15. Alice

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"Mi hanno gettato in mezzo ai lupi e ne sono uscita capobranco", è questa la frase che un giorno sogno di pronunciare al mio riflesso nello specchio. La mia voglia di rivalsa, la sete di autostima, la stanchezza di avere paura. Tante cose che provo e che non riesco più a gestire: ti lasci sopraffare una volta e poi non riemergi più.

È questa la triste storia di Alice Capuani.

È questo che penso sempre, con costanza, anche quando vorrei solo poter riportare il mio cervello a uno spensierato stadio adolescenziale.

Tutti mi dicono che l'alcol aiuta, ma io ho promesso a Sam che non avrei bevuto. Il problema è che Sam si è dedicato alla sua anima gemella e io mi ritrovo a reggere la parete del salotto mentre mi sento sfigatissima e impacciata.

Una volta non avrei avuto mezza esitazione: un sorso di gin, ravvivata di capelli e via in mezzo alla stanza. Un occhiolino di qua, un salutino di là e mi sarei accerchiata di amici e conoscenti, poi mi sarei avvicinata al più bello della casa e avrei iniziato a flirtare per provare l'inebriante piacere di essere desiderata. Una sensazione a cui, dopo un po', ci si assuefà dimenticandosi dei rischi.

Se fossi ancora l'Alice dell'anno scorso, sarei capitata con grazia nei pressi del ragazzo biondo che torreggia sugli invitati come uno scettico gargoyle. E non lo dico di certo perché sia grottesco, quanto più perché tutto di lui è simile a pietra. Lo sguardo duro, la mascella contratta, i muscoli scolpiti sotto il leggero maglioncino di velluto.

Sarebbe stata la sfida più interessante, provare a scalfirlo.

Ma vedete, lo stupido Samir avrebbe dovuto evitare di mettermi la pulce nell'orecchio.

Adesso mi ha lasciato qui, sola, con l'ansia di essere osservata. La gente, gli sguardi addosso, la certezza di essere giudicata mi chiude la gola. E lo so, non sto facendo niente, ma anche il non fare niente è un argomento di discussione.

«Guarda quella sfigata» penseranno, «se ne sta ai margini della società e se non c'è il suo amichetto non muove un passo».

Non voglio fare i capricci e tirargli la sottana come fosse la mia balia: anche lui ha il diritto di divertirsi senza preoccuparsi di nient'altro, nonostante la sua lontananza mi faccia sentire ancor più vulnerabile.

Avanti così, l'attacco di panico mi verrà di sicuro e Sam sarà troppo distratto per accorgersene e io rimarrò con due opzioni: andargli a tirare la sottana o morire da sola.

Alla fine, quando noto che il battito sta accelerando troppo, mi avvicino al tavolo con le bevande per aprirmi una birra. Non sento di averne bisogno, ma è l'unica scappatoia a cui riesco a pensare, soprattutto perché in questo stato è già tanto che io riesca a pensare.

Anche se, appena poso il cavatappi, sull'estremità della bottiglia scopro che le dita mi stanno già tremando.

«Serve una mano?»

La voce è sconosciuta, ma l'ombra proiettata dal suo fisico non lascia molto spazio alla fantasia. Mi volto, per poi incontrare due iridi azzurre incastrate in un viso più delineato di quello dei miei coetanei.

Non rispondo, ma passo direttamente bottiglia e cavatappi nelle mani del fratello di Filo. Lui fa un'espressione eloquente, per poi posare l'utensile e servirsi solo dei denti per stappare la bevanda. Un unico gesto che però ha alle spalle mille potenziali letterature. È un personaggio da fiaba, si vede subito.

«Ecco a te» si compiace mentre mi passa la bottiglia.

Il mio modo per ringraziare è ruotarla all'ingiù e assimilare due bei sorsi di incoraggiamento. O questo o la morte, non è che abbia molta scelta.

Credo nei miraggiWhere stories live. Discover now