Cap 3. pt 2.

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-Ciao ragazzi.
-Ciao Louis.
A rispondere sono solo Camille e James. Io sono ancora imbambolato e incredulo.
-Senti Harry, scusa ma oggi pomeriggio non ci sono per le ripetizioni. Ti va bene se rimandiamo? O se non hai pomeriggi liberi saltiamo questa settimana, tanto per un po' non abbiamo test con la Blake.
Sono impietrito.
Non riesco a muovere nessun muscolo.
Nemmeno la bocca per dire ok.
-Harry?
Non so chi sia stato a chiamarmi ma almeno rispondo
-Si?
-Va bene?
Sta volta è Louis.
-Si, certo. Scusa. Stavo pensando ai pomeriggi.- Palla bella grande ma "stavo pensando che l'unica cosa bella della giornata mi è stata appena strappata via in un lampo e non potrò passare con te e i tuoi occhioni blu più di questi pochi minuti, usati tra l'altro per una notizia pessima, e la prossima volta che ti vedrò sarà domani in classe, lontani, circondati da gente quindi farò comunque in modo di non guardarti sennò per me sono guai" mi sembrava troppo lungo.
-Ok, tranquillo. Fammi poi sapere. Scusa ancora se te l'ho detto solo ora. Buon appetito.
Non lo saluto. Tempo che il mio cervello torna a prendere possesso dei muscoli che lui è già a un altro tavolo con altri ragazzi.
Mi rigiro e butto la forchetta in mezzo ai pezzetti di cibo lasciando che dalla mia bocca esca un leggero sussurro tra i denti "Schifo."
Non sto qui a dirvi di nuovo che da quel momento, il tempo non passa più.
Avendo il pomeriggio libero anche dagli allenamenti, visto che avendo giocato ieri il Coach voleva riposo, Camille mi invita a vedere i suoi di allenamenti.
Devo dire che non mi dispiace, riesco a stare con lei, e allo stesso tempo con me stesso e i miei pensieri senza dover dare spiegazioni se in quel momento non sembro collegato con il mondo.
Gioca a pallavolo da sempre, credo. Sua mamma era davvero brava da giovane. Era nella nazionale, poi, per un problema al ginocchio ha dovuto lasciare. Camille è altrettanto brava, spero diventi come sua madre un giorno, so che è il suo sogno.
Finiti gli allenamenti la accompagno a casa per poi proseguire verso il bar.
Come già vi ho detto, la casa affianco alla sua è la sua. Non vi dico il nervoso per non essere dentro.
Non che sia uno spasso dare ripetizioni a quello. Penso sia piazzato peggio di James in matematica.
Passiamo un'ora a fare calcoli, trovare perimetri, risolvere equazioni, eppure è una delle ore più belle della settimana.
Ci siamo solo io, lui, la mia voce che spiega e i suoi occhi che prestano attenzione.
Comunque, stavo dicendo, dopo aver portato Camille a casa vado al bar. Arrivo in ritardo ma vedo che c'è poca gente. Derek mi guarda un attimo storto e poi mi lancia il grembiule.
Pulisco qualche tazzina, preparo qualche caffè, scaldo qualche panino. Giornata fiacca, nulla e nessuno di interessante.
Vado un attimo in bagno, sapete anche io devo andarci ogni tanto, e quando torno vedo una testa di capelli castani, un po spettinati, come se fossero stati coperti dal cappuccio del felpone fino a un attimo prima. I pantaloni della tuta grigi e larghi, se non sbaglio e credo proprio di no, dovrebbero coprire due gambe esili ma veloci.
-Ti sono mancato che sei venuto fino qui?
Ma non lo dico, lo penso soltanto. So che è lui, ma non voglio rischiare. Aspetto di arrivare dietro al bancone e poi parlo.
-Ciao, sei di nuovo qui?
Non posso dire di avere un tono gentile. Sono arrabbiato a morte.
-Si. Scusa per prima ma...
-Fa niente davvero, sono andato agli allenamenti della mia ragazza.
Ma sono cretino? Che cazzo mi è venuto in mente? Almeno potevo lasciarlo parlare. E invece? Gli ho pure detto che ho la ragazza. So che sa che ce l'ho, però dirlo è un'altra cosa.
Respiro.
Mi mordo la lingua.
Mi calmo.
-Scusa, non volevo. È stata una giornata lunga oggi.
-Tranquillo.
-Ti porto qualcosa.
-No, niente grazie.
Ci guardiamo, poi forse capisce che il silenzio che si è creato è un modo per chiedere cosa ci faccia al bar, infatti prosegue.
- La prossima settimana è il compleanno di mio papà e ama fare foto. Qua dietro c'è un negozio che vende delle macchine fotografiche come si deve.
Altra pausa, più breve stavolta, ma abbassa lo sguardo, sulle mani.
Ha delle belle mani. Magre, con dita affusolate che in questo momento giocherellano nervose con il bordo delle maniche.
-E sono passato qua per chiederti ancora scusa se ti ho avvisato all'ultimo, ma ho scoperto che il negozio chiude per un po' e avevo paura di non fare in tempo a trovarla altrove.
Sono impietrito. Di nuovo. E ora che cosa dico? Tranquillo? Ripetitivo. Fa niente? L'ho già detto e non è suonato granché. Non importa? È l'ultima opzione.
-Non importa, davvero.
Gli sorrido. Lui sorride. E al diavolo l'arrabbiatura e tutto il resto. Sto sorriso mi ha migliorato l'intera settimana.
-Che macchina hai preso?
-Vuoi vederla?
-Perchè no?
Sembra stupito, ma contento.
Sempre con il sorriso e gli occhi che brillano tira fuori dalla borsa ai piedi dello sgabello (lo stesso dell'altra volta) una confezione bianca con le immagini di paesaggi e animali sopra.
Mentre si abbassa tengo lo sguardo fisso su di lui. Lo guardo e probabilmente sorrido, ma la poca gente che c'è sicuramente non sta badando a me, e Derek è in magazzino.
Quindi rimango lì a guardarlo e a sorridere senza pensare a nulla, se non che ci siamo lui, io, la sua voce che spiega e i miei occhi che prestano attenzione.

PER I TUOI OCCHI SOLTANTO (for your eyes only) || Larry story Where stories live. Discover now