Alive - Prova a sopravvivere

By lightvmischief

169K 8.8K 1.8K

Una ragazza. Un gruppo. La sopravvivenza e la libertà. Le minacce e i pericoli della città, dell... More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Epilogo
Ringraziamenti

Capitolo 37

1.8K 113 13
By lightvmischief

KAYLA

Sto continuando a girarmi e rigirarmi sul divano, provando invano a prendere sonno. Ho troppi pensieri per la testa e nonostante sia completamente distrutta e praticamente al minimo delle mie energie, non riesco a chiudere occhio. Mi giro sulla schiena e guardo verso il soffitto, anche se vedo solo nero senza le luci delle candele.

Abbiamo ancora un solo razzo da sparare; ancora nessun segno. Sto cominciando a pensare che siamo completamente fuori rotta, ma non possiamo coprire così tanti chilometri senza cibo e acqua: moriremmo entro i primi dieci minuti dopo aver messo piede fuori casa.

Tutta questa situazione è così frustrante: mi sento come un capobranco che non riesce mai a infierire il colpo mortale alla sua preda per poterla portare ai suoi componenti. Nonostante stia uscendo continuamente e senza tregua, mi sento comunque inutile. E poi, c'è sempre la questione Margaret: dopo esser tornata in casa questa sera, con la discussione ancora ben presente nella mia testa e le parole taglienti di Elyse ancora attaccate alla mia pelle, non ho voluto saperne di risolvere la questione. Mi sto comportando da immatura? Forse sì, ma le mie preoccupazioni sono più che legittime. E poi, avrebbero almeno potuto chiedermelo prima di prendere la decisione; forse allora avrei anche accettato - con molta riluttanza -. Dovrei parlarle, capire cosa pensa, anche scusarmi per come l'ho trattata ultimamente.

Mi metto a sedere, appoggiando le piante dei piedi a terra e strofinandomi gli occhi. Sarà una notte lunga, tanto vale fare qualcosa di utile. Mi fermo davanti alla porta della sua camera condivisa con Calum e abbasso lentamente la maniglia per evitare di fare rumori bruschi e farli spaventare inutilmente. Indugio qualche istante prima di aprire la porta, con la mano ancora stretta alla maniglia, fredda contro il mio palmo caldo. Potrei aspettare domattina, magari non mi vuole nemmeno parlare adesso e le rovinerei soltanto il sonno. A questi pensieri mi pento subito dell'idea, rialzando la maniglia e facendo marcia indietro.

Mi fermo all'entrata del salotto, notando la figura di Calum davanti alla finestra per un'altra notte, con le spalle abbassate e il corpo che trema impercettibilmente. Non posso lasciare che vada avanti così.

Mi avvicino a lui, arrivando al suo fianco. «Vuoi parlare?» gli chiedo esitante e sottovoce, voltando lo sguardo al di fuori della finestra non appena si gira verso di me, passandosi veloce i dorsi delle mani sulle guance bagnate.

«Non credevo fossi sveglia.» Si schiarisce la voce, prendendo qualche respiro per stabilizzarla.

«Non devi fingere con me.» Le parole mi escono spontanee ed automatiche dalla bocca. «Ti ho visto le notti scorse, non puoi andare avanti così, Calum.»

«Senti chi parla» ribatte, voltando la testa dall'altra parte. «Scusa... Scusa.»

Quasi mi pento di avergli parlato e sono pronta ad alzare i tacchi, ma stringo la mascella e mi obbligo a rimanere. «Cos'hai per la testa?»

Sospira, facendo il giro del divano per sedercisi sopra e appoggiare i gomiti sulle ginocchia. «Cosa non ho per la testa.» Mi siedo accanto a lui, così vicino che le nostre spalle si toccano. Rimango in silenzio, un po' per lasciargli lo spazio di cui ha bisogno per mettere in ordine i suoi pensieri e un po' perchè non so cosa dire. «Non lo so, Kayla... è il quinto razzo che spariamo... »

Gli appoggio una mano sulla schiena, muovendola su e giù. Ho pensato la stessa cosa proprio minuti fa.

«È il tuo modo di dirmi che devo accettare che non li rivedrò più?» dice Calum, girando il viso verso il mio e lasciandosi andare in una risata breve ma amara.

«No, continueremo a cercarli, Calum. Non mi interessa quanti chilometri dovremo fare, li troveremo.» I nostri volti sono a pochi centimetri di distanza e i nostri sguardi incantenati l'uno all'altro. Rimaniamo così per pochi istanti, gli occhi di Calum si spostano a intermittenza dalle mie labbra ai miei occhi e poi si allontana, schiarendosi la gola e puntando lo sguardo dritto davanti a sè. Nella penombra lo vedo cominciare a giocare con le sue dita un po' a disagio.

«Hai... ci hai ripensato a portare con te Margaret?» chiede dopo qualche istante, cambiando discorso.

«Ci sto riflettendo,» ribatto, togliendo la mano dalla sua schiena, «ma non sono qui per parlare di questo.»

«Afferrato.» Alza la testa come irritato della mia risposta e mi tocca alzare gli occhi al cielo. Mi comporto anche io in questo modo così fastidioso quando sto soffrendo? «Non ho molto da dirti, Kayla, non so nemmeno cosa pensare a questo punto. E il fatto di dire le mie ipotesi ad alta voce le fa sembrare ancora più assurde di quando le penso. Quindi, credo- credo che tornerò di là.»

«Come preferisci» mi lascio scappare con una punta di irritazione, aspettando che si alzi dal divano per potermi stendere di nuovo. Rimango con gli occhi aperti finchè non lo sento chiudere la porta della sua camera.

Dopo interminabili minuti trascorsi a provare a contare pur di prendere sonno, credo di sentire delle gocce di pioggia: mi alzo con qualche giramento di testa e sbilanciamento e vado alla finestra, sperando di non avere anche le allucinazioni adesso. Ci impiego qualche secondo per girare la maniglia e aprirla e subito vengo travolta dal tradizionale odore della pioggia sull'asfalto asciutto. Un sorriso enorme si stampa sul mio volto, mentre di corsa mi infilo le scarpe e il giubbino, con passi pesanti e veloci prendo i possibili contenitori presenti in questa casa - pentole, padelle, brocche, due secchi - e mi fiondo giù dalle scale, tentando di non cadere o perdere l'equilibrio. Li appoggio appena fuori del tettuccio sull'uscio e li vedo riempirsi a ritmo sostenuto di goccioline d'acqua.

Sono così felice che scoppio in una risata sommessa e incontrollata ed esco dal tettuccio anche io, aprendo braccia e bocca sotto la pioggia. Lascio che scorra sulla mia figura, facendo arrivare le mani ai capelli per poter lavare via tutto lo sporco accumulato e trascinando via con sè parte dello stress degli ultimi giorni. È una sensazione paradisiaca. Qui e ora, mi sento bene, mi sento libera e mi sento leggera, anche se rimango sotto all'acqua per veramente pochi minuti per tornare a riempire altri contenitori, lo faccio con un sorriso leggero. Vorrei sentirmi sempre così.

Rientro in casa dopo qualche ora, mi tolgo i vestiti e mi asciugo con una salvietta, poi mi butto sul divano, riuscendo finalmente a prendere sonno.

Mi sembrano passati solo minuti da quando ho chiuso gli occhi, che già vengono a svegliarmi; è ora di tornare fuori a cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Rimango sorpresa quando riconosco la voce delicata che mi sveglia come quella di Margaret. Mi metto a sedere, stringendo ben addosso al mio corpo la salvietta in cui mi sono addormentata e la coperta.

«Hai dormito bene?» le chiedo con una punta di tensione. Non l'ho trattata molto bene negli ultimi giorni e voglio provare a rimediare alla situazione. Annuisce, accennando appena un sorriso. «Sei davvero sicura che vuoi uscire con me?» le domando dopo qualche istante, soppesando i pensieri nella mia testa e frenando la mia voce interiore che vorrebbe urlarle che è pazza a volerlo fare.

«Tu mi odi?» mi chiede invece, lasciandomi completamente spiazzata.

«Cosa-? No. No, Margaret, non- ti ho fatto credere questo?»

«Quando sei a casa non mi parli mai e poi non vuoi farmi uscire con te» ribatte, l'espressione sul suo viso imbronciata e il suo sguardo che penetra nel mio.

Mi si spezza il cuore al solo pensiero che le abbia dato la minima idea che io la odiassi tramite i miei comportamenti schivi. E mi dispiace che non sia per nulla colpa sua: è solo il fatto che assomiglia così tanto a Ebony nel suo modo di fare che fa riaprire la ferita non ancora rimarginata e ciò mi fa automaticamente distanziare da lei: è una cosa inconscia, non avrei mai creduto che ciò potesse ferirla fino a credere che io la odi.

«Mi dispiace, Margaret. Davvero, credimi. Non ti odio, non l'ho mai fatto,» inizio, prendendole le piccole mani e stringendole tra le mie, «voglio solo proteggerti. Non ce l'avevo con te ieri, se è questo che stai pensando. E voglio che tu sia sicura al cento per cento di voler uscire con me-»

«Sono sicura. Mi manca stare un po' con te.» Al suono delle sue parole il mio cuore si rompe definitivamente e mi vengono le lacrime agli occhi. La stringo forte in un abbraccio, rassicurandola ancora una volta che non la odio e che non ho mai provato quel sentimento nei suoi confronti.

Forse Elyse ha ragione: non posso continuare a rimuginare e rimuginare sugli eventi tragici del mio passato, trascurando le persone che ci sono nel mio presente. Non faccio del male solo a me, ma anche a loro. Ho passato così tanto tempo - settimane, mesi - a portare un costante lutto e ripensare a tutte le cose che avrei potuto fare per cambiare la situazione che mi ha lacerato dentro, facendomi dubitare di me stessa prima che degli altri. Devo accettarlo; devo andare avanti.

Per quanto io mi sforzi di non creare connessioni profonde con le persone per paura della loro perdita e del dolore che ne consegue, non posso negare a me stessa il piacere di avere qualcuno su cui contare per il senso di colpa che mi affligge per le altre morti subite; perchè per quanto io provi a convincermi che sono rimasta per ricambiare loro un favore, in realtà Wayne e Mali mi mancano terribilmente. Sono stati i miei primi amici dopo due anni di solitudine, sono stati i primi a voler andare oltre la mia corazza senza mai dubitare. Sono stati i primi con cui ho avuto i primi momenti di normalità nell'anormalità.

Adesso, però, devo occuparmi di sfamare noi quattro, altrimenti la prima cosa che troveremo sarà la morte. Non so per quanto riuscirò ad andare avanti in questo modo, con tutto il peso della sopravvivenza sopra le mie spalle e lo stress e la frustrazione di non riuscire a trovare nulla.

Avviso Calum ed Elyse che ho raccolto un po' d'acqua che dovranno far bollire mentre io e Margaret siamo fuori. Spero abbiano abbastanza energie per farlo, soprattutto il primo, visto che dorme poco o niente ultimamente. Non so nemmeno come faccia a tenere gli occhi aperti. Elyse, anche se debole, almeno non ha più la febbre.

Stringo bene le cinghie dello zaino attorno al corpicino di Margaret, facendo in modo che non continui a rimbalzarle addosso ad ogni passo che facciamo; ha insistito nel voler portare l'acqua nel suo di zaino, in caso fosse successo qualcosa al mio. Apprezzo il fatto che non abbia detto in caso fosse successo qualcosa a me.

«Stai proprio bene con questi pantaloni» sussurra Margaret dopo aver trascorso i primi dieci minuti fuori in silenzio. La guardo con le sopracciglia alzate, provando a trattenere una risata mentre guardo i pantaloni sgualciti e decisamente non della mia taglia.

«Grazie?» ribatto, ridendo subito dopo. «Quando sarai più grande, credo te li cederò. Così ti ricorderai di me» scherzo, dandole una spinta giocosa sul braccio.

«Ma tu ci sarai ancora quando io sarà grande! Non sei mica così vecchia» appura, scrutandomi il viso come a cercare delle rughe. Rido di nuovo.

«Okay, okay. Adesso, stai dietro di me.» Le faccio cenno positivo con la testa prima di aprire la porta con un'altra x nera sopra. Sembrano tutte state dipinte nello stesso periodo; chiunque è venuto in questa città con il nostro stesso intento, deve averlo fatto qualche giorno fa e non credo che ci sia più traccia di queste persone. Una cosa in meno di cui preoccuparsi, spero.

Stessa storia ancora una volta per un ciclo che sta diventando fastidiosamente ripetitivo: casa ribaltata da cima a fondo già in precedenza. Niente da prendere. Lancio uno sguardo afflitto a Margaret, facendole segno di uscire di nuovo in strada e continuare la nostra ricerca.

«Da grande voglio essere come te.»

«Perchè?» le chiedo di primo impatto, non preparata alla sua affermazione improvvisa. «Credo che tu vada benissimo così.»

«Ma tu sei forte e sai uccidere dieci Vaganti assieme con un solo colpo di pistola!»

«Beh, scommetto che tu ne saprai uccidere venti, se ce ne sarà ancora bisogno.» Il fatto che mi veda come una specie di supereroina, mi fa ridere amaramente dentro di me; se solo sapesse tutte le paure che ho dentro...

«Sì e poi farò quelle cose magiche che fa Calum quando fa finta di avere le pistole in mano» dice esultante, soffiando sulle sue dita a forma di pistola, imitando un pistolero del vecchio west.

Scuoto la testa, ridacchiando e stringedole la spalla con una mano, pensando alla completa innocenza di questa creatura, nonostante tutto lo schifo che ha dovuto vedere crescendo.

Ci sediamo sull'asfalto freddo per fare una breve pausa: lei per mangiare il suo piccolo pezzo di cracker e io per bere qualche sorso d'acqua che, anche provandoci, non riesce a placare i morsi della fame e l'acquolina in bocca alla sola vista di quel pezzo di cibo tra le piccole mani di Margaret. Devo fare ricorso a tutto il mio autocontrollo per non fregarglielo tra le mani e prenderne anche un solo morso.

«Okay, andiamo, su.» Incito Margaret con un segno della mano ad alzarsi e a riprendere la nostra ricerca. Sono sempre più esausta ad ogni passo che facciamo e non vedo l'ora di sdraiarmi sul divano di casa per sprofondare in un sonno profondo.

Altri due appartamenti vuoti o già rivoltati da cima a fondo. Ora entriamo nel terzo ed ultimo del palazzo. Faccio aprire la porta a Margaret e la faccio entrare per prima, così come ha fatto nelle altre due case: nonostante io sia ancora fermamente convinta che è stato troppo presto per la sua età portarla fuori con me, almeno così le posso insegnare qualcosa che prima o poi avrebbe dovuto imparare ugualmente, con le buone o le cattive. In questo modo, se qualcosa dovesse andare storto, ci sarò io a poterla aiutare e proteggere.

Entro subito dopo di lei e immediatamente vengo accolta da uno sparo e un proiettile vagante che si va ad incastrare nel legno spesso della porta. «Indietro!» urla una voce isterica dall'altra parte dell'ingresso.

Frenetica, afferro per il braccio Margaret, tirandola indietro e nascondendoci dietro alla porta. «Stai bene?» le chiedo con l'affanno per lo spavento improvviso.

«Sì» risponde, deglutendo la saliva e annuendo veloce con gli occhi sbarrati per la sorpresa.

«Okay, cazzo, allora... tu stai qui. Io entro,» sussurro, togliendomi lo zaino dalle spalle, «se non mi vedi uscire entro dieci minuti, prendi questo e scappa-»

«Ma-»

«Niente 'ma', Margaret. Ti ricordi la strada?» Annuisce con le lacrime agli occhi. «Starò bene» le dico, provando a rassicurarla invano. Le stringo le mani forte, poi le accarezzo una guancia con un sorriso appena accennato. Le faccio un cenno della testa, prendo un bel respiro profondo, sfodero il coltello e poi entro.

Non appena mi chiudo la porta alle spalle - lasciando Margaret da sola dall'altra parte -, un braccio si chiude attorno al mio collo, togliendomi improvvisamente fiato dai polmoni. Gemo incontrollabilmente mentre mi dimeno nella sua presa salda, poi afferro con le mani il suo braccio, faccio un passo di lato a fatica, tiro un pugno al suo inguine, facendolo immediatamente piegare di riflesso. Gli tiro una gomitata al mento, facendogli finalmente lasciare la presa.

Barcollo all'indietro, riprendendo aria con la vista ancora a puntini bianchi. Vedo appena la figura della pistola con cui ci ha sparato prima sul pavimento e in un movimento rapido la prendo tra le mie mani e gliela punto addosso appena in tempo. Si blocca sui suoi passi e alza le mani in alto, di fianco alla sua testa.

È un uomo basso ma tarchiato, con la barba nera sul suo volto dalla pelle chiara e i capelli sudici raccolti dietro alla testa in una crocchia disordinata a causa del combattimento appena svoltosi. Entriambi abbiamo l'affanno, i nostri petti si alzano e abbassano frenetici, le bocche aperte per prendere quanta più aria possibile.

«Prova a fare qualcosa e ti sparo» lo minaccio, stabilizzando la mira sul suo petto. Mi rivolge uno sguardo tagliente, che però non mi intimidisce affatto ora che ho io il coltello dalla parte del manico. «Cammina.»

Non appena ho sentito lo sparo, ho capito che chiunque si stesse nascondendo qui dentro avrebbe dovuto avere qualcosa di molto valore che non vuole condividere. Le persone non si rinchiudono in casa se non hanno di cui vivere e questo tipo non sembra proprio il tipo che vuole morire da solo in una stanza qualsiasi. Sembra più il tipo da voler cadere in battaglia. Spero il mio istinto sia corretto.

Lo faccio camminare davanti a me, mantenendo una distanza di sicurezza e sempre sotto tiro nel caso voglia fare qualsiasi mossa di contrattacco; mi è andata bene la prima volta, se dovesse afferrarmi di nuovo vincerebbe lui. Ho già usato la mia misera dose di energie per liberarmi.

Lancio occhiate fugaci all'ambiente, non trovando nulla di circospetto o di utile. Almeno finchè non arriviamo nella camera da letto: ha sistemato un tavolo - probabilmente quello della cucina - proprio dietro al letto e sopra ci sono tre lattine: una con il coperchio aperto, le altre due ancora sigillate, con l'involucro rosso brillante.

Cibo.

È come se il mio cervello andasse in tilt alla sola vista di quelle due scatole intatte. Il mio sguardo si ferma troppo a lungo su quei due oggetti e le braccia si abbassano involontariamente.

L'uomo se ne accorge prima di me. In un rapido frangente, si volta rilasciando un verso animalesco e con tutto il suo peso si butta addosso al mio corpo, facendomi sbattere violentemente contro la parete e togliendomi per la seconda volta il fiato dai polmoni.

Sparo.

Dopo qualche istante, il suo sguardo si incatena al mio, tramutandosi da quello di un leone inferocito a quello di un leprotto innocente, pian piano perdendo la sua forza e cadendo senza vita ai miei piedi.

Sto tremando. L'arma mi cade dalle mani intrise del suo sangue appena sgorgato e cade con un tonfo sordo sul pavimento che riempe tutta la stanza, caduta d'improvviso nel silenzio.

Non riesco a distogliere lo sguardo dal corpo che giace ai miei piedi: ha le palpebre ancora aperte, gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta che si sta tingendo di rosso vivo, mentre dal petto sgorga un fiume incessante color cremisi che gli sta sporcando tutti i vestiti e sta formando un lago sotto di lui.

Mi viene la nausea. Non riesco a frenare i tremiti del mio corpo e delle mie mani e sento il calore dentro al mio corpo abbandonarmi.

L'ho ucciso.

Ho appena ucciso un uomo.

Ho lo sguardo perso, non riesco a concentrarmi su altro. Sono diventata una di loro.

Sento la porta d'ingresso cigolare lontana e mi ricordo improvvisamente di Margaret. Tolgo lo sguardo dal corpo inerme, sforzandomi di raggiungere quelle due lattine e lasciare questo posto il prima possibile.

Mi costringo a stabilizzare la presa con le lacrime agli occhi e poi lascio la stanza di corsa, tornando all'ingresso e trovandoci Margaret con le lacrime che le scendono copiose dal viso. Deve essersi aspettata il peggio. Mi abbraccia forte, ma non riesco a ricambiare il gesto, vedendo le mie mani, le mie dita colorate del sangue di quell'uomo, che sta colando sulle due lattine di cibo.

Non sento quello che mi dice, so solo che apre lo zaino per metterci i due contenitori dentro, lo richiude e me lo passa. Lo metto in spalla e poi usciamo da quell'appartamento, lasciandoci un corpo alle spalle e un pezzo della mia umanità persa per sempre.

Continue Reading

You'll Also Like

602 36 24
Fairfield, Ohio. Anno 2106. Il diciannovenne Ray Fellmar ha vagato da solo per mesi, cercando cibo, acqua e riparo in una terra quasi completamente d...
466K 22.5K 38
[COMPLETA] [Secondo libro della serie "Mai scommettere col nemico"] Hermione Jane Granger si trova in cella, imprigionata nella sua stessa scuola e c...
585K 41.2K 79
Dopo la firma della Grande Pace, Chicago è suddivisa in cinque fazioni consacrate ognuna a un valore: la sapienza per gli Eruditi, il coraggio per gl...
151K 5.8K 22
Annabeth Chase he sempre avuto voti altissimi, sempre la prima della classe e grazie a questo ha ottenuto una borsa di studio per una delle migliori...