Tre.

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«Mi stai ascoltando, Tea?»

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«Mi stai ascoltando, Tea?».

Sconfino le pupille dietro il pizzo delle ciglia un paio di volte, prima di sollevare lo sguardo dal libro di testo di latino sul banco e sprofondare nelle iridi scure di Denise, intenta ad attorcigliarsi una ciocca castana  attorno all'indice.

«Certo». Forzo un sorriso. «Stavi parlando del ragazzo che ti ha scritto ieri sera, no?».

Lei picchietta le unghie laccate di rosa sulla superficie bianca. «Sì, venti minuti fa. Si può sapere che hai? Sei distratta da tutta la mattina e non è da te».

Certo che sono distratta. Sto pensando al fatto che qualcuno ha pisciato davanti alla porta di casa mia stamattina.

E credo di sapere piuttosto bene chi sia quel qualcuno, sebbene Rebecca e mia madre si ostinino a ripetersi che sia stato un cane. Certo, al settimo piano.

Se solo avessero visto anche loro gli occhi folli di quel pazzo, intrisi dalle minacce perfide e sedimentate da un odio viscerale, non avrebbero esitato a credermi sulla parola. Nicholas Morra è un caso clinico senza via di redenzione.

Peccato per lui che io sia un osso duro, animata da un cuore audace che spilla fuoco da ogni anfratto.

«Non ho niente, Deny», sospiro, riponendo penna ed evidenziatore nell'astuccio. «È solo questa situazione del trasferimento che ancora non mi va giù. Te l'ho già detto».

«Lo credo bene. Non sono mai stata a Corviale, ma ho visto qualche immagine e, lasciamelo dire, è una vera merda. Almeno c'è qualche bono a compensare?».

Mi lascio sfuggire una risatina. «Qualcuno», cantileno poi, facendole sbarrare le palpebre dall'eccitazione.

In un attimo si avvicina ancora di più, aggrappandosi al mio braccio, incurante dell'occhiataccia lanciata dal supplente. Avremmo dovuto avere latino a quest'ora, ma a quanto pare il prof si è dato malato, per fortuna.

«Voglio i dettagli. Immediatamente».

Non riesco neppure ad aprire bocca che un mugugno, proveniente dal banco dietro il nostro, mi solletica la nuca scoperta dalla mia crocchia improvvisata. Voltandomi, finisco per scontrarmi con gli occhi azzurri e le dolci efelidi di Levi, ultimo membro del terzetto.

«Vi prego, no. Andate a parlare di queste cose altrove, non ne posso più».

«È a te che danno fastidio i nostri discorsi. Spostati tu se non vuoi ascoltarli», rispondo puntigliosa.

Nutro un debole malsano per quella graziosa grinza che gli nasce sulla fronte aggrottata, ogni volta che lo infastidisco.

Denise schiocca le dita. «Ben detto, sorella».

Il suo compagno di banco sbuffa, urtato dalle nostre chiacchiere, ma non lo consideriamo neanche di striscio. In effetti, penso di ricordami a malapena metà dei nomi dei miei compagni di classe.

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