Come una giornata di sole

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In quel periodo si tenevano i festeggiamenti annuali per la commemorazione della costruzione delle mura. Per la popolazione quella era una giornata di giubilo e in tutti i distretti venivano organizzate delle grandi celebrazioni.

Anche l'esercito prendeva parte a questi festeggiamenti; in particolare, gli alti ufficiali di tutti i corpi militari dovevano partecipare a una cerimonia al palazzo reale.

E così il comandante del Corpo di Ricerca e i suoi capitani avrebbero passato un paio di giorni nella capitale.

«Stasera mi tocca rivedere quelle facce di merda della Gendarmeria»

«Levi, mi raccomando, cerca di non chiamarli "maiali" come l'ultima volta»

«Ma è quello che sono, Erwin» ribatté lui.

«Capitani, le carrozze per stasera partiranno al tramonto dal cortile. Cercate di essere tutti puntuali, a dopo» disse il Comandante.

Una volta entrati nell'edificio che li ospitava, ognuno andò nella sua stanza per prepararsi per la cerimonia che si sarebbe tenuta di lì a breve.

Negli ultimi giorni Eilidh e Levi non avevano più avuto l'occasione di rimanere da soli a lungo e tra loro era rimasto tutto in sospeso, ancora una volta.

Ora Eilidh era intenta a mettersi il vestito che aveva portato per l'occasione. Certo, non era niente di che, non le piacevano le cose troppo sfarzose, però chissà se Levi avrebbe apprezzato.

Non pensi ad altro, datti una calmata!

Aveva quasi finito di prepararsi, doveva solo stringere il corsetto, ma farlo da sola era un po' complicato. Sarebbe potuta andare da Hanji, ma non era sicura che avesse mai allacciato un corsetto in vita sua e poi voleva una scusa per andare da lui.

Così uscì e si diresse verso la sua stanza.

«Posso?»

«È aperto» sentì dirgli.

Entrò, ma lui non c'era.

«Sono di qua» 

Eilidh si affacciò alla porta del bagno: Levi, senza maglietta, si stava radendo.

Per un attimo gli occhi di lei si posarono sugli addominali scolpiti, ma si sforzò di dire qualcosa.

«Incredibile, io sono pronta e tu no»

«Devo solo mettermi la camicia e la giacca» commentò col suo tono secco, mentre continuava a radersi.

«In realtà ero venuta per chiederti una mano con il corsetto del vestito. Ha i lacci dietro...»

Levi posò il rasoio e si asciugò il viso.

«Fa' vedere» disse, avvicinandosi a lei.

Eilidh si voltò e scostò i capelli; senza il corsetto stretto, la schiena era completamente scoperta.

«Ti è rimasta una bella cicatrice» disse lui, mentre fissava quella pelle così candida.

«Una più o una meno, ormai non fa differenza» cercò di rispondere lei,  mentre cominciava a sentirsi inebetita da quella vicinanza.

In quel momento sentì le dita di lui che le sfioravano la pelle in quel punto e per un attimo rimase senza fiato. Quell'istante però finì troppo velocemente, Levi passò deciso ai lacci del corsetto e cominciò a stringerli. Eilidh avrebbe voluto implorarlo di continuare ad accarezzarla, ma doveva trattenersi, così rimasero in silenzio mentre lui continuava a stringere i lacci con una precisione metodica.

A un tratto si fermò, eppure Eilidh era sicura che  non avesse ancora  finito di allacciare il corsetto.

Da quando era guarita non erano riusciti a trovare un altro momento solo per loro due, eppure lui non voleva altro; passava le giornate a pensare a un modo per rimanere con lei, per riaverla su di lui. Ora erano lì da soli, come quella volta nella casa abbandonata... 

Levi aveva deciso che non si sarebbe più trattenuto, non in quella stanza, solo con lei.

Lasciò perdere i lacci e portò una mano alla schiena, accarezzando la pelle di Eilidh, che a quel tocco sentì un milione di brividi percorrerla. Levi non si fermò: arrivò fino al collo e da lì passò alla guancia. Lei seguì quel dolce invito e vi appoggiò il viso, lasciando cadere leggermente la testa da un lato.

Allora lui si avvicinò e a raggiungere il collo di lei stavolta fu la sua bocca; Eilidh non riuscì a fare altro se non chiudere gli occhi, pronta a lasciarsi trasportare, ovunque lui la portasse.

«È sempre colpa tua se facciamo tardi» le sussurrò mentre continuava a stamparle baci sulla pelle.

«Veramente ti ho chiesto solo di stringere il corsetto» rispose lei sorridendo, mentre lui dal collo scendeva alla spalla.

«Bella scusa»

Eilidh si voltò, lo voleva vedere, lo voleva toccare. Gli accarezzò il viso seguendo quei lineamenti così precisi che poteva fissare per ore. Lui portò le mani sui fianchi di lei e la avvicinò a sé, guardandola dritto negli occhi.

«Non devi inventarti delle scuse per venire da me, lo sai?»

«Ma non è una scusa!»

E tra un sorriso e l'altro cominciarono a baciarsi, le bocche avide delle labbra dell'altro, le mani irrequiete sui corpi.

Levi faceva scendere sempre più il vestito, ed Eilidh faceva scorrere le dita per tutta la schiena di lui, passando sopra i muscoli definiti.

Ormai per loro non esisteva più alcuna percezione del tempo e dello spazio al di fuori di quel bagno: c'erano solo loro due.

Ma si sentirono dei colpi alla porta.

Non è possibile, perché c'è sempre qualcuno che bussa alla porta?

«Sono Erwin, posso entrare?»

I due si staccarono velocemente e Levi cercò di ridarsi un tono, sistemandosi i capelli all'indietro.

«Sì, arrivo subito»

Poi, a voce bassa, si rivolse a Eilidh: «Rimani qui, chiudo la porta».

Mentre il Comandante lo aggiornava sui partecipanti che ci sarebbero stati quella sera, Levi finì di vestirsi.

«Bene, allora intanto scendiamo nel cortile»

«Eilidh sarà sicuramente in ritardo, forse è meglio se passo a sentire a che punto è. Intanto tu va' pure Erwin»

«Va bene Levi, basta che dopo non siate in due a fare ritardo»

Ed Erwin se ne uscì con un sorriso malizioso sulle labbra.

Una volta chiusa la porta d'ingresso, Levi aprì quella del bagno.

Nell'attesa Eilidh si era messa a sedere per terra e appena lo vide non riuscì a trattenersi dal ridere.

«Non c'è niente da ridere. Sbrigati» le disse, prendendola per le mani e tirandola su.

Ma lei non riusciva a smettere e anche lui cedette e abbozzò un sorriso, mentre la stringeva a sé, incapace ormai di opporre resistenza a quel corpo, a quegli occhi.

Anche se lo sapeva già da tempo, in quell'istante si rese conto che lei lo rendeva felice; in quei momenti si sentiva come quella prima volta in cui aveva visto il cielo al di fuori delle mura. Era qualcosa che non riusciva a spiegare, a definire, ma dentro di lui era nitido come una giornata di sole.
Ma quella prima volta fuori dalle mura il sole li aveva abbandonati e lui ricordava ancora fin troppo bene quello che era successo dopo: le due persone a lui più care erano state divorate.

Strade [Levi Ackermann]Where stories live. Discover now