Capitolo 1

10.1K 273 14
                                    

Clarke stava dicendo addio a Bellamy, davanti ai cancelli del campo Jaha. Sentiva che non sarebbe riuscita a sopportare tutto quel dolore perciò diede a Bellamy il compito di prendersi cura della sua gente, come avrebbe fatto un vero leader, e di lasciarsi tutta la sua vita alle spalle. Doveva andarsene di lì, ormai l'aria si faceva insopportabile e ogni volta che volgeva lo sguardo verso la sua gente tutto ciò a cui riusciva a pensare era  quello che aveva fatto per salvarli.

Ora fissava Bellamy. Lo conosceva bene e sapeva che non l'avrebbe mai seguita nella sua "ricerca nel ritrovare se stessa" e prima che Clarke potesse andarsene o dire il suo ultimo addio, Bellamy le disse :

"Dove andrai Clarke?"

"Ancora non lo so...La mia unica certezza è che noi ci rincontreremo di nuovo. Te lo prometto".

Dicendo questo Clarke diede un bacio sulla guancia a Bellamy e gli sussurrò all'orecchio la frase che solitamente il "popolo del cielo" usava dire quando qualcuno di loro se ne andava: "Fa che ci rincontremo ancora". Guardò Bellamy un ultima volta e se ne andò, lasciandosi alle spalle la sua vecchia vita, la sua gente e il sussurro incomprensibile di una frase che proferì Bellamy nel momento in cui se ne andò.

***

Clarke era ormai lontana dal campo Jaha e ciò che riusciva a vedere intorno a sè erano solo alberi e verde, solo lei e la tranquillità della foresta. Già sentiva la mancanza di tutti e si chiedeva cosa stessero facendo lì, se avessero avvertito di già la sua mancanza oppure se in quel momento avessero provato un sentimento di rabbia nei suoi confronti perchè li aveva abbandonati senza affrontare le consequenze. Tutti questi pensieri gli stavano balenando nella testa, quasi alla rinfusa, creando un senso di nausea e di forte mal di testa. Tutto quello che voleva fare era piangere. Si appoggiò ,quindi, vicino alla corteccia di un albero e si mise ad ascoltare il silenzio, accarezzando l'erba accanto a lei e cercando di rimettere insieme i pezzi che aveva perso il giorno in cui arrivò sulla Terra. Aveva sopportato per troppo tempo il peso di molte morti: Wells, la piccola Charlotte, Maya, Finn...Non voleva niente di tutto questo. Non voleva una guerra, non voleva essere partecipe alla morte dei propri compagni e non voleva nemmeno essere la responsabile della morte degli uomini di Mount Weather. Dopo questo, si alzò in piedi, si asciugò le lacrime e riprese il cammino lungo i boschi senza una meta ben precisa.

Passarono i giorni e Clarke continuava a camminare per i boschi, senza nè mangiare e nè dormire.
Ad un certo punto sentì il suo corpo cedere del tutto e cadde a terra sbattendo la testa.
Voleva mettersi in piedi ma non riusciva a camminare. Ebbe anche le allucinazioni e capì da cosa erano dovute: da una piccola siringa di metallo che era piantata sul collo. Fu in grado di toglierla ma cadde nuovamente a terra priva di sensi e l'unica cosa che vide era l'immagine sfocata di un ombra.

***

Clarke si trovava sull'Arca.

Riusciva a sentire ancora il profumo dell'aria quasi metallica che inondava la stanza. Lei aveva la solita treccia che usava fare e i tipici vestiti malconci che odoravano di pulito. La stanza della cella era come l'aveva lasciata l'ultima volta; piena di disegni e dipinti sui muri delle pareti grigie, creati dal suo desiderio di andare sulla Terra. Aveva come l'impressione che quella cella la stava opprimendo, era rimasta chiusa lì per troppo tempo ed era giunta l'ora di uscire. Iniziò a gironzolare per la stanza, nel tentativo di trovare un oggetto con cui forzare la porta...Guardò ovunque: sugli scaffali impolverati, sopra e sotto la brandina, senza trovare niente. Si appoggiò al muro, stanca ormai della sua ricerca vana, ma proprio quando stava perdendo le speranze si accorse che la porta blindata era socchiusa:

-"Forse qualcuno da fuori aveva già aperto la porta"-pensò.

Senza indugiare aprì la porta e notò che nelle altre celle,non vi erano prigionieri...Era rimasta solo lei. Fece il giro dell'intera Arca ma non trovò nessuno. Guardò stanza per stanza, stazioni per stazioni, ma niente. Sembrava l'ultima sopravissuta della razza umana.

"E se fossi rimasta da sola? Se non ci fosse più nessun altro sull'Arca? Cosa farò io?"- pensò tra sè e sè.

Mentre rifletteva si imbattè in una porta maestosa che portava ad una stanza sconosciuta. Clarke curiosa aprì la porta con molta cautela e appena mise piede nella stanza, si accesero delle luci provenienti dal soffitto e notò che in realtà non si trattava di una stanza, ma di un corridoio molto lungo e ampio con le pareti piene di specchi. Varcò il corridoio e ,alla fine di esso, trovò una seconda porta; questa volta più maestosa dell'altra e ricoperta da preziosi intagli nel metallo e prima che potesse aprirla, sentì al di là di essa delle voci...di uomini, donne e bambini ma in particolare ne riconobbe una:quella di suo padre.
Clarke confusa e entusiasta allo stesso tempo aprì quella porta che ormai divideva ,solo per pochi metri,suo padre da lei.

"Non preoccuparti papà,la tua piccola sta arrivando"
-si disse tra sè e sè.

Sollevata aprì la porta e ciò che vide davanti a sè era una stanza affrescata da vari dipinti e quadri. Una tavolata piena di cibo ma soprattutto vide tutta la sua gente dell'Arca. Tra la folla riconobbe Wells,la piccola Charlotte, Finn e suo padre. Clarke con le lacrime agli occhi, corse ad abbracciarli tutti e dopo aver salutato gli altri notò che un ragazzo bruno,bello ed alto stava camminando verso di lei. Clarke lo avrebbe riconosciuto anche lontano kilometri di distanza: quel ragazzo era Bellamy. I due si abbracciarono con molta forza e con le lacrime di gioia. Bellamy con un sorriso smagliante, iniziò la conversazione.

"Mi sei mancata tanto principessa, lo sai?"

"Lo so. Anche tu mi sei mancato molto Bellamy ".

Clarke non riusciva a smettere di sorridere, non si era mai sentiva cosi felice in tutta la sua vita. Aveva ritrovato la sua gente, i suoi genitori e infine aveva ritrovato Bellamy. Ma proprio quando tutto stava andando per il verso giusto, si udì un rumore assordante proveniente da alto parlanti. Clarke capì subito che c'era qualcosa che non andava: quello era il segnale che avvertiva l'assenza di ossigeno. Presa dal panico, cercò di aprire la porta ma era completamente siggillata. Chiese aiuto agli altri ma notò che tutti quanti si stavano accasciando a terra, soffocando e quasi in apnea cercavano di respirare quel poco di ossigeno che si trovava ancora nella stanza, cercando invano di chiedere aiuto a l'unica ancora viva: Clarke. Voleva aiutarli ma non sapeva come, quindi si avvicinò a tutti loro, con il viso rigato di lacrime e rimase seduta a fissare Bellamy che ansimava e si dimenava. Bellamy resistette per un pò e poco prima che lasciò Clarke, la prese per mano e con le lacrime agli occhi le disse:

"È stato bello conoscerti,principessa".

Clarke,abbandonò la mano inerme di Bellamy, si avvicinò al corpo di lui e gli sussurò all'orecchio con la voce rotta causata dal pianto:

"È stato bello anche per me, Bell".

Alzò lo sguardo e vide uno spettacolo orribile; c'era gente che ansimava ancora in cerca di un pò di aria e ce ne erano altri che se ne stavano andando piano piano. Baciò per un ultima volta Bellamy sulla guancia, dopo si alzò e camminò tra i corpi della sua gente. Non potè resistere a tutta quella tensione e, presa dalla rabbia e dalla tristezza, cacciò un urlo così acuto che risuonò per tutta la stazione dell'Arca.

May We Meet Again Where stories live. Discover now