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 Greere.

Non potevo credere a quello che stava succedendo: avevo organizzato per filo e per segno quel momento, sbrigandomi a studiare per tutta la mattina e preparandomi in tempo. 

Tutto al vento, eppure ero sicura di non aver sbagliato l'orario.

Dylan e Cole discutevano su qualcosa riguardo le auto ma io continuavo a pensare a quanto fossi dispiaciuta di non poter passare del tempo con lui. Tutta quella tensione che si era accumulata tra me e Dylan nei giorni precedenti mi stava uccidendo, combinata ai mille racconti di Nancy su come secondo lei Dylan fosse bravo a baciare... e altro.

Stavo impazzendo, e il suo modo di guardarmi mentre sorseggiava il drink giovedì sera mi aveva tormentata per tutta la notte.

Avevo bisogno di stare sola con Cole.

<Ti potrebbe accompagnare Gree, allora.>

<Eh?> riuscii a dire, guardando in direzione dei due ragazzi difronte a me.

Dylan mi guardava dall'alto del suo metro e ottanta. I suoi occhi erano penetranti.

<Dylan deve guidare fino a Macon per ritirare la sua auto. Potresti fargli compagnia.> abbreviò Cole. Mi avvicinai a lui, balbettando delle scuse plausibili. L'ultima cosa che avrei voluto quel giorno era passare del tempo da sola con Dylan. 

<Io non credo che... cioè insomma...> anche lui sembrava voler trovare delle giustificazioni. Sapevamo bene entrambi cosa eravamo capaci di causarci a vicenda.

<E' solo un'ora di viaggio.> cercò di convincermi Cole. Le sue mani si chiusero attorno al mio viso, eravamo così vicini. <Un ora per andare, una per tornare e vedrai che non appena sarete qui io e te faremo tutto quello che vuoi.>

Il suo sorriso mi convinse, e rivolsi uno sguardo a Dylan, intento a sistemarsi la giacca sulle spalle.

Non poteva andare male, ci saremmo fatti compagnia per qualche ora e poi saremmo tornati al campus. D'altronde nemmeno io avevo niente di meglio da fare.

Cosa poteva andare storto?


Una volta usciti dalla città e aver imboccato la superstrada sentivo un urgente bisogno di incanalare il mio nervosismo in qualcos'altro che non fossero le mie unghie. Sembrò leggermi nel pensiero -o provare il mio stesso disagio- perché accese la radio e lasciò che la musica riempisse l'abitacolo dal quel silenzio imbarazzante.

Avevo molto ripensato alle parole di Dylan riguardo la mia relazione con Cole, ed ero giunta ad una conclusione: era solo invidioso. Io e suo cugino eravamo una coppia perfetta: mai un litigio, mai una scenata di gelosia, stessi interessi ed obbiettivi.

E lui invece? Di lui non sapevo niente e non volevo sapere nient'altro che lo stretto indispensabile per averci un rapporto civile. Era vero che io e Cole potevamo sembrare poco più che amici in pubblico, data la scarsità di scambio di effusioni, ma noi sapevamo quanto ci amassimo e non serviva altro.

<Porca puttana.> esclamò colpendo il volante con il palmo della mano. Collegai la sua reazione ad un motivo quando vidi la nostra auto, o meglio quella di Cole, superare lo svincolo giusto per proseguire verso Macon. 

<Hai sbagliato strada.> ovviai, sistemandomi meglio sul sedile. 

<Lo so, grazie.> 

Sembrò irritato e non ne capii il motivo.

<Puoi cercare su Maps tra quanto è il prossimo svincolo?> aggiunse poi, passandosi una mano sul viso e ingranando la marcia. Senza obbiettare guardai sul mio telefono. 

<Tra poco, ti avviso io se vuoi.>

Non disse niente e continuò a guardare dritto davanti a se. Approfittai della sua concentrazione alla guida per osservarlo meglio, più da vicino. Il suo naso era tondo, tendeva leggermente all'insù e quei piccoli nei che avevo già ben notato erano così tanti che mi domandai se fosse possibile contarli. Aveva le spalle larghe e le braccia muscolose, una mano sul volante e l'altra poggiata comodamente al finestrino. Da quella posizione, seduto, il rigonfiamento dei pantaloni sembrava evidente. Arrossii non appena mi resi conto della portata dei miei pensieri e potetti nascondere il viso tra i capelli.

<Allora?>

<L-la prossima a destra...>


Mi resi conto di non aver capito dove stessimo andando e perché solo quando arrivammo in città. Ormai il sole aveva iniziato a tramontare e per il ritorno eravamo già in ritardo di mezz'ora. In più il cielo era nuvoloso e sembrava minacciare una brutta pioggia. 

Mi chiesi se non sarebbe stato meglio chiedere a Nancy di scortare il cugino californiano.

<Dove... oh, cazzo. Ma che merda è?>

Le sue continue imprecazioni mi mettevano agitazione. Era come se il suo nervosismo traspirasse dal corpo fino a penetrare nel mio.

<Hey, vuoi calmarti? E poi, mi dici dove stiamo andando? Magari posso darti una mano!>

Mi rivolse una veloce occhiata prima di svoltare ad un semaforo. 

<La mia jeep è stata erroneamente mandata in questa città del cazzo, quindi devo ritirarla.>

Alzai le sopracciglia e inspirai dell'aria dal finestrino aperto tentando di stare calma.

<Potresti dirmi dove dovresti andare?>

Riuscimmo dopo altre imprecazioni e svincoli ad arrivare a destinazione. Era un enorme magazzino, con delle saracinesche fin troppo alte e numerose auto e persone si muovevano in un disordinato via vai.

Dylan parcheggiò l'auto di Cole e ci incamminammo verso un uomo paffuto con in mano un portfolio: sembrava dirigere lui quel posto. La camminata di Dylan era sicura e allo stesso tempo sciolta e rilassata. Ondeggiava le braccia e si guardava intorno. Io restai dietro di lui, quel posto mi dava la nausea.

<Salve.>

<Mi dica.> rispose l'uomo, non degnandoci di uno sguardo.

<Sono qui per ritirare la mia Jeep, da Los Angeles.>

L'uomo che sembrava non stare nemmeno ascoltando sollevò lo sguardo inespressivo prima su di lui, poi su di me, concludendo con:<Non c'è nessuna Jeep da Los Angeles.>


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