38. I cancelli di Shakdàn

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Havard e il suo esercito erano in marcia già da diversi giorni quando avvistarono un draghide volare nella loro direzione. L'animale si avvicinò con calma e atterrò davanti alla colonna per far scendere il suo cavaliere.

Il figlio di Hel si fece avanti. «Reton, com'è andata?»

L'orco con la mano metallica allargò le braccia forti e piene di cicatrici. «Insomma. Sono riuscito a parlare con alcuni inquisitori, ma era chiaro che avrebbero preferito parlare con voi. Non so se gli dei erano davvero in città, hanno detto solo che non intendevano ricevermi. Se non altro ho ancora la testa attaccata al corpo.»

Havard annuì. «Forse allora c'è ancora una possibilità per delle vere trattative.»

«Piuttosto, è già arrivato qualcuno? Dall'alto mi sembravate più del solito.»

«Solo un gruppo. Il grosso ci raggiungerà nelle prossime settimane.»

L'espressione del verde era un misto di stupore e ammirazione. «Se il grosso deve ancora arrivare, quanti uomini pensate di avere una volta arrivati a Shakdàn?»

Il pallido era fiducioso: «Abbastanza da vincere la guerra.»

Sul momento Reton non riuscì a darsi un numero, ma le parole del suo capo divennero più chiare nel corso delle settimane: le forze del figlio di Hel, fino a quel momento sparse per quasi tutte le terre degli orchi, si stavano riunendo un gruppo dopo l'altro al ritmo di centinaia se non migliaia per volta.

Quando l'esercito arrivò ai cancelli di Shakdàn, i suoi numeri erano impressionanti: decine di migliaia di orchi – di cui diverse centinaia armate di bacchette –, migliaia di monoceratopi e altri animali da guerra, qualche migliaio fra demoni e goblin, centinaia di troll, decine di draghidi, e addirittura qualche centinaio di sauriani e insettoidi, giunti dai territori confinanti con le loro peculiari cavalcature: neolophus e ragni giganti.

E se questi numeri non fossero stati sufficienti a fra tremare gli abitanti di Shakdàn, ad accompagnare la loro avanzata c'erano centinaia di roboanti tamburi, alcuni talmente grossi che solo i troll erano in grado di suonarli.

Havard, che procedeva in testa all'esercito in sella al suo possente drago corazzato, osservò con attenzione la città per cercare di cogliere anche il minimo segnale di ciò che avevano pianificato gli dei e il Clero.

Gli abitanti avevano già sbarrato l'enorme cancello principale e sembravano pronti ad asserragliarsi all'interno delle colossali mura di pietra, costruite sicuramente con l'ausilio della magia. Il pallido era sicuro che all'interno c'erano centinaia di inquisitori, più migliaia di guerrieri e magari qualche semidio. Anche Spartakan era sicuramente lì, piuttosto non erano in grado di stabilire se gli dei si trovassero effettivamente in qualcuno dei loro lussuosi edifici. Ma questo non era nemmeno così importante: se fosse riuscito a prendere quella città-simbolo, tutti quanti sarebbero stati costretti a riconoscere la sua autorità.

Havard fece fermare la colonna e anche il rullare dei tamburi si affievolì fino a spegnersi del tutto. Sempre in sella al suo drago, il pallido avanzò insieme a un manipolo di guerrieri.

«Sono Havard, figlio di Hel» annunciò in tono solenne e autorevole. «Sono qui per discutere con gli dei la fine della guerra.»

Ci volle un po', ma alla fine qualcuno gli rispose: «Gli dei non sono qui!»

«Allora fateli venire.»

Age of Epic - 2 - La progenie infernaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora