Capitolo 11

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" Bene, ragazzi! Allora cosa ne pensate di questo film?" il professor Green passeggia tra i banchi e accende la luce al neon dell'aula di storia.
Molti di noi si stropicciano gli occhi, in segno di noia,altri si stiracchiano intorpiditi e altri ancora si asciugano le lacrime.
Da qualche parte si sente anche qualche sbadiglio, ma nessuno sembra dargli peso.
"American sniper spacca, e Bradley Cooper è un duro! Mi piace!" Jim, il capitano dei Dragons grida eccitato,buttando un pugno in aria, dal fondo dell'aula, e tutti lo acclamano con applausi e fischi di ammirazione.
Tutti, tranne io e il professore.
Il signor Green lo guarda scettico per un momento,da dietro i suoi occhiali spessi, verde bottiglia, poi prende la parola. " La ringrazio signor Smith per il suo commento a caldo" si schiarisce la voce prima di riprendere" Ma credo che sia poco pertinente al tema o alla trama,faccia un po' lei"conclude sospirando.
Si appoggia alla scrivania, speranzoso che qualcuno prenda la parola e dica qualcosa di sensato, ma nessuno lo fa,
quindi alzo la mano e mi butto a capofitto. " Credo che sia del tutto immorale che un soldato prema il grilletto e spari a zero sul primo bambino che passa sulla loro traiettoria" dico d un fiato.
"È proprio questo il punto signorina Shade! Infatti, credo che dovremmo ragionare..." Il professor Green viene bruscamente interrotto, da una voce, troppo famigliare alle mie orecchie. Non ho bisogno di voltarmi per capire da chi proviene.
È proprio dietro di me.
" Il soldato ha solo eseguito un ordine. Non poteva far fronte a quell' incidente di percorso,e poi sono soldati anche loro." Caleb risponde senza battere ciglio.
Non resisto, mi volto.
Non posso credere che le sue labbra abbiano pronunciato quelle parole.
La rabbia traspare dapprima sul mio viso e poi, nella mia voce. Lo incenerisco con gli occhi, mentre lui mi guarda saccente con le gambe allungate sotto il banco e le braccia dietro la testa.
Non ci siamo più parlati, dal giorno in cui ci siamo baciati.
Anzi divorati.
Ci siamo evitati come la peste, e ognuno è tornato alla propria vita, nonostante la mia sia stata in continuo bilico tra la sanità mentale e gli incubi che questo stronzo mi ha procurato.
Mi ci è voluto del tempo per metabolizzare quello che è successo lì dentro, esattamente dieci giorni fa.
E ora non riesco a provare altro che disprezzo, per questa faccia da demone che mi sta trapassando con lo sguardo.
" Incidente di percorso?! È così che chiami dei poveri malcapitati a cui viene strappata una vita?" replico, acida.
Lui con il suo solito atteggiamento di chi né sa una più di tutti, piega le gambe e per la prima volta dopo tanto mi rivolge la parola. Mi sorride beffardo. " Sono soldati. Sono tenuti a rispettare gli ordini per salvare il culo a tutti noi,che siamo qui beatamente senza fare un cazzo!".
"Per quale guerra, Caleb? La tua o la loro?" Rispondo piccata puntando il dito in alto, ad indicare chi sono i reali colpevoli di tutti questo odio nel mondo: i governi.
Lui mi fissa e senza battere ciglio mi risponde. " La nostra." 
Tutti applaudono, di nuovo, mentre degli " uhh" di incitamento affollano l' aula.
Solo che io non sono più in grado di capire se stiamo parlando del film o della nostra guerra.
Quella che lui ha dichiarato senza avvisarmi.
Ci guardiamo, ci sfidiamo fino a quando la voce stridula di Valéry riecheggia nella stanza. " Pensala così Roslyn: cosa faresti se tu fossi costretta ad uccidere tua madre, per salvare noi tutti da una catastrofe imminente?".
Cala il silenzio e il gelo in aula. Tutti sanno della mia situazione,lei compresa. Ha solo voluto ferirmi gratuitamente. Caleb indurisce la mascella e si alza, furente, ma io lo blocco con la mano e con lo sguardo gli ordino di rimettersi al suo posto, mentre tutti gli altri impallidiscono, compreso il signor Green.
Tutti temono una mia reazione, e non sanno cosa aspettarsi perché fino ad ora ho sempre volato basso e senza dare nell' occhio, ma questo è troppo. Anche per una come me.
La gola si stringe e la vista si annebbia un po'. Ma non piangerò. Non ora. Non davanti a tutti.
Piuttosto stringo i pugni, perché vorrei tanto strozzarla con le mie mani, ma verrei espulsa immediatamente e questo non posso permettermelo.
Lentamente mi avvicino, mentre lei si allontana inarcando la schiena verso il muro, dietro  il banco.
Mi chino e arrivo ad un passo dai suoi occhi truccati pesantemente. Leggo la paura e anche un pizzico di sfida nelle sue pupille.
" Se tua madre venisse brutalmente schiacciata da un tir e spazzasse via la sua vita, trascinando con sé anche la tua, cosa faresti, Valéry? Avresti ancora voglia di giocare con le persone sbagliate? " La minaccio, afferrandola per il bavero della sua camicia.
La voce trema sul finale, e un pianto a dirotto sta per uscire. Lo trattengo mordendomi forte la guancia, e il sapore metallico del sangue non tarda ad arrivare.
Il professor Green prova ad avvicinarsi e tende una mano verso di me, per allontanarmi, ma non ce n'è nessun bisogno. Con una spinta allontano il suo braccio, e mi affretto a raccogliere le mie cose dal banco, infilandole velocemente nello zaino.
Non c'è più tempo. Le lacrime spingono prepotenti in cerca di una via d' uscita,e tutti gli occhi dei miei compagni sono su di me. Compreso quello di mio fratello.
Non dice niente e si è messo di nuovo seduto, ma le mani si allacciano sotto il mento e le gambe ballano nervosamente, pronte a balzare in piedi.
Devo scappare prima che la situazione diventi imbarazzante, più di quella che è.
Sussurro solo un " Mi scusi.." verso il professore e poi scappo via.

Corro.
Corro il più veloce possibile, con lo zaino che sbatte da una parte all'altra, colpendomi come una frusta la schiena. Ma non mi importa. Ho il cuore in gola, le lacrime che sgorgano indisturbate sulle guance e il respiro corto.
Lo sguardo si appanna e un grido di dolore si eleva potente dalla mia bocca. Non sembra nemmeno il mio. Non sembra appartenere al mio corpo. Cado in ginocchio sulla sabbia,scalcio via lo zaino e piango tutte le lacrime che ho conservato per tutto questo tempo.
Due mesi, quasi, di totale sofferenza che ho negato persino a me stessa. Chiusa nel silenzio e nella solitudine.
Ma è stato inutile farlo, perché tutto, prima o poi torna a galla, e porta con sé anche gli interessi.
Svuoto il cuore da questa agonia, singhiozzando il nome di mia madre al mare, che danza indisturbato.
Non so per quanto tempo rimango in questa posizione, seduta sulle mie ginocchia. Forse un' eternitá o forse il nulla, ma un mano si posa leggera sulla spalla e mi dà una scarica di brividi, che solo una persona è stata in grado di trasmettermi, nell' ultimo periodo.
Una mano che conosco molto bene, perché si è nascosta in posti in cui nessuno si è mai avvicinato, prima d'ora. Una mano che desidero da quando ho messo piede in questa città, e ora, non posso più negarlo.
" Ros..." Il tono è dolce ed apprensivo,per la prima volta.
Sollevo la testa e la volto nella sua direzione. Mi asciugo una lacrima che lenta scivola sulla guancia. Non voglio farmi vedere in questo stato, ma non posso mentire sulle mie condizioni. Lui se ne deve essere accorto perché arrotola tra le dita una ciocca dei miei capelli e mi spinge verso di lui, contro il suo petto.
E allora non resisto più. Crollo di nuovo. Più forte e con più scossoni rispetto a prima. Senza urlare,ma con un pianto silenzioso bagno la sua maglietta nera.
" Shh! Ci sono io, Ros.. va tutto bene."sussurra,mentre mi accarezza la testa.
Ascolto, ma non proferisco parola. Semplicemente mi lascio andare e abbandono la testa sul suo sterno, respirando il suo odore virile, mischiato al salato delle mie lacrime.
Solo quando il pianto si placa, mi viene in mente che ore sono.
Alzo di scatto la testa, con gli occhi ancora gonfi, ma non mollo la presa. Resto ancorata con le mani ai lembi della sua maglia. E lui fa lo stesso. Mi accarezza la schiena, piano. E mi accarezza gli occhi con il suo sguardo verde.
" Perché sei qui?" domando, confusa.
Lui sorride impercettibile. " Non potevo lasciarti da sola."confessa morbido.
" Ti beccherai una punizione per essere uscito così senza aver  eseguito gli ordini soldato" lo canzono.
Allarga di più il suo sorriso bianchissimo. " Tranquilla, ho i miei agganci. E se una punizione serve per farti stare meglio, allora sia."
Stringo le labbra, perché la voglia di baciarlo sta tornando prepotente nella mia testa. Ma voglio evitare l' umiliazione della scorsa volta.
Caleb mi guarda serio. Il sorriso è scomparso dal suo volto. Stringe forte la mandibola e osserva la mia bocca, con insistenza. Anche le mani hanno smesso di passeggiare delicate sulla mia schiena.
Sono ferme sui miei fianchi ora.
Socchiudo gli occhi, in attesa. So che sto andando a sfracellarmi a trecento all'ora, nelle sue mani, ma non posso fare altrimenti.  È come combattere contro il proprio istinto. Alla fine si perde, sempre.
" Vieni con me!" Caleb si allontana, ma non mi lascia andare. Allaccia la sua mano alla mia, e lo seguo.
" Dove mi stai portando?" La mia voce esce un po' titubante, ma nonostante questo mi fido ciecamente di lui.
Si ferma di colpo, si volta e mi sorride sghembo, facendomi sciogliere come un gelato al sole. " Ti faccio vedere come si sfoga un soldato".

 " Ti faccio vedere come si sfoga un soldato"

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Un desiderio da nascondereWhere stories live. Discover now