53. The Unfamiliar Familiarity

Beginne am Anfang
                                    

Non è ancora troppo.

Qualche bacio da ubriachi, niente che non si possa superare.

Churchill avrà ancora Cyn, e io avrò ancora lui.

E un giorno, magari, quando avremo dimenticato tutto questo, potrò ancora parlargli di Oxford senza il terrore di vederlo sparire per sempre.

O potrei non parlargliene mai, perché una cauta distanza di sicurezza è comunque preferibile alla sua assenza.

Andrà bene, mi farò andare bene qualsiasi cosa.

Mi infilo in bagno, superando in punta di piedi il divano letto su cui dormono Shiva e Phineas.

Nell'accendere la luce, mi attardo per qualche secondo sulla porta, studiando i volti dei due.

Phineas dorme così come vive: tentando di non arrecare fastidio.

È raggomitolato su se stesso, nello sforzo di occupare la minore porzione possibile di letto, ma il suo corpo è privo della strana tensione che contraddistingue il sonno di Churchill.

Shiva, invece, dorme a pancia in su, gli arti scomposti e divaricati, e tutto in lui parla della sua assoluta fiducia nell'umanità.

Non si difende, non tenta di proteggersi dagli attacchi esterni.

I suoi organi vitali restano esposti: la sua gola, il suo cuore, il suo stomaco offerti a chiunque voglia ferirlo.

Ha il braccio destro teso in una posa innaturale, per consentire a Phineas di stringergli la mano, una posizione probabilmente dolorosa.

Studio quel piccolo ponte, dita che si mischiano alle dita, e lo riconosco simile ed estraneo allo stesso tempo.

Non ricordo come sia, dormire tanto serenamente.

Forse non ho mai dormito così.

Le strette, tra me e Mike prima, e adesso tra me e Churchill, sono sempre state disperate.

Io e Church non sappiamo riposare con questo abbandono, non conosciamo la benedizione di una notte sgombra dagli incubi, e probabilmente nessuno dei due si è mai steso a letto senza il terrore di svegliarsi, d'improvviso, con il cuore in gola.

Non so per quanto tempo rimango a fissarli, colto da un sentimento che è in parte tenerezza e in parte invidia, ma il tempo scorre senza che io me ne accorga.

Shiva si agita un po', nel sonno, borbotta qualcosa, ed è questo a riscuotermi.

Mi chiudo la porta alle spalle, nel timore di svegliarli, e sollevo la maniglia del rubinetto quanto basta per assicurarmi un silenzioso filo d'acqua.

Lavo i denti e sciacquo il viso, sospirando contro il tessuto morbido dell'asciugamani.

Non ho il coraggio di rientrare in camera.

Aspetto per un po', le mani strette attorno al bordo del lavandino e i miei occhi che studiano con aria scontenta il riflesso nello specchio.

La vista del mio stesso viso mi provoca una nausea tale che mi forzo a distogliere lo sguardo, raccapricciato.

Codardo.

"Non puoi stare qui tutta la fottuta notte, no?" sussurro alla mia immagine riflessa, scrutandola di sottecchi. "Prima o poi dovrai pur uscire"

Il me nello specchio ricambia lo sguardo, disgustato.

Esco dal bagno solo per rifuggire quel volto, il giudizio insito nella sua espressione; sto fottutamente impazzendo.

𝐀𝐔𝐃𝐄𝐍𝐓𝐄𝐒 𝐅𝐎𝐑𝐓𝐔𝐍𝐀 𝐈𝐔𝐕𝐀𝐓 - mclennonWo Geschichten leben. Entdecke jetzt