«Ehilà, bimba!» commenta lui, senza celare la disapprovazione nei confronti del gesto. «Ne deve rimanere almeno metà per me, lo sai questo?»

«Dove sta scritto?» riesco a dire, mentre l'anidride carbonica compie il suo effetto soffocando certi pensieri.

Il ragazzo alza un sopracciglio: «Chi pensi che l'abbia comprata tutta questa roba?».

«Filo. È il suo compleanno, no?»

«Sì, ma l'alcol è il mio regalo» ci tiene a precisare. «E va goduto con parsimonia.»

«Sei qui per fargli da babysitter?»

«No, lui è abbastanza maturo» dice, con un occhiolino. «Però non posso garantire per i suoi amici.»

Io mi chiudo nelle spalle, meditando se bere un altro po', giusto per abbassare l'asticella della sua arroganza: «Scusa, e che pensi di fare se mi ubriaco? L'idea dell'alcol è tua, devi prenderti la responsabilità».

«Infatti perché pensi che ti stia tenendo d'occhio?» domanda, innocente. «Sono grande, so come si prende una responsabilità.»

Di fronte alla sua aria di superiorità, non posso che scuotere la testa: «Quanti anni hai?».

«Quanti me ne dai?»

«Non saprei... Diciotto? Diciannove?»

«Bene, sei ancora abbastanza lucida» si compiace, rubandomi la bottiglia dalle mani e prendendo due sorsi più corposi dei miei. «Ne faccio venti fra due mesi. Tu quanti ne hai, bimba?»

«Non così pochi da meritami questo nomignolo.»

Il ragazzo sorride appena, gli occhi puntati lontano dai miei, le ciglia bionde che luccicano sopra di essi. È davvero bello, anche più di Filippo, e mi disturba immensamente che, come al solito, sia molto più grande di me. 

Perché mi piacciono solo al di sopra dei quattro, cinque anni di differenza? È una qualche sorta di maledizione?

«So come ti chiami» se ne esce, facendo affossare il mio cuore nei meandri della vergogna. Se lo sa, significa che è al corrente delle voci che girano su di me e, se le conosce, allora vuol dire che mi ritiene una...

«Bimba» ripete, fermo. «Ti sta molto meglio addosso.»

«Non è divertente» mormoro sentendomi bruciare il petto. «Com'è questa storia? Gli altri hanno il diritto di conoscere me e io non so nemmeno chi siano loro?»

«Mi chiamo Federico» se ne esce allora, tendendomi una mano. Forte, asciutta e muscolosa è la stretta con cui accoglie la mia che, timidamente, incontra la sua presentazione. «Puoi chiamarmi Fede.»

«Mi sa che non è sufficiente.»

«Frequento il primo anno di università e nella gara tra i fratelli Prosdocimi sono il più stronzo, anche se non si direbbe. D'altronde, chi regalerebbe alcol a suo fratello sapendo che non può berlo?»

«Filo è famoso per essere un tentatore. Forse è di famiglia.»

«Ah, attenta alle malelingue» mi rimprovera, agitando la birra davanti ai miei occhi. «Passare da vittima a carnefice è un attimo.»

La spigliatezza e la brillantezza delle sue frasi mi fanno sorridere. Mi mortifica, certo, eppure la mia nomea non sembra così grave, per lui. La fa sembrare grave solo per me.

Lo guardo attraverso il vetro della bottiglia e decido di riprendermela per alimentare un po' di ritrovata grinta. Realizzo troppo tardi di aver appena posato le mie labbra nel punto in cui solo un secondo fa c'erano le sue e rischio di strozzarmi con il liquido, mentre mi faccio venire le palpitazioni.

Credo nei miraggiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora