45. The Unequal Struggle

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"Tu non hai idea di cosa si provi, ad essere come me" sussurra, calmo. Lo sta facendo ancora. Quella stupida barriera che innalza per non lasciarsi toccare. "È come essere su una giostra in continuo movimento, che ti eccita e ti nausea allo stesso modo. E io voglio scendere, voglio riposare"

"Church..."

"So che hai buone intenzioni, ragazzino" mi blocca, serio. "Ma non sono affari tuoi. Il modo in cui tu mi vedi, le tue stupide aspettative... io non posso vivere per questo"

"Parli come se fossi un egoista, come se stessi dicendo queste cose per ottenerne un vantaggio" sbotto, e devo infilare le mani nelle tasche per impedirmi di strattonarlo. "Sono solo preoccupato per te"

"Non dovresti" replica, secco. "Sto facendo il tuo gioco, non è così? Entrambi otterremo ciò che vogliamo"

Non capisco dove la conversazione stia naufragando, ma sento improvvisamente l'impulso di fuggire, di proteggermi.

"Stai vaneggiando" mormoro, sulla difensiva. "Non tirarmi in mezzo"

E Churchill ride, una risata così fredda da risultare feroce.

"Ci sei già, in mezzo. Il problema è che tu imponi agli altri degli standard irraggiungibili, ragazzino" cantilena, sprezzante. "E sai perché lo fai? Perché sei convinto di non valere niente"

Ognuna di quelle parole mi colpisce in viso come uno schiaffo.

"Vuoi che gli altri ti deludano, vuoi che ti impongano dolore e che ti facciano sentire così come credi di essere: solo e indesiderato" prosegue, consapevole di aver scelto le parole giuste per ferirmi. "Continui a ripeterti che, se tutti ti spezzeranno il cuore, allora avrai la conferma che non tengono abbastanza a te"

Ha ragione, ovviamente.

Ma non ho intenzione di discuterne con lui.

"Questo non è vero" sussurro quindi, con voce rotta.

Ride ancora.

I suoi occhi brillano in maniera inquietante, adesso, come quelli di un cacciatore che è riuscito infine a mettere all'angolo la propria preda.

"Certo che è vero. Credi sia stupido? So di averti deluso. Cristo, potrei leggerti come un libro aperto, proprio qua davanti" soffia, avvicinandosi di un altro passo. "Ma la verità è che sono stanco"

"Non sei obbligato a starmi accanto, Churchill" mormoro, sforzandomi di mantenere salda la voce. "Se è così difficile, forse dovresti solo lasciar perdere"

Non sono l'unico, a quanto pare, ad aver imbottigliato veleno per tutto questo tempo.

"È proprio questo che intendo" ribadisce, sorridendo amaramente. "È sempre così, con te. Ti comporti come se gli altri stessero fallendo un qualche tipo di prova. Ma sei tu a volere che falliscano. Dio santissimo, loro non sanno neanche di essere sotto esame"

"Non sai di cosa parli" sibilo, in un freddo avvertimento.

Ma Churchill non mi ascolta, non sembra neanche sentirmi.

"E la cosa peggiore è che vuoi comunque credere che sia colpa tua" ride, come se ne fosse divertito, come se fosse una specie di gioco. "Vuoi che le persone attorno a te confermino il tuo disvalore"

"Chi mai lo vorrebbe?" lo schernisco, irritato.

"Tu!" urla, prima di riuscire a frenarsi. Abbassa immediatamente la voce, riducendola a un sussurro. "Tu! Altrimenti mi avresti parlato. E non solo ora, ma tutte le volte! Invece resti lì, con quei grandi occhi spalancati e delusi, e ti aspetti che io legga nella tua fottuta testa cosa c'è che non va"

𝐀𝐔𝐃𝐄𝐍𝐓𝐄𝐒 𝐅𝐎𝐑𝐓𝐔𝐍𝐀 𝐈𝐔𝐕𝐀𝐓 - mclennonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora