Sei.

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Se ci fosse uno specchio in questo lurido cesso, so per certo che rifletterebbe l'immagine della decadenza: viso pallido, occhiaie, pupille dilatate, labbra secche e fronte sudata

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Se ci fosse uno specchio in questo lurido cesso, so per certo che rifletterebbe l'immagine della decadenza: viso pallido, occhiaie, pupille dilatate, labbra secche e fronte sudata.

Mi aggrappo al lavandino arrugginito, mentre l'acqua scorre, e strizzo le palpebre un paio di volte. Il mio cuore sta battendo più forte del normale, me lo sento nelle tempie, in gola, nelle orecchie. Ovunque. Sembra un martello pneumatico.

La puzza di piscio mi si attacca sotto la pelle, e non so se i miei conati siano dovuti a questo o alla pasticca di ecstasy che ho mandato giù venti minuti fa. È roba forte, cazzo. Avrei potuto venderla a molto di più, se solo l'avessi saputo prima.

Vabbè. Sticazzi. Per stasera, comunque, la mia parte l'ho fatta.

Emetto una risatina improvvisa, smanioso nelle ossa, devoto alla mia religione conturbante di una vita senza limiti che mi porterà allo sfacelo. Ben venga.

Richiudo il rubinetto dopo essermi schizzato un po' d'acqua in faccia, quindi mi asciugo con una passata di mano e abbandono il bagno alla svelta, prima che mi passi per la testa di farmi una striscia.

Non ancora. Ho altri progetti per stasera.

Bad guy rimbomba dalle casse, si insinua nell'aria accompagnata dalle luci psichedeliche, che illuminano le centinaia di corpi ammassati uno sull'altro. È già di per sé un miracolo riuscire a muoversi nei capannoni per quanto sono affollati.

Si tratta di una vecchia falegnameria in disuso che, una decina d'anni fa, noi ragazzi di Corviale abbiamo riutilizzato per farne una sottospecie di discoteca. È qui che si può trovare la peggior feccia di Roma: Corviale, Casetta Mattei e il Trullo. Una triade da far tremare le ginocchia. E quando si aggiungono i ragazzi di Tor Bella Monaca, allora sì che ci si diverte.

Ogni tanto capita una retata, ma bastano un paio di giorni di chiuso per ritornare più bastardi di prima. Fanculo, ci hanno abbandonati a noi stessi, quaggiù. Ci fanno vivere nella nostra stessa immondizia, nel degrado più totale, e poi osano anche intimarci di piegare la testa.

Scrollo il capo per togliermi questi pensieri di dosso, che mi riempiono soltanto di acido, e sgomito nella calca per raggiungere il bancone, dove ho lasciato gli altri. Ed è proprio lì che li ritrovo. Non si sono mossi di un centimetro.

Doug con ancora la lingua ficcata nella gola di una bionda coatta, e Christian che tiene compagnia alla piccola De Santis, in palese disagio nel caos in cui l'ho trascinata.

Prima che possa rendermi conto di cosa stia effettivamente facendo, compaio davanti a loro, curvo la schiena e piazzo le mani sulle gambe della ragazzina, seduta sullo sgabello alto. La sento trasalire, ma me ne frego.

«Di che si parla?», alzo la voce per farmi sentire al di sopra della musica.

Christian abbozza un sorrisetto e mi porge il suo bicchiere di rum e cola. «La piccola vuole bere!».

My BabyWhere stories live. Discover now