Cap 4. pt 2.

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-È un piacere conoscerla, Harry.
Guardo l'uomo in faccia finalmente.
Ah, quello della Dortys.
Ci mancava questo. Ora vorrà parlare... Lo guardo meglio, ha un occhio più aperto dell'altro. Sarà per quello che non vede la mia faccia impaziente?
Harry, no. Sii buono. Non pensare a queste cose. Tu non puoi sapere cosa gli è successo. Sii educato.
Cerco di pensare ad altro e di essere una persona più gentile.
Fa freddo, sono sudato... non ha paura che mi possa prendere un accidenti? Ammalarmi, e magari non potrò andare nella sua scuola?
Sembrerebbe di no.
Lo riguardo, per quanto sia arrabbiato con lui in questo momento, devo comunque sembrare interessato.
-Piacere mio, signor...
-Miller. Sono il signor Miller.
Probabilmente già lo ha detto ma non ho sentito.
Mentre ci stringiamo la mano controllo di nuovo l'ingresso della scuola. Nulla.
-Sono contento di averla vista giocare oggi. So che è il capitano della squadra.
-Sí
Probabilmente il "sì" mi è uscito con un tono un po' troppo spazientito perché si guarda alle spalle e mi chiede se ho fretta.
-No signore, scusi. Sa, il coach voleva parlarci...
-Si chiaro, capisco, i soliti discorsi da dopo partita. Non voglio trattenerla ulteriormente. Ci vediamo dopo se per lei va bene.
Senza badare a quello che dice rispondo con un rapito "Perfetto" e corro in spogliatoio.
Il discorso del coach c'è davvero.
Con quella "scusa" me la cavo sempre quando non ho voglia di parlare con qualcuno dopo la partita. Funziona alla grande come potete vedere.
Mi faccio la doccia molto, molto ma molto lentamente. Ormai Louis sarà già a casa, non c'è bisogno di correre.
Ancora in asciugamano mi siedo sulla panchina con i gomiti suelle gambe e la faccia appoggiata alle mani.
Guardo a terra sconsolato.
Cosa non avrei dato per essere arrivato in tempo a quella porta.
Mi arriva un messaggio e faccio quello che ogni adolescente innamorato farebbe pur sapendo che non è Il Messaggio, quello con la M maiuscola. Prendo in fretta il telefono ma sullo schermo, naturalmente, non c'è il Messaggio.
È mamma. Dice di sbrigarmi che mi stanno aspettando.
Gli ultimi miei compagni rimasti in spogliatoio mi salutano.
Rimango solo. Io, il ticchettio delle gocce che cadono dalla doccia e i miei pensieri.
Ora non ho più l'immagine serena di un venerdì sera passato ma ho un'infinità di immagini ipotetiche di un sabato sera futuro.
Rispondo a mamma

Un attimo e arrivo.

Mi guardo, devo ancora asciugarmi. Passeranno almeno 15 minuti prima che io esca. Quindi oltre al discorso di Miller avrò la ramanzina di mamma perché ho fatto aspettare.
Ho solo voglia di rimettermi sotto la doccia e lasciare che l'acqua mi consumi e piangere, confondendo le lacrime con le gocce.
Ma non lo faccio.
Mi vesto.
Mi metto i soliti pantaloni della tuta grigi, il felpone bordeaux e la giacca di jeans lasciata aperta. Prendo il borsone ed esco dallo spogliatoio, ma solo dopo aver fatto un lungo sospiro.
Mi preparo psicologicamente a quello che mi aspetta là fuori e a quello che, al contrario, non mi aspetterà.
Pensare che fosse venuto alla partita e si fosse fermato vicino alla porta per me è stato davvero da ignorante, egocentrico e scemo.
Ma forse è l'amore che ci rende così. Non ci fa capire nulla, pensiamo solo a come stiamo noi stessi, e ci speriamo con ogni cellula del nostro corpo che ciò che succede sia davvero per noi, senza nemmeno conoscere come stanno davvero le cose.
Il corridoio che porta dallo spogliatoio all'uscita è lungo e curva due volte, eppure sento già le grida di chi sta ancora festeggiando fuori.
Ho appena svoltato un angolo quando vedo una sagoma appoggiata alla parete vicino alle macchinette. Una lattina di non so che bibita in una mano e il cellulare nell'altra.
Non sono accese tutte le luci dei corridoi quando la scuola rimane aperta per le partite, ma la luce emanata dallo schermo del telefono mi permette di riconoscere perfettamente di chi si tratta.
-Louis?
Mi esce un po' sordo il suo nome, ma ho la gola secca, non so per quale motivo, e per qualche strana ragione credo di aver comunque usato un volume più basso del solito.
Sorrido, pensando che probabilmente, e inconsciamente, l'ho fatto per non farmi sentire da nessuno. Qualunque cosa vogliamo dirci voglio che rimanga per noi soltanto.
-Ti sei cambiato finalmente. Fuori hai un sacco di gente che ti aspetta. Pensano tu sia caduto nelle tubature delle docce.
Ridacchio e lui fa lo stesso.
Non so se chiederglielo o no.
-Come mai sei venuto?
Ok, gliel'ho chiesto. Ho paura della risposta.
Fa spallucce.
-Non avevo nulla da fare.
Ah, bello. Interessante. Proprio quello che volevo sentirgli dire.
Annuisco e guardo per terra.
Quando rialzo lo sguardo lui è più vicino.
-Vuoi un sorso?
Guardo la lattina. Pepsi. Mi fa schifo.
-Grazie. Sto morendo di sete.
A volte mi sorprendo di quanto sia facile mentire in alcune circostanze. Tipo quando ho lui davanti.
Faccio una lieve smorfia mentre quella cosa mi scivola in bocca e le bollicine mi solleticano la gola.
-Vai a festeggiare adesso? Che avete vinto?
Faccio no con la testa mentre butto giù un altro sorso. È quasi piacevole ora quel solletichio. In fondo, non è molto diverso a quello che sento in tutto il corpo quando guardo i suoi occhi.
-Sono stanco. E ho quello della Dortys che vuole parlare.
-Sono sicuro che sarà in bene. Hai giocato bene, avete vinto. Hai fatto quello che dovevi fare.
Ora siamo a circa 30 centimetri di distanza.
Non siamo mai stati così vicini.
Deglutisco e faccio spallucce.
-Mi piace venire a vedere le partite.
Infatti non è mai venuto quest'anno. E meno di una decina di volte in quattro anni. Lo penso, ma non dico quello.
-Beh oggi non è stata granché. È stata abbastanza facile.
Le parole mi escono poco più forti di un sussurro.
Non riesco a parlare.
-Non importa. Mi sono divertito lo stesso. Anche se faceva freddo.
-Gia, ora inizia a fare freddo.
Veramente originale come risposta, complimenti Harry.
Ci guardiamo.
Mi sembra che siamo ancora più vicini.
Occhi negli occhi.
Naso alla stessa altezza del suo.
Mi sento arrossire.
Il silenzio sta aumentando.
-Lunedi so che è il compleanno di tuo padre, immagino niente lezione al pomeriggio.
Louis sposta lo sguardo alle scarpe. E solo in quel momento mi rendo conto che potrebbe essere nervoso quanto me visto che non riesce a tenere i piedi fermi.
-Già. Ma ci vediamo a scuola magari.
-Ok. Bene.
Ho ancora i capelli bagnati e dai riccioli piccole gocce profumate mi percorrono leggere la colonna vertebrale.
Mi viene un brivido.
Ma probabilmente non è dovuto alle gocce.
Trattengo un sorriso.
Cerco di pensare velocemente a qualcosa di sensato da dire e rompere quel silenzio imbarazzante, anche se una piccola parte dentro di me vorrebbe che quel momento non passasse mai.
A risolvere tutto è il mio telefono che inizia a suonare.
Io non lo sento. O almeno, so che suona, ma il mio cervello sembra volerlo ignorare a tutti i costi.
-Non rispondi?
Louis mi "disincanta" indicandomi il telefono.
-Si, subito.
Guardo. Una chiamata persa da "Mamy" e ora suona per Camille.
-Merda
A quanto pare non lo penso ma lo dico perché vedo Louis sorridere.
-Pronto?
-Harry tutto ok? Ti stiamo aspettando. Stai bene?
-Si si tutto a posto. Non trovavo più...- pensa a qualcosa di furbo, pensa a qualcosa di furbo- le mutande.
Silenzio.
Camille non risponde.
Louis mi guarda con una faccia allibita.
Io mi rendo conto di quello che ho detto e mentre mi sento andare a fuoco la faccia, termino la chiamata con un "arrivo"
-Ma... quando hai detto...
Louis lascia la frase in sospeso e io mi sbrigo a risponde
-Oh nono tranquillo.
Ci guardiamo per qualche secondo. Poi Louis rompe il silenzio.
-Vai. Non vorrai fare tardi? E io non voglio essere la causa del tuo ritardo.
"Tu non sei la causa di nulla" vorrei dire, ma non lo dico, come tante altre cose.
-Sì ora vado.
Invece no. Rimaniamo ancora lì.
I miei occhi verdi dentro i suoi occhi blu.
Il mio naso rosso per il caldo a due spanne dal suo rosso per il freddo.
Dai Harry, vai. Devi andare.
-Ok. Vado.
-Ok. Vai.
-Ciao Lou.
-Lou?
-Scusa, non ci ho pensato... mi è venuto...
-Ciao Hazza.
"Hazza".
Nessuno mi aveva mai chiamato così.
Nessuno mi ha mai dato un soprannome a dire la verità, certo, escluso "Styles". Ma è il mio cognome. Non un soprannome vero e proprio.
Dopo ancora qualche secondo lo supero per continuare il corridoio e dalla mia bocca esce un
-Fai gli auguri a tuo padre.
-Grazie.
Lo sento ridacchiare.
Poi continuo, con lo sguardo basso, fino all'uscita e mi mischio con le persone che ci sono fuori.
La mia famiglia mi aspetta con Morris, e mentre mi parlano non riesco a far altro che sorridere, con un'unica parola che mi risuona in testa come un sussurro.
"HAZZA".

PER I TUOI OCCHI SOLTANTO (for your eyes only) || Larry story Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora