22. Chili con carne

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I giorni passano in fretta, diventano settimane e in men che non si dica è passato un mese intero. Aiden non mi hai mai risposto a quel messaggio e a dire la verità, non mi ha nemmeno più scritta in generale. Non ho avuto modo d'incontrarlo, nemmeno per sbaglio. Zack sembra aver fatto la sua stessa fine, l'ho incrociato appena due volte nelle ultime settimane ed è strano visto che in teoria frequentiamo anche alcuni corsi insieme.

Guardo il mio riflesso attraverso lo specchio appeso al muro e velocemente cerco di distogliere lo sguardo. Sentendo un profondo senso d'inadeguatezza mi affretto ad alzarmi e a indossare una felpa che copre gran parte del mio corpo. In tutto questo mese ho finto di fingermi forte, ho finto con mia sorella che andasse tutto bene, ma in tutta onestà ho come l'impressione di aver fatto un susseguire di scelte sbagliate nella mia vita. Rimugino per l'ennesima volta sempre sulle stesse cose.

A piedi scalzi scendo dal letto ed esco dal buio della mia stanza, buio che utilizzo per simboleggiare quello che provo dentro di me in questo periodo. Le cose sono progredite così monotamente in queste ultime settimane che è stato quasi frustrante dover semplicemente andare a scuola, tornare a casa, mangiare, studiare, andare a fare le lezioni di guida e poi tornare a casa di nuovo. L'unica cosa positiva di tutto questo è che sono riuscita a prendere la patente prima di quanto mi aspettassi. Mentre percorro il corridoio con passo lento un triste ricordo mi porta a sorridere amaramente. L'istruttore era così sorpreso quando ha capito che in realtà la macchina la sapevo già guidare. Scuoto il capo e finisco di percorrere la distanza che mi separa dalla cucina scacciando dalla testa quel pensiero.

Arrivata in cucina inaspettatamente mi trovo davanti mia sorella intenta a preparare il pranzo. Mi appoggio allo stipite della porta e la osservo mentre lei cucina allegramente, canticchiando e dimenando i fianchi a tempo di musica. Sorrido consapevole che si spaventerà una volta che si sarà girata nella mia direzione, le cuffiette di sicuro non le avranno fatto accorgere del mio arrivo. Al contrario di quanto mi aspettassi, si volta nella mia direzione e mi sorride facendomi segno di sedermi a tavola. Faccio come dice e senza troppi convenevoli mi verso un bicchiere di spremuta nel bicchiere e lo sorseggio lentamente. Si toglie le cuffie e si volta nella mia direzione posizionando una generosa quantità di chili con carne nel piatto di fronte a me. Sollevo un sopracciglio e la guardo attraverso le ciglia. «Sophia sputa fuori il rospo.» La conosco come le mie tasche, ogni volta che prepara il chili è perché deve dirmi qualcosa che le è successo, solitamente qualcosa di bello. Si volta verso di me con occhi sognanti mentre finisce di sistemare le posate sulla tavola. Chiudo gli occhi sospirando avendo già intuito quello che mi attende. «Ho conosciuto un uomo!» esclama su di giri. Sbatto la testa sul tavolo con disperazione. Ci risiamo. «Eh dai, non fare così, hermanita.» Mette il broncio quando risollevo lo sguardo su di lei. «Si chiama Cage.» Per poco non mi affogo con la mia stessa saliva. «Come hai detto che si chiama?» domando dopo aver smesso di tossicchiare. «Lo so, non è il massimo come nome, ma ti assicuro che è un uomo fantastico. Ogni volta che ci vediamo mi offre un caffè o una ciambella. Quell'uomo è un tutt'uno con le buone maniere.» esclama sempre più esaltata. Tiro un sospiro di sollievo quando capisco che non si tratta affatto del ragazzo a cui stavo pensando. Quel Cage è tutto fuorché un uomo galante. Una smorfia di disgusto si forma sul mio viso al ricordo di quanto successo. «Perché quella faccia? Non ti piacciono gli uomini premurosi?» domanda ridacchiando. «No, no, affatto, semplicemente mi ha ricordato un'altra persona.» confesso affondando il cucchiaio in quella piccola porzione di paradiso. Chiudo gli occhi gustandomi quel primo boccone come se fosse la cosa più buona al mondo. Sophia ride vedendo la mia espressione. «Ogni volta che lo mangi, sembra come se fossi un affamato che non ha mai mangiato nulla del genere in vita sua.» Mi prende in giro con affetto. «Non è colpa mia se ogni volta lo fai più buono della volta precedente.» Sollevo le spalle pronunciando quello che per me è l'ovvio. Lei scuote il capo sorridendo e mangiando con gusto. «Si, forse hai ragione, questa volta mi sono davvero superata.» si complimenta da sola facendo scoppiare a ridere entrambe. Smuovo alcuni fagioli nel piatto senza guardarla negli occhi. «Siete già usciti insieme?» domando cercando di sondare il terreno. Annuisce timidamente. «Ti ricordi la sera in cui ti ho detto che avevo uno straordinario da fare?» Annuisco. «In realtà ero fuori a cena con lui.» confessa con le guance arrossate. Lascio cadere il cucchiaio nel piatto e sollevo gli occhi su di lei con la bocca spalancata. «Perché non me l'hai detto?!» esclamo fingendomi offesa. «I-io, non sapevo come dirtelo! Pensavo che saresti stata contraria e che ti saresti offesa...» Inizia a giustificarsi mentre un sorriso birichino inizia a formarsi sul mio viso. Quando finalmente si volta nella mia direzione e si rende conto della mia espressione si alza di scatto dalla tavola. Oh-ho. «Piccola peste disgraziata!» Scoppio a ridere mentre inizio a correre per non farmi raggiungere da lei che mi segue. Giro attorno alle sedie per cercare di seminarla. Quando capisco però che non funziona corro in direzione del salotto ma, vicino al divano, la figura agile e snella di mia sorella inaspettatamente mi placca sul divano e posizionandosi su di me inizia a farmi il solletico punzecchiandomi i fianchi. Rido dimenandomi nella speranza di farla spostare. Indispettita mi solleva la felpa e la maglia per solleticare direttamente la mia pelle, sapendo così di farmi ancora più effetto. Mi dimeno ancor più di prima, ormai con le lacrime agli occhi per lo sforzo. «Basta, basta!» riesco a esclamare tra le innumerevoli risate, ma lei sembra essere ancora più accanita di prima. «Dovrai supplicarmi.» pronuncia imitando una finta voce malefica. Nego con il capo non avendo intenzione di supplicarla. A farla smettere è il suono del campanello che riscuote entrambe dal nostro piccolo momento di gioco. Mia sorella si alza di scatto iniziando a sistemarsi freneticamente. Velocemente un pensiero mi balena per la mente e la guardo con la coda dell'occhio, quasi male direi. Accorgendosi del mio sguardo su di lei mi rivolge un piccolo sorriso imbarazzato. «Ecco, mi sono dimenticata di dirti che oggi avevo invitato Cage a casa per fartelo conoscere direttamente di persona, ma a quanto pare è arrivato prima del previsto.» confessa con un evidente imbarazzo a colorarle le guance. Sospiro e svogliatamente mi do una piccola sistemata davanti allo specchio all'ingresso di casa. Non è il massimo presentarsi a qualcuno in felpa e tuta e con i capelli raccolti sulla testa senza un senso preciso. Mia sorella mi guarda e con aria supplicante mi incita ad aprire la porta. Sospiro consapevole di doverlo fare io perché lei è troppo imbarazzata. Svogliatamente afferro il pomello della porta e lo giro aprendola. Impallidisco quando mi rendo conto di chi ho davanti. L'altra persona sembra fare lo stesso. «Cage?!» esclamo a occhi spalancati e pronta a collassare a terra.

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