Capitolo 27

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Nonostante le continue proteste di Mattia per portare lui stesso la mia valigia (senza tener conto del suo infortunio), trascino questa dietro di me mentre lo seguo verso le camere. Christian è appena uscito per andare a lezione.
"Francesca, visto che non conosci nessun altro qui apparte me e Chri, ti va di rimanere in stanza con noi? Dario può andare in camera insieme a Sissi, visto che sono fidanzati. È solo un'idea, insomma. Se poi preferisci stare con le ragazze va benissimo. Vedi tu, ecco." - dice Mattia, mentre imbarazzato si gratta la nuca.
"Se non è un problema, preferirei stare con voi."
"Perfetto!" - esclama sorridendo. - "Dobbiamo aspettare che Dario ritorni per spostare la sua roba, quindi puoi appoggiare la tua valigia accanto al mio letto intanto. Nel frattempo possiamo andare nel giardino sul retro a parlare un po' se vuoi."
Annuisco alle sue parole e lo seguo, mentre con lo sguardo cerco di cogliere ogni particolare di ciò che mi sta attorno. Ci sediamo uno affianco all'altro su uno dei divanetti.

"Come va il piede?" - gli chiedo, interrompendo il silenzio che si era creato fra di noi.
"Meglio. Ho preso una piccola storta, ma il medico ha detto che mi rimetterò presto."
"Sono contenta." - gli dico con un grande sorriso, che lui ricambia.
"Tu invece? Come stai?" - mi chiede preoccupato.
"Bene." - rispondo secca, sperando che non mi faccia altre domande. Comincio a giocare con le mie dita, come faccio ogni volta che sono agitata.
"So che c'è qualcosa che non va." - afferma facendomi sollevare lo sguardo da terra. - "È permesso non stare sempre bene ed esprimere i propri sentimenti. Non devi per forza parlarmene, ma esternare ciò che si prova può aiutare a volte". - dice. Lentamente la sua mano si avvicina alla mia e la afferra delicatamente, per poi far incrociare le sue dita con le mie, impedendo ogni mio movimento nervoso. Passa poi il pollice sul dorso della mia mano, calmandomi.

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POV. MATTIA
Siamo in silenzio ormai da qualche minuto. L'unico rumore è il battito dei nostri cuori. Il suo è un po' più accelerato del mio, perciò continuo a strofinare il dorso della sua mano col pollice, per calmarla. Non dico nulla per non forzarla in alcun modo: vorrei che si confidasse con me perché lo vuole, non perché si sente obbligata a farlo. Nel frattempo mi godo la sensazione della sua mano nella mia, mi basta questo.

"Era da un po' di tempo che non uscivo di casa" - dice lei dopo un po'. Mi volto a guardarla, ma il suo sguardo è rivolto verso un punto indefinito del giardino. Continuo a stare in silenzio, aspettando che riprenda a parlare, con i suoi tempi.
"Dopo quello che è successo ho smesso di andare a scuola ed ho cominciato a seguire le lezioni online, da casa. Papà ci ha messo una settimana prima di convincermi ad uscire dalla mia camera. Per me è stato molto difficile prendere la decisione di venire qua oggi. È stato papà a convincermi, in realtà. Pensa che io possa sentirmi più al sicuro qua, visto che a casa molto spesso non c'è nessuno fino a tardo pomeriggio."
Rimango in silenzio, non sapendo che cosa dire. Continuo a sperare di incrociare il suo sguardo, ma i suoi occhi rimangono fissi davanti a lei. Sento la sua mano stringere la mia e istintivamente ricambio, per farle capire che sono ancora qua e che ho intenzione di rimanere fin quando lo vorrà. Ne ha passate tante ed ora ha bisogno di qualcuno che le ricordi di uscire dalla sua testa, dai pensieri che le affollano la mente.

"Quando mi hai trovata in sala relax, ormai scorso mese, stavo tornando da scuola. Era passato qualche giorno dall'evento e i miei genitori mi avevano convinto a riprovare ad andare a scuola, pensando potesse aiutarmi a pensare ad altro. Stavo tornando a casa ma le voci dentro alla mia testa non la smettevano di parlare e non volevano lasciarmi in pace. Ricordo di essermi fermata in mezzo al marciapiede, mentre le persone continuavano a camminare alla mia destra e alla mia sinistra. Mi faceva molto male la testa ed ho iniziato a correre lontano, sperando di far tacere le voci. Il posto più vicino era la scuola e d'istinto mi sono rifugiata lì, perché l'essere circondata dalla troppa gente stava facendo crescere la mia ansia. Non era la prima volta che mi succedeva. L'attacco di panico, intendo. Di solito però c'era papà con me, pronto a calmarmi. Quindi ti ringrazio veramente per quello che hai fatto per me quel giorno." - dice, per poi alzare lo sguardo nella mia direzione. Solo ora noto i suoi occhi lucidi, sull'orlo delle lacrime. Mi avvicino maggiormente a lei, per poi avvolgere le mie braccia attorno a lei. Appoggio la sua testa sul mio petto e comincio ad accarezzarle i capelli, mormorando parole dolci nel suo orecchio per calmarla. Calde lacrime cominciano a scendere lungo le sue guance fino alla mia maglia. È stata forte fino ad ora, ma è esausta e non ce la fa più. Presumo non ne abbia parlato con nessuno. Chissà da quanto si stava tenendo tutto questo dentro.
Non mi ha raccontato quello che in realtà è successo, continuando a girarci intorno. Ma questo le ha comunque provocato uno sforzo enorme. Sono grato si sia fidata di me e abbia trovato la forza e il coraggio di confidarsi. Ha probabilmente ancora molto da raccontarmi. Un passo alla volta, senza alcuna fretta. Io sarò qui ad aspettarla, per quanto lei vorrà.

La mia rosa rossa / Mattia ZenzolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora