2. Il soldato

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Émer  sfiorò la corteccia del colossale albero, i segni erano sempre là, una  data che vi aveva inciso moltissimo tempo prima. Ricercò con le dita la  cicatrice sulla sua fronte e si avviò lungo la corte del castello. Era  stato chiuso al pubblico per anni e non aveva più avuto modo di  tornarci. Quando era apparso l'annuncio sul giornale aveva compreso che  finalmente era giunto il momento, che avrebbe potuto dare un senso a  tutte quelle domande. Avevano passato una guerra, vi erano sopravvissuti  e Émer non aveva mai smesso di assillarsi su quel giorno, 9 aprile  1917.
Émer avanzò fino al dirupo e si fermò, lo ricordava come non fosse passato che un giorno.

Era un ragazzino e non comprendeva la gravità di quanto gli accadeva  attorno, la guerra, la minaccia del fronte che avanzava. Aveva solo otto  anni e desiderava solamente correre e esplorare quell'immenso castello  in rovina.
Aveva vagato infinite volte in quelle antiche sale di pietra. Quando sua  madre aveva tentato di vietarglielo, quel sapore di proibito lo aveva  reso ancora più divertente. Così si era arrampicato raggiungendo anche  la più inaccessibile delle torri, ed era lì che aveva intravisto  quell'uomo.
Se ne stava rannicchiato su se stesso, nascosto dietro a un muro. Émer  non ricordava perché ne rimase incuriosito ma gli si era avvicinato  silenzioso come un rapace.
L'uomo aveva grandi occhi scuri coperti da un velo, il respiro ansimante  e incerto, forse per via delle ferite che tentava invano di comprimere  sull'addome. Dal respiro spezzato doveva soffrire molto. I corti capelli  scuri erano impregnati di sudore e sangue.

Fu un passo falso a rivelare all'uomo la sua presenza.
Sollevò lo sguardo e Émer vi vide l'immenso terrore che vi si celava.  Aveva sentito il cuore fermarglisi in petto quando l'altro gli aveva  puntato contro una pistola. Émer aveva sempre trovato curioso negli anni  successivi, comprendere che negli occhi di quell'uomo vi aveva trovato  la sua stessa paura.
Era bastato un solo passo falso e il vuoto lo aveva reclamato, cadde per  almeno un metro e l'impatto gli aveva tolto il fiato. Si era ritrovato  immobile, spezzato sulla pietra mentre quell'uomo lo osservava  dall'alto. Émer avrebbe giurato di aver quasi intravisto la morte in  quei grandi occhi scuri. Aveva ancora la pistola in pungo ma adesso la  sua mano tremava. Il tempo di un battito di ciglia e i colpi lo  passarono da parte a parte. I suoi grandi occhi si erano dilati, la  sorpresa aveva preso il posto della paura. Gli  era caduto accanto e  Émer si era ritrovato ad osservarlo mentre la vita lo abbandonava, le  sue dita gli avevano sfiorato il volto sussurrando un febile "No..."
Émer aveva sentito la sua anima aggrapparglisi con tutta la disperazione  di quello sguardo spaventato. Come se potesse restare aggrappato a  quella fragile vita.


   Émer si ritrovò a fissare quello stesso baratro, sfiorandosi il volto ebbe l'impressione di sentire le dita di quel soldato

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Émer si ritrovò a fissare quello stesso baratro, sfiorandosi il volto ebbe l'impressione di sentire le dita di quel soldato.
Era stato l'ultima cosa che aveva percepito prima di perdere i sensi.
Non seppe mai chi fosse, o chi lo avesse ucciso, si era risvegliato in  ospedale molto tempo dopo e gli dissero che lo avevano trovato privo di  sensi in fondo alla scarpata. Avrebbe voluto chiedere di quel soldato,  ma non lo fece, qualcosa lo aveva frenato.

Con il passare degli anni se ne era pentito, rendendogli insopportabile  l'idea che quel ragazzo, non troppo più grande di lui fosse caduto e  abbandonato a causa sua.
Doveva aver all'incirca la sua stressa età ormai, ma Émer sarebbe andato  avanti mentre quel soldato non li avrebbe mai superati, cristallizzato  in un momento di terrore. Voleva conoscere il suo nome, che almeno  qualcuno lo ricordasse. Magari dal suo nome avrebbe potuto sapere la sua  storia, se qualcuno lo avesse cercato negli anni, anche se invano. se  gli avessero dedicato una tomba vuota o se il suo nome fosse stato  inciso assieme a quello di altri, i caduti di quella lunghissima guerra.
Ne aveva divorati così tanti, suo padre, suo zio. Mentre lui giocava tra le rovine loro cadevano oltre il confine.

"Perché sei ancora qua?"
Il soldato era davanti a lui pallido come quel giorno. Nei suoi ricordi  non aveva notato la sua divisa, così diversa da quelle a cui era  abituato.
"Perché sei ancora qua?" Ripeté avanzando con sguardo furioso.
Émer indietreggiò incredulo e l'altro cadde verso di lui come se venisse  nuovamente colpito, lo attraversò e in quel momento Émer poté sentire  fin nelle viscere tutto il terrore che lo aveva pervaso, fosse lo stesso  di quel giorno.

Il vuoto lo stava reclamando di nuovo ma delle mani lo afferrarono e Garvin lo strattonò verso di se.
L'amico gli chiese come stesse osservandolo con i suoi occhi di giada ma  Émer non lo stava ascoltando. Si massaggiò il petto, la dove aveva  percepito il terrore del giovane soldato passargli attraverso. L'amico  non doveva ver visto lo spettro o non sarebbe rimasto così calmo.  Probabilmente aveva solo visto un povero matto osservare il vuoto e  quasi svenire cadendo in un burrone. Émer  osservò il baratro quasi  aspettandosi di vedere il soldato sdraiato in una possa di sangue ma si  ritrovò ad fissare l vuoto.
Lo spettro era scomparso.

 Lo spettro era scomparso

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