solo quando gli sentii pronunciare: "Il sangue ha un sapore magnificamente dolce!", realizzai che il mio stomaco non avrebbe più retto, e così finii per piegarmi in due e vomitare sul prato qualsiasi cosa mi fosse rimasta nello stomaco fino a quel momento. Ora, ti aggrada di più la storia completa o quella riassuntiva?» Il mio sguardo serio e privo di ogni emozione sembra lasciare perplesso il ragazzo di fronte a me. «Tutto questo è raccapricciante.» Alla sua affermazione non posso fare a meno di inarcare un sopracciglio scuro. «Sai, non ti saprei dire se sia stato più raccapricciante osservare l'intera scena oppure quello che è accaduto dopo, quando ho dovuto aiutarlo a occultare il cadavere e a togliersi di dosso tutto quel sangue. Non ti saprei proprio dire. Anzi, forse sì, ovvero il venire a scoprire che tutto ciò è accaduto poiché mio padre si era messo contro le persone sbagliate e che queste per fargliela pagare volevano rapirmi e usarmi come ricatto, nonché vittima "punitiva" nel caso lui non avesse accettato di pagare la somma da loro imposta. Vuoi però sapere qual è la cosa divertente di tutta la storia? Sebastian lo sapeva! Era lì perché mio padre gli aveva detto di pedinare quella persona che sapeva che stava pedinando me! La mia vita era una fottuta pedina nel loro gioco di malviventi! Io ero la cazzo di esca!» 

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