Capitolo 12 - Fraintendimenti

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Sentii che aveva interrotto la conversazione, e mi resi conto che per la prima volta, dopo oltre diciannove anni di matrimonio, non ci eravamo detti che ci amavamo. Lo so, sembra una cosa stupida, ma non lo era. Il giorno del fidanzamento ci giurammo che ce lo saremmo detti sempre, ad ogni saluto, ogni giorno, anche centinaia di volte al giorno. E ci era capitato molte volte di litigare, anche di brutto, però mai a tal punto da "toglierci il ti amo", come dicevamo spesso. Quella situazione non mi piaceva proprio, non ce la facevo ad avercela con Elena; la amavo troppo. Avvistai un negozio di fiori a pochi passi dal bar da cui ero uscito; mi allontanai dalla macchina ed acquistai un mazzo di rose bianche, i suoi fiori preferiti. Avevo deciso di farle una sorpresa, andando a prenderla alla palestra. Imboccai l'autostrada e mi diressi velocemente da lei.

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<< Forza, ragazze. Cinque minuti e torniamo tutte a casa >>.

Ero stanchissima: da quella mattina alle otto avevo iniziato a lavorare alla palestra di Davide, la palestra della scuola. Quando avevo inviato il curriculum, un po' per sfida, ero convinta che non mi avrebbero mai assunta - soprattutto, visti i tempi che correvano -. Eppure, erano stati piuttosto rapidi a chiamarmi, fissando un colloquio per il giorno successivo, e, dopo quello, assumendomi. "Inizierà questo lunedì, se per lei non ci sono problemi" , mi aveva detto il Preside. Certo, nessun problema, a parte il fatto che non ho neppure accennato la cosa alla mia famiglia. Dirlo ad Edoardo, in realtà, era stato più semplice del previsto; apparentemente, aveva accettato la cosa, e sembrava pure felice per me. I ragazzi ... beh, Davide l'aveva scoperto quella mattina stessa, davanti ai suoi compagni (cosa che non mi avrebbe mai perdonato), mentre Melissa l'aveva saputo dal fratello. Dio solo sapeva cosa mi aspettava a casa quella sera ...

<< Prof, noi andiamo a cambiarci >>.

Era una delle ragazze della squadra di pallavolo della scuola, Elisa.

<< Certo, andate pure. E, quante volte devo dirvelo, non sono una professoressa! Chiamatemi Elena >>.

<< Soprattutto tu, Eli >> aggiunsi, quando le altre si erano già allontanate.

Elisa era la seconda figlia di Riccardo, sorella di Giovanni. Aveva solo dodici anni, ma sembrava molto più grande: alta, snella ... la tipica pallavolista. Mi ricordava tanto me alla sua età.

<< Certo, zia, ma non mi sembra giusto, davanti alle compagne >>.

Mi chiamava "zia" da quando era alta poco più di un metro.

<< Hai ragione >> le dissi. << Ma adesso va' a cambiarti, o tuo padre se la prenderà con me >>.

Mi cambiai anche io, togliendo la tuta ed indossando il - meno pratico - tailleur che avevo scelto la mattina. Chiusi la palestra ed uscii, diretta alla fermata degli autobus. Avevo deciso di andare a trovare mia madre, erano giorni che non ci vedevamo, ed ero ancora troppo arrabbiata con Edo per farmi accompagnare da lui.

<< Ehilà, Elena >>.

Mi voltai per capire chi mi avesse chiamata, e vidi Riccardo, con Elisa accanto.

<< Ciao, Riccardo >> gli risposi, baciandolo su una guancia.

<< Eli mi ha detto che adesso sei la sua prof di pallavolo. Detto fra noi, era proprio ora che rimpiazzassero la Polverini, era mezza sorda e pare venisse al lavoro ubriaca >>.

Era sempre il solito: conosceva tutti i pettegolezzi.

<< Povera donna, non dovremmo parlarne così. Speriamo si sia ripresa dopo la pensione >>.

Mi guardò e sorrise.

<< Sei la persona migliore che conosca >> commentò.

<< Papà, sta aspettando l'autobus. Possiamo darle un passaggio noi >> intervenne Elisa.

<< Certo. Dai, vieni con noi >> si mise a disposizione Riccardo.

<< Non ti preoccupare, devo andare da mia madre che sta dall'altra parte della città, non è il caso ... >> iniziai.

<< Su, è stata Elisa ad offrirti il passaggio. Non vorrai mica farla offendere? >> disse, facendo una smorfia.

<< D'accordo >> mi arresi.

Ci dirigemmo verso la sua auto, parcheggiata poco più avanti.

<< Tua moglie come sta? >> gli chiesi, mentre camminavamo.

<< Bene, bene ... lavora. Questa settimana l'hanno mandata in Siria >>.

Ludovica, la moglie di Riccardo, faceva la giornalista. Guarda caso, quei due si erano conosciuti a Dubai, dove lui era andato a revisionare degli edifici, in qualità di ingegnere, e lei a scrivere degli articoli.

<< Wow, deve essere entusiasmante il suo lavoro >> osservai.

L'avevo sempre invidiata, perché, grazie alla sua professione, aveva già visto mezzo mondo.

<< Io non lo definirei entusiasmante. Almeno non per noi >> puntualizzò, indicando Elisa.

<< E' terribile sapere che in questo momento, mentre io e te passeggiamo tranquillamente, lei sta rischiando la vita >>.

Aveva ragione, che stupida. Non sapevo più cosa dire. In silenzio, salii sull'auto. Riccardo sembrò notare la mia espressione.

<< Scusami, forse sono stato sgarbato. E' che sono preoccupato per lei >>.

<< No, hai ragione. Sono stata io la stupida >> dissi.

Mi accarezzò una guancia.

<< Tu non sei stupida >> si limitò a dire.

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Svoltai l'angolo; ero quasi arrivato alla palestra. Parcheggiai in una stradina secondaria e uscii dalla macchina, sperando che il mio alito non puzzasse troppo di alcol. Arrivato di fronte alla scuola, scorsi Elena: era con Riccardo. Era seduta sul sedile anteriore della sua auto, e i due sembravano così ... complici. Incredibile ... al telefono mi aveva detto che avrebbe preso l'autobus, e invece era con il suo ex. Gettai le rose a terra, calpestandole, e corsi verso la mia macchina: sarei tornato al bar.

Il mistero della casaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora