Alive - Prova a sopravvivere

By lightvmischief

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Una ragazza. Un gruppo. La sopravvivenza e la libertà. Le minacce e i pericoli della città, dell... More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Epilogo
Ringraziamenti

Capitolo 28

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By lightvmischief

CALUM

Ho poco tempo per elaborare ciò che è appena successo.

Sento il respiro pesante di Kayla e vedo la sua mascella contrarsi più volte, le mani che si stringono in due pugni e gli occhi che si stringono in due fessure. Sta per scoppiare.

Mi lancio per afferrarla una seconda volta prima che faccia qualcosa di avventato, ma invece di prendere lei, prendo l'aria, perchè lei si è già mossa. Con grandi falcate, raggiunge Uriah che le dà ancora la schiena. Lo prende per il giubbotto e lo tira indietro con violenza.

«Bastardo figlio di puttana!» urla tra i denti serrati, facendo collidere la schiena di Uriah contro la parete di una casa con un tonfo. «Tu, tu, cazzo! Avresti potuto tirarla fuori!» Il suono del suo pugno che va a sbattere contro la sua mascella mi dice che è arrivato il momento di intervenire.

Non è il luogo adatto per sfogare la sua - legittima - rabbia e dolore. Le persone che avevano già cominciato a muoversi istanti fa, si erano voltate per gli spari ma ora stanno tornando indietro. Mali fa segno loro di continuare a camminare: dobbiamo allontanarci da questo posto immediatamente, sarà infestato a momenti. E soprattutto, dobbiamo abbandonare la "scena del crimine" prima che Kayla decida di infilarcisi dentro. In questi momenti la lucidità ti abbandona e ho paura che potrebbe buttare via la sua vita, cercando invano di salvare il corpo di sua sorella.

Kayla punta la pistola in pieno viso di Uriah con entrambe le braccia tese che le tremano, così come tutto il suo corpo. Uriah è pietrificato contro al muro e serra gli occhi, preparandosi al suo destino. Kayla butta a terra la pistola facendola rimbalzare e finire qualche metro più in là. Fa in tempo a prendere per il colletto il ragazzo, facendogli sbattere un'altra volta la testa contro il muro, prima che io riesca ad avere una presa ferma sulle sue braccia. Stringo soprattutto sul suo braccio che sta guarendo dalla ferita subita e riesco a farle mollare la presa. Faccio cenno ad Uriah di spostarsi dalla sua visuale e non se lo fa ripetere due volte, mentre corre raggiungendo in fretta il resto del gruppo a qualche metro da noi.

«Andiamo» le dico soltanto, spostandola quasi di forza dalla posizione di difesa che aveva preso per colpire il ragazzo. Ha lo sguardo fisso davanti a sé e l'intero corpo che le trema.

«Toccami un'altra volta e la pallottola è per te.» Lo dice con una tale freddezza e rabbia nella voce che un senso di angoscia ed inquietudine si insinua dentro di me. La lascio prontamente andare, alzando le mani in segno di resa. Posa il suo sguardo vuoto su di me per appena qualche istante prima di cominciare a camminare, ignorando totalmente l'arma buttata a terra pochi secondi fa.

Stringo la mascella, distogliendo lo sguardo dal suo viso, notando con dispiacere e preoccupazione la macchia di sangue fresco sui suoi vestiti. Dannazione.

Mali prova ad avvicinarsi a Kayla per provare a dirle qualche parola di conforto, ma quest'ultima la trascura completamente, non voltandosi nemmeno dalla sua parte. Mali rinuncia presto nella sua impresa con lo sguardo affranto. La raggiungo e le passo una mano sulla schiena in segno di conforto. Wayne ci raggiunge - non mi ero nemmeno accorto che fosse sparito - per comunicarci che ha avvisato Travis della situazione.

«Non starà in piedi per molto» dico, passandomi una mano sul viso e pizzicandomi il labbro inferiore tra le dita. «Con la ferita-»

«Lo so, ho visto. Dobbiamo almeno lasciare questa zona,» mi interrompe Wayne bruscamente. Questa scena è stata un colpo allo stomaco per tutti quanti. «poi vedremo cosa fare. Per ora teniamola d'occhio.» Annuisco in cerca di parole adatte da poter dire, ma non ne trovo alcuna.

Subito indirizzo lo sguardo sulla sua figura, qualche metro avanti a noi: si sta avvicinando ai bambini, muovendo la testa a destra e sinistra, come se stesse cercando sua sorella. Come se non l'avesse appena vista venir massacrata da quei mostri infami. Almeno le ho evitato una morte sofferente con quel proiettile. La cosa non mi fa sentire meglio però.

Ho lo stomaco in subbuglio e la gola secca. Non era solo sua sorella: Ebony era parte della nostra famiglia. Andavo fiero dell'essere suo amico ed ero così contento quando quella bambina così vivace e solare veniva a trascorrere un po' del suo tempo con me. Mi ha fatto sentire importante. Gli occhi mi pizzicano. Premo le dita sulle palpebre, cercando di scacciare le lacrime, ma con il risultato opposto.

Credi di farci l'abitudine, credi di saperlo che prima o poi succederà, credi di essere pronto a ricevere il colpo quando questo arriverà. Ma la verità è che ogni volta che succede sembra che il respiro ti venga tolto di violenza dai polmoni e ti sembra di soffocare, di star venendo ucciso lentamente, come se la tua anima volesse lasciare il tuo corpo in un'agonia pigra e costante.

Questo mondo non ha pietà per nessuno; "Uccidi o vieni ucciso". Non c'è alternativa.

Lancio uno sguardo dietro le mie spalle, asciugandomi le lacrime, sfregando il dorso della mano sulle guance. Gli spari e le urla stanno rianimando la Città dei Morti: stanno uscendo dai loro nascondigli, mostrandoci la loro presenza tramite quei versi strazianti e famelici, agitando i loro arti rimasti pronti ad afferrare qualsiasi cosa intralci il loro percorso.

Sembra quasi pazzesco come mio padre sia morto in circostanze simili. Si è sacrificato per il bene del gruppo. Si è sacrificato lasciando mia madre, Mali e me dietro di sé. Ero furioso con lui e per il suo gesto eroico. Come aveva anche solo pensato che la sua vita potesse essere gettata via, senza preoccuparsi di chi avrebbe lasciato? All'inizio pensavo fosse stato egoista, una parte di me ancora lo crede. Una parte di me vorrebbe potergli dire addio come si deve, ma sarebbe solo un modo più difficile di lasciarlo andare, non avrei di certo potuto dirgli "ciao papà, sono felice che darai la tua vita per salvare la nostra".

Non è il momento di pensarci. Ho provato molte volte a fare pace con ciò che è successo, ci sono quasi riuscito. La parte più difficile sono gli incubi che ti vengono a trovare la notte. Sbucano dal nulla solo per ricordarti cosa hai perso e per ricordarti come è successo.

Camminiamo. Non so da quanto. Mi sembra che siano passati solo pochi istanti da quando è successo tutto quanto, ma mi volto di nuovo e non vedo più i Vaganti dietro di noi. Essere così distratto non giova né a me né al gruppo. Avrò tempo per rimuginarci sopra e pensare a cos'altro avrei potuto fare. Ma non adesso.

Mali intreccia le sue dita con le mie, dandomi una stretta incoraggiante. Ecco il suo ruolo di sorella maggiore che esce sempre nei momenti adatti. Ricambio la stretta. Abbiamo bisogno l'uno della forza dell'altra. Non posso nemmeno immaginare cosa stia passando Kayla in questo istante.

La cerco tra la folla per assicurarmi che stia bene - per quanto possibile - ma non la trovo. Il mio cuore comincia a battere a mille contro il petto, lo sento nelle orecchie forte e chiaro. Dov'è?

Allargo il mio orizzonte e la vedo allontanarsi dal gruppo. Il sospiro di sollievo non è ancora arrivato. Sto trattenendo il respiro. Lascio la presa di Mali, passo dietro a Wayne, i due mi lanciano sguardi interrogativi, li vedo muovere le labbra ma non sento cosa dicono.

Kayla si china a terra per raccogliere quello che mi sembra un vecchio tubo idraulico e mentre lo fa, capisco a cosa sta puntando: c'è un Vagante alla fine del vicolo che stiamo oltrepassando, con la schiena rivolta verso di noi e la testa verso al muro.

Kayla alza l'arma fai-da-te, lanciando un grido di battaglia. La creatura si gira infastidita e non fa nemmeno in tempo a capire cosa l'ha colpito. Lo colpisce ancora, ancora e ancora. Il Vagante è ormai a terra, mi sorprendo che sia ancora tutto intero.

Raggiungo per la seconda volta Kayla correndo, mentre continua sbattere quel tubo di metallo addosso al Vagante con urla di rabbia.

«Kayla, fermati.» Non mi ascolta. Continua a percuoterlo. Ha le guance rigate di lacrime. La macchia di sangue sui vestiti si allarga. «Kayla, ascoltami-» Lancia un altro grido rabbioso, cominciando a colpire il Vagante con i suoi stessi pugni.

Intervengo, bloccandole la braccia per una seconda volta nonostante la sua ultima minaccia ricevuta. I suoi muscoli sono così tesi che ho paura di poterle spezzare le braccia se solo faccio un movimento di troppo. Lascia che gliele abbassi, facendole arrivare ai lati del suo corpo. Provo a stabilizzare il mio respiro.

Vengo colto di sorpresa quando si libera dalla mia presa e si volta improvvisamente, facendo collidere le sue mani contro il mio petto, facendomi barcollare all'indietro. Il respiro mi viene a mancare per il colpo improvviso.

«Lasciami in pace!» sbotta, la vena sul collo che si gonfia in un secondo, un altro colpo che arriva dritto sul mio petto. «Lasciami... stare..! Lasciami qui-» Un singhiozzo le percuote l'intero corpo, facendola vacillare sui suoi stessi passi.

«Sto cercando di aiutarti-»

«Non lo voglio il tuo aiuto!» Questa volta mi sposto prima che possa colpirmi una terza volta. Infatti, prende l'aria a causa dei suoi riflessi rallentati.

«Stai mettendo a rischio la vita di tutti quanti-»

«Non mi interessa degli altri-»

«Sai che è una bugia.»

Non ricevo una risposta verbale. Ottengo solo il suo sguardo furioso e rotto che mi penetra fin dentro all'anima. È una situazione scomoda: non so come muovermi, qualsiasi cosa faccio o dico so che risulterà sbagliata. Quindi sto in silenzio.

Vorrei abbracciarla, stringerla forte e dirle che tutto questo passerà. Ci vorranno mesi, ma passerà. Il dolore diventerà un po' meno insopportabile, la rabbia svanirà, il vuoto si riempirà. Ma non lo faccio. Ha bisogno di tempo. Ha bisogno di spazio. Ha bisogno di risposte alle quali io non so rispondere.

Ha bisogno di sua sorella e io non posso portargliela indietro.

Non posso lasciare che scoppi di nuovo. Non con tutto il gruppo che ne potrebbe pagare le conseguenze.

«Ci dividiamo» annuncio, posando lo sguardo su di lei. «Tu vieni con me, troviamo un posto dove stare finché non ti sarai calmata, poi ripartiamo. Non posso rischiare la sopravvivenza del gruppo così.»

Kayla non risponde. Non fa alcun cenno di assenso. Continua solo a aprire e stringere i pugni e respirare a grandi boccate dalla bocca. Almeno ora non mi sta più gridando addosso, quindi lo prendo come una risposta affermativa. Lo sa benissimo anche lei che non può andare avanti così - né per lo stato fisico e men che meno per quello mentale - senza mettere a rischio la pelle di tutti quanti. Nonostante l'immenso dolore che sta provando, in fondo a lei c'è ancora quell'istinto di protezione verso le persone a cui tiene. E lei a noi ci tiene.

Le faccio cenno con la testa di seguirmi, aprendo i palmi delle mani tra me e lei, per farle capire che non la voglio toccare. Poi mi volto, ritornando a mischiarmi nel gruppo, facendo ricorso a tutta la fiducia che ho in me che mi seguirà. Deve capire lei stessa che non voglio farle da balia.

«Travis, Kayla non può continuare.» Sfioro appena l'uomo sul braccio, per fargli capire la mia presenza. «io e lei ci fermiamo per qualche ora- beh, giorno.»

«Se volete morire, fate pure.» Guardo sbigottito Travis, che ha detto la frase con tale nonchalance da mettermi i brividi. «Non guardarmi così. Non abbandono due dei miei. Elyse, fermiamoci-»

«No, Travis, devi. È per il bene di tutti quanti. La ferita di Kayla si è riaperta, non potrà andare avanti per molto senza una meta.» Vorrei fossimo in un luogo diverso da questo e vorrei che avessimo un po' di privacy. Non voglio allarmare gli altri. «È meglio se ci dividiamo, lo sai anche tu.»

Travis sembra pensarci per un'infinità di tempo. Poi è Meredith a parlare. «Calum ha ragione. È una scelta difficile ma necessaria, Travis. Queste persone sono già abbastanza terrorizzate.»

«Prendi qualcun altro con te.»

«No. Non basterebbero le provviste per tutti quanti.» Mi viene mal di testa a continuare a pensare a una via differente da poter prendere, ma non abbiamo tempo. Non abbiamo nessuna certezza. Dannazione, non so nemmeno se Kayla vivrà ancora a lungo di questo passo.

Passo lo sguardo su mia madre e Mali. Mi viene la nausea e mi si crea un groppo in gola al solo pensiero di abbandonarle. So che sanno cavarsela da sole e che sono perfettamente capaci di difendersi, cavolo, loro sono quelle più forti della famiglia. E sono anche l'unica famiglia che mi è rimasta.

La scelta è difficile ma necessaria.

Queste parole mi rimbombano in mente per tutti gli istanti di silenzio che trascorrono da quando ho aperto bocca. Poi Travis si toglie lo zaino dalle spalle e me lo passa. «Questi dovrebbero bastarvi. Ci sono anche delle bende, ago, filo di sutura e un po' d'alcol» dice con un tono di voce duro che gli ho sentito usare solo poche volte. «Saluta tua madre e tua sorella. Andremo ad ovest. Ci incontreremo di nuovo.» Travis fa fatica a mantenere la voce ferma. Lo ringrazio con un cenno del capo e le lacrime agli occhi.

Ci rincontreremo.

***

«Tieni, mordilo.» Metto in bocca a Kayla una maglietta arrotolata. Sotto alla sua testa posiziono il mio braccio, facendo aderire la sua nuca ad esso. Mi inginocchio di fianco a lei. Faccio un cenno a Wayne di iniziare con la sutura.

Kayla ha gli occhi serrati, l'intero busto che si alza e abbassa frenetico, l'addome sporco di sangue e madido di sudore.

Dopo aver riscaldato l'ago accuratamente ed aver disinfettato sia l'arnese che la sua ferita con l'alcol, Wayne infila il primo punto di sutura nella sua carne. Il grido di dolore che esce dalla sua gola viene smorzato dalla maglietta che ha tra i denti.

Mia madre fa avanti e indietro per la piccola stanza, agitata. Non vede l'ora che tutto sia finito. Mali lancia sguardi preoccupati a destra e a manca, a intermittenza tra Kayla, me e nostra madre.

La prima volta è stato più semplice: Kayla era così stremata che aveva perso i sensi. Ora sembra più cosciente che mai. Mi fa male vederla in questo stato e non poter far niente per diminuire il suo dolore. Sono infinitamente grato a Wayne che ha deciso di ricucirle la ferita.

Non appena lui e Mali hanno saputo ciò che volevo fare, si sono impuntati che sarebbero venuti con noi a tutti i costi. Anche mia mamma si è aggiunta. La testardaggine è sempre stata parte della famiglia.

Proprio pochi minuti fa sono riuscito a convincerli di ritornare con il gruppo: il tempo di rimettere in sesto Kayla e non avrebbero avuto grossi problemi a rintracciarli.

La ragazza tra le mie braccia sta dimenando la testa come se stesse venendo torturata - e in un certo senso è così -. Le asciugo il sudore dal viso bianco come un cencio e le afferro la mano, che per riflesso stringe immediatamente.

«A che punto sei?» chiedo con fretta a Wayne, non riuscendo a vedere ciò che sta facendo.

«A metà. Se mi fermo adesso, la perdiamo» ribatte, lanciandomi un'occhiata veloce. «Resisti ancora un po', Kayla.»

Lacrime di dolore le scendono dagli occhi e il suo volto è deformato dallo stesso.

«Mali, tienile le gambe» ordine Wayne, dovendo interrompersi per il troppo agitarsi di Kayla. Mia sorella le prende le gambe di forza, appoggiandoci sopra le mani e facendo il possibile per immobilizzarla.

«Okay, cazzo, ho finito.»

Tolgo la maglietta dalla stretta della sua bocca. Respira ancora freneticamente, ma almeno non si agita più come prima. La sua presa sulla mia mano è ancora ferrea. Mi faccio passare l'alcol da Wayne per fargliene bere un sorso, stando attento a non farglielo andare di traverso. Fa una smorfia non appena lo ingoia: presto dovrebbe fare il suo effetto, considerato che è ormai a stomaco vuoto.

Passo la maglia a Wayne che la imbeve di alcol per passarla delicatamente sulla ferita richiusa, prima di bendarla. Il momento dell'addio si avvicina.

«Kayla, ehi,» interviene poi, rimanendo in ginocchio sul pavimento, frugando nella sua tasca dei pantaloni. «questa dovresti tenerla tu.» Apre la mano, mostrando la foto scattata da Lynton minuti fa e, visto che non riceve alcuna risposta, la appoggia esitante nella sua mano libera. Mantiene la presa, guardandola in viso per qualche istante impensierito: probabilmente ci stanno passando per la testa le stesse preoccupazioni.

Mali copre il corpo sudato di Kayla con una coperta leggera trovata in questa piccola stanza. «Dovremmo andare, ora» sussurra non troppo sicura, non è ciò che vuole fare.

Mia madre ci fa segno di fare silenzio, alzando un pugno di fianco al suo volto e con un dito alla bocca. È un po' difficile dati i continui gemiti di Kayla, quindi le appoggio una mano sulle labbra semichiuse: è troppo dolorante per poter ribattere, forse non se ne accorge nemmeno.

Scambio un'occhiata allarmata con Mali; siamo qui dentro perchè lei ha visto la stanza dalla finestra aperta - dalla quale siamo entrati -, ma non abbiamo avuto tempo per controllare che l'intera casa fosse libera da Vaganti. Perciò, mia madre ha prontamente chiuso la porta a chiave e infilato una sedia sotto alla maniglia per impedire a chiunque di entrare. Date le urla di Kayla però non mi sorprenderebbe se un Vagante avesse deciso di spostare la sua attenzione proprio qui. Il punto sta nella quantità: se ce n'è solo uno, non è un grosso problema. Ma se sono di più, non ci metterebbero molto a sfondare la porta e noi saremmo in trappola.

Dopo qualche istanti dall'ordine di mia mamma, infatti, sentiamo dei forti versi arrivare da oltre la porta. Premo più forte il palmo della mano sulla bocca di Kayla, quasi avvolgendole il capo con il mio busto per camuffare il suono.

«Sembra solo uno» dice sottovoce mia madre, dando le spalle alla porta dietro di lei. «Faremmo meglio ad andare.» Annuisco, appoggiando la testa di Kayla sullo zaino per farle da cuscino e togliendole la mano dalla bocca.

Lascio scivolare via la sua mano dalla mia e mi alzo in piedi per abbracciare Wayne, dandogli qualche pacca silenziosa sulla schiena. «Grazie, amico.»

«Fai in modo di pulire e cambiare le bende ogni sei ore.» Mi stringe forte e poi mi mette le mani sulle spalle. «Non scolarti l'alcol, serve a lei.» Ridacchio, annuendo. Lo so.

Abbraccio Mali. Siamo entrambi silenziosi. Potrebbe essere l'ultima volta che ci vediamo. Provo a non pensarci, fallendo. «Ti voglio bene» le confesso sottovoce.

«Anche io ti voglio bene» risponde provando a mantenere la voce ferma. «Non provate a morire, voi due» mi ammonisce, accarezzandomi una guancia con gli occhi lucidi.

«Neanche voi.»

Mia mamma mi saluta con un bacio sulla fronte, dopo esserci abbracciati. Tutti e tre si sistemano cappotti e zaini in spalla, pronti per uscire dalla finestra.

«Prendetevi cura l'uno dell'altro» dico loro per quella che potrebbe essere l'ultima volta.

***

È notte inoltrata. Ho sigillato la finestra qualche ora fa con della stoffa trovata per non far passare spifferi di aria gelida all'interno. Finalmente le nuvole cariche di neve di qualche giorno fa hanno deciso di lasciare spazio a un cielo nero stellato: è un bella vista.

Mentre Kayla sta accumulando alcune ore di meritato riposo, io sono seduto di fianco a lei con la testa all'insù a contare le stelle e a farmi prendere da domande esistenziali sulla vita. Da qualche minuto sento le palpebre pesanti; devo tirare le tende prima di crollare addormentato. Per fortuna che chi una volta abitava in questa casa ha deciso di metterle blu scuro.

Poi mi metto a curiosare tra i mobiletti della stanza, trovando alcuni libri ed enciclopedie, qualche gioco da tavola, dei quaderni e pennarelli... Per essere una camera più simile a uno sgabuzzino, l'avevano evidentemente pensata per uno spazio tempo libero. Beh, almeno posso tenermi occupato con qualcosa durante il giorno.

Si gela. Il respiro di Kayla e il mio non sono abbastanza a riscaldarci. Non posso accendere un fuoco, a meno che voglia provare ad intossicarci entrambi. In mancanza di materiali, mi avvolgo con il tappeto le spalle, adoperando lo zaino che mi ha lasciato mia mamma come cuscino, dato che il mio lo ha sotto alla testa Kayla.

Ogni tanto la sento mormorare parole confuse nel sonno, ma non ci faccio troppo caso. Dovrei cambiarle la benda, ma non voglio farlo mentre non è cosciente: è un'invasione di privacy, soprattutto adesso che sembra aver aperto guerra con me. Non voglio sconfinare il suo spazio vitale se non strettamente necessario e voglio che ne sia almeno a conoscenza. E non voglio interrompere il suo riposo, potrebbe non riuscire a prenderlo più per alcune ore.

Le asciugo un'ultima volta il sudore dal viso prima di appoggiarmi sul fianco e prendere sonno quasi istantaneamente.

Vengo svegliato da Kayla che svuota il suo stomaco nel secchio accanto a lei, nonostante fosse riuscita a mandare giù solo qualche morso di una barretta energetica a base di frutta secca. Tossisce qualche volta, sputando la saliva. Mi alzo un po' stordito, passandomi veloce una mano sugli occhi, e le passo subito la bottiglietta dell'acqua. Risciacqua la bocca dai succhi gastrici e si appoggia con la schiena al muro, prendendo grandi boccate d'aria, serrando gli occhi e digrignando i denti.

«Tutto bene?» le chiedo stupidamente. Ovviamente non va tutto bene. «Vado a svuotare il secchio» la avviso, anche se dubito stia facendo caso a ciò che le sto dicendo. Mi infilo il giubbotto, tiro le tende apro la finestra ed esco, portando assieme a me l'oggetto e svuotandolo in un tombino a pochi metri dalla casa. Ritorno alla base di corsa, affrettandomi a serrare di nuovo la finestra.

Kayla ha appoggiato il retro della testa al muro, il volto che è rivolto verso l'alto con le labbra semiaperte. Il suo petto si alza frenetico, il sudore continua a coprirle la pelle. Si è tolta la coperta di dosso. La benda messa da Wayne ha già una macchia rosso scuro che si sta espandendo.

«Te la cambio, okay?» Lei annuisce senza troppi indugi, nemmeno chiedendomi di che cosa sto parlando. Non l'ho mai vista così.

Le passo la maglietta imbevuta di alcol sull'addome, le tolgo la fascia sporca e tampono la ferita. Non ha un bell'aspetto. Spero solo che abbia abbastanze energie per riuscire a far lavorare i suoi globuli bianchi. Ho paura che con la botta emotiva ricevuta la cosa sia un po' più complicata del previsto.

La ricopro con la coperta: nonostante stia sudando, la sua pelle è fredda come quella di un cadavere. Brutta scelta di parole. Sto soppesando l'idea di darle una delle tre pastiglie di antidolorifico che mi ha lasciato Wayne. Non so se riuscirà a mantenerlo giù per molto. Però posso provare a distrarla.

«Ti va se ti leggo qualcosa?» I suoi occhi si aprono appena alla mia proposta, fissandomi a lungo, facendomi sentire quasi fuori luogo. Poi annuisce di nuovo.

Prendo un libro dalla pigna. Sembra quasi un manuale per bambini alla scoperta della terra. Mi sembra quello più leggero come argomento, quindi anche se mi sento stupido mentre glielo leggo, in un certo senso mi fa sentire meglio. Mi riporta indietro ai tempi delle elementari.

***

Ho svuotato di nuovo il secchio dei nostri bisogni. Mi manca la vita alla palestra. Forse se avessimo aspettato ancora qualche giorno tutto questo non sarebbe successo ed Ebony sarebbe ancora viva. Scaccio questi pensieri dalla testa. Non c'è spazio per i "se".

Kayla sta riposando. Sembra quasi in pace, nonostante le occhiaie marroni sotto agli occhi, la pelle bianca e tutto il resto.

La scorsa notte si è svegliata di colpo almeno tre volte, chiedendomi dove fosse e domandando di sua sorella. Non me la sono sentita di ricordarle che sua sorella era morta e che lei l'aveva vista nei suoi ultimi istanti venire azzannata dai Vaganti. Ho sviato il discorso. Stava comunque delirando, non se ne sarebbe ricordata da qui a poche ore. Alla terza volta ho deciso di darle una pastiglia di antidolorifico che l'aveva stesa quasi immediatamente. Ora sono almeno quattro ore che sta dormendo senza interruzioni, dopo il continuo passaggio da cosciente ad incosciente delle scorse ore.

Sto prendendo qualche boccone da una delle lattine della famigerata Mary Jane. Non sono male, anzi sono la cosa più gustosa che metto sotto ai denti da quello che mi sembra un decennio, ma non so quanto la cosa possa durare, dato che sarà fonte di tutti i pasti della giornata, ma non mi lamento.

Ho aperto di qualche millimetro la finestra per far ricambiare l'aria all'interno della stanza e far uscire tutti i cattivi odori all'interno. Ho preso un quaderno e un pennarello verde e mi sono messo a scrivere una specie di diario per far passare il tempo.

Ho sgranchito le gambe per qualche minuto, facendo avanti e indietro vicino alla finestra, per poter sentire nel caso Kayla avesse bisogno di qualcosa o se si fosse svegliata in generale.

Non so come abbia fatto questa ragazza a sopravvivere così a lungo tutta sola.

«Buongiorno» le dico, notando da qualche istante che ha aperto gli occhi. Mi sembra stare meglio, ho fatto bene a darle l'antidolorifico ieri sera. È quasi ora del tramonto fuori, la luce dorata che entra dalla finestra le fa sembrare la pelle di un colorito quasi normale. «Vuoi un po' d'acqua?»

Si schiarisce la gola, prima di rispondere affermativamente con voce flebile. Le appoggio il collo della bottiglia sulle labbra, stando bene attento a non fare un disastro. Non voglio forzarle le parole di bocca, perciò stiamo in silenzio. Mi siedo accanto a lei, fissando i colori del tramonto cambiare di minuto in minuto. Le cambio un'altra volta la garza. Gli unici suoni che escono dalla sua bocca sono dei gemiti quasi strozzati, come se non volesse farsi sentire. O come se non volesse far vedere quanto sta soffrendo.

Svuoto un'ultima volta il secchio, serro la finestra e chiudo le tende. Lei si mette seduta e io mi stendo al suo fianco, lasciandole abbastanza spazio per muoversi e tenendo quella solita distanza di sicurezza.

«Forse dovresti mangiare qualcosa» sussurro, con la testa voltata dalla parte opposta alla sua. Infatti dubito che mi abbia sentito.

«Non ho fame.» È la prima frase compiuta che le sento dire da quasi un giorno. La sento tirare su con il naso e mi giro dalla sua parte: sta guardando la foto scattata da Lynton che tiene tra le sue mani appoggiate in grembo. Con un pollice sfiora la pellicola, come se stesse accarezzando sua sorella. Mi si spezza il cuore. È tornata abbastanza lucida per ricordarsi ciò che è successo.

Allungo esitante una mano verso la sua, appoggiandola quando vedo che non oppone resistenza. Lascia che intrecci le mie dita tra le sue, nonostante la sua presa sia pressoché nulla. Guardo anche io la foto, rivivendo il bel momento nella mia mente. Kayla ha ancora le mie trecce pessime sul suo capo, anche se piuttosto arruffate e sfilacciate. Mi manca quella piccola creatura. E mi manca la Kayla più leggera quando Ebony era in nostra presenza.

Mi mancano i momenti con lei. E non parlo dei nostri occasionali momenti di passione. Parlo dei piccoli istanti in cui parlavamo, i piccoli gesti e le occhiate che ci scambiavamo, i sorrisi... La Kayla autentica.

«Forse è meglio così» dice, forse più a se stessa che a me. Lascia bruscamente andare la mia mano, si asciuga le lacrime dal viso e accartoccia la fotografia, gettandola lontano da lei. Si sdraia e volta la testa verso il muro.

***

Mi sveglio di nuovo di soprassalto. Kayla sta singhiozzando rumorosamente con il corpo tremante e ricoperto di sudore.

«Ti prego falli smettere» mi supplica non appena mi tiro su a sedere.

«Cosa-?»

«Non ce la faccio più.» Lancia un grido straziato che le scuote l'intero corpo.

Il mio cuore si stringe sempre di più alla vista straziante del suo dolore, arrivandomi fino in gola, aggiungendosi al già presente groppo al centro di essa. Decido di ignorare tutte le sue minacce e le mie precauzioni e di stringerla forte tra le mie braccia, appoggiando il mio mento sul suo capo. Racchiude in due pugni la stoffa del mio maglione, tirandomi ancora più vicino a sè mentre lascia uscire dal suo corpo parte della rabbia e del dolore che sta provando. Appoggia la fronte al mio petto, che per quanto possibile maschera parte dei suoi singhiozzi.

Sobbalzo quando sento un tonfo contro alla porta, susseguito da un altro e un altro ancora. Poi i fin troppo familiari versi strozzati. Lancio un'occhiata veloce alla sedia sotto alla maniglia, che rintocca ad ogni tonfo sulla porta, ma non cede.

Accarezzo la schiena della ragazza, provando a farla calmare, così da tranquillizzare anche i Vaganti oltre la porta. Non posso rischiare. Non ora.

Prendo il viso di Kayla tra le mani, asciugandole le lacrime dalle guance con i pollici e guardandola negli occhi pieni di dolore. «Ehi, so che non ti interessa ora, e ne hai tutto il diritto, ma è successo anche a me» le sussurro a pochi centimetri dal viso. «Continuavo a vedere mio padre ovunque andavo, la sua faccia, tutto ciò che lui era per me continuava ad apparire nella mia mente, non lasciandomi un momento di riposo né il giorno e nemmeno la notte.» Interminabili istanti di silenzio seguono dopo la mia voce, i suoi singhiozzi declassati all'occasionale tirata su con il naso.

«So come ti senti, capisco il tuo dolore e io- dannazione, io voglio solo aiutarti.» Cerco un appiglio tra i suoi occhi, un qualche segno di luce, qualcosa che mi dica che non l'ho persa completamente anche se sta affogando nelle sue stesse emozioni. «Quindi, per favore, lascia che lo faccia.»

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