Urban Legends

By CactusdiFuoco

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[STORIA COMPLETA] Io sono Furiadoro e la mia esistenza è una sorta di... leggenda. Sono una donna lupo, una s... More

Prologo
L'inizio di un nuovo viaggio
Finto-Vampiro
Il sangue dei licantropi
Sospesa tra due mondi
Il corpo di un lupo
Il muso della ferocia
Di nuovo umana
Massacro di plenilunio
Ciò che mi ha dato la Luna
Una lupa tra gli umani
Il club degli animali
Incontro col mandante
La casa del mago
La routine della donna lupo
Everybody was Kung Fu Fighting
La ricompensa dei ratti
Cannibale
Il gabinetto pensatoio
L'omicidio di Mr.Mell
Illusioni di tempi andati
Licantropi for dummies
Una terribile bestia in abito elegante
Sebastian Barren
Cacciare cacciatori
Le risorse nascoste di un goldenwolfen
Un dottore immaginario?
Un dottore pazzo?
Un luminoso Sabato mattina
September Aster vs Franco Staretti
L'altra bestia d'oro
Tutti i mostri sono capricciosi
A caccia per vivere
Lupouomo
Violenza e mutazioni
Goldenwolfen
Il Natale anormale
Uno spettacolo di magia
Due mostri non possono scontrarsi senza conseguenze terribili per entrambi
Ritorno alla vita
Su Dio e sulla salvezza del genere umano
Lupo acromegalico
Primo intermezzo narrativo
September che parla a ruota libera
Una strana creatura trovata in un fosso
Sharazad
Fame di morte
Un nuovo autocontrollo
Il ritorno del cacciatore nero
E si aprirono le porte dell'inferno
Benvenuta nella tua tomba
In cui si ammazza una nosferatu
Conversazione con la Mater Inferorum
Un troll con vestiti nuovi
Santo Stefano di Camastra
Aldo, la bottega e l'uomo misterioso
Ci rivedremo in un'altra città
La Madre dell'Inferno
Solo un sogno in carne ed ossa
Lo squallore e la (gradita) separazione
Mack e Jack
L'orologiaio
Un vampiro diverso da tutti gli altri
Il portale di Miomarto
PARTE SECONDA
Un viaggio sabotato
La Città Senza Nome
Le Creature senza Nome
E il pericolo arriva anche sottoterra
Vampiri pazzi
Una foto di gruppo su una nave da crociera
Un vampiro addormentato su una nave da crociera
In comunione con il vampiro
Furio Dorati
Furio il supereroe
Un inganno riuscito
Quel che Lilith fece a Vlad
Vampiri con le mitragliatrici
Grande Crinos
Fullbeast mode
Intrappolata dalla magia
Di ritorno dall'Inferno
Mostri con le ali
I poteri "aldilà"
Un segno di Dio?
Finale di battaglia
Epilogo
Urban Legends #1: il mago e la donna lupo. Un ebook per voi!

Un plenilunio con Cuscino

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By CactusdiFuoco

Era passato quasi un mese, quasi una luna. Ovviamente il plenilunio non era ancora giunto, altrimenti non sarei stata così tranquilla, quel giorno. Beh, in realtà ero appena un po' nervosa, ma si sa come sono i licantropi, no?

In tutto il tempo passato insieme avevo imparato a conoscere meglio questa tigre mannara, questa Sharazad, ma insieme alla conoscenza non riuscì ad arrivare il rispetto... lei era pur sempre una specie di gatto gigante, mentre io ero una donna lupo. Più lupo che donna, a dire il vero, almeno negli ultimi tempi.

La mia pelliccia si era leggermente ispessita, e le mie zampe infangate e sporche. September aveva voluto lavarmele, ma mi rifiutai categoricamente. Non si lavano le zampe dei lupi, soprattutto se questi se le sarebbero infangate di nuovo dieci minuti dopo.

Il mio orecchio era ricresciuto quasi del tutto, come avevo pronosticato, anche se non era più lo stesso. E poi, all'attaccatura con la testa, era rimasta una striscia glabra e bianca, una cicatrice che, per la prima volta, trovavo esteticamente sgradevole. Non era bello farsi ricrescere pezzi del corpo, soprattutto se venivano fuori così male. Persino la punta era un po' sgualcita e dava l'impressione di essere stata strappata, ma forse, con il tempo, si sarebbe aggiustata.

Quel giorno la luce era forte e il cielo chiaro, molto chiaro. La primavera, quell'anno, sarebbe arrivata in anticipo se si continuava di questo passo. Non c'era animale che non fosse sveglio e pimpante con quel sole delizioso, le lucertole si prendevano il sole distese, proprio distese, con le zampe raccolte all'indietro, sopra i sassi, e gli uccelli cantavano.

Sotto le zampe, la terra era ancora umida, ma calda, e piena di vita. Anche l'odore nell'aria era cambiato.

Poteva sembrare incredibile, ma perfino qualche raggio di sole poteva riempire di vita un giorno d'inverno.

September iniziava a reggere sempre meglio la fatica, le nostre camminate erano sempre più lunghe, e le sue storie sempre più belle. Credo che mi raccontasse quel mucchio di favole non solo per divertirmi, ma anche per distrarmi dai miei propositi tigricidi. Beh, non c'è che dire, era un metodo pacifista che funzionava.

Venni così a conoscenza di storie grandiose e meravigliose, storie che non potrò scrivere né descrivere mai perché lui era il solo che le sapesse narrare così bene. E anche se mi scoprissi essere una grandissima narratrice, non oserò profanare il frutto della sua fantasia, le sue parole... parole che, dette in quei giorni, dette con quei toni, mi portarono in luoghi lontani che solo la nostra mente potrà mai toccare e solo in momenti di estasi, momenti perfetti, che torneranno poche volte nella nostra vita.

No, non vi donerò quelle storie, ci vorrebbero troppe pagine, e poi anche la mia memoria, così potente com'è, comunque sarebbe fallace su certi particolari che, se omessi, stravolgerebbero i significati.

Perciò mi limiterò a continuare a parlare di me e di quel giorno.

Ci eravamo fermati in uno spiazzo ampio e assolato, un posticino tranquillo non troppo lontano dal mare. Stavamo mangiando tranquillamente: September si era fermato in una cittadina a comprare della carne e la avevamo fatta arrosto.

Sia ben chiaro, non che dopo quel giorno io avessi smesso di cacciare per loro, ma questa volta la giornata era troppo bella per "lasciarsi stupidamente squartare sotto i raggi del sole" aveva dichiarato September, e nessuno, com'era ovvio, aveva osato contraddirlo.

Ero sdraiata su un fianco, sull'erba riscaldata, e il sole mi accarezzava la pelliccia insieme a una brezza leggera e deliziosa.

September lasciò andare la griglia su cui cuoceva le carne, cedendo il proprio posto di cuoco a Sharazad e si avvicinò a me con passo tranquillo. Si inginocchiò e mi accarezzò sul collo

«Tutto a posto, Furiadoro?».

Lo guardai con la coda dell'occhio e scodinzolai brevemente. Lui ridacchiò

«Ma guardati, sei proprio come un cane... sai, sembra così strano. E dopodomani è luna piena. Come faremo? Voglio dire, non puoi rimanere con noi. Né tu, né Cuscino».

Uggiolai. Non volevo allontanarmi da lui, ma non volevo neppure fargli del male. September fece scorrere le dita fino alla base dell'orecchio devastato

«Lo so che non ti piace, ma devi accettare l'idea che essere... licantropi, significa anche questo».

Mi irritai. Lo sapevo cosa significa essere licantropi, non c'era alcun bisogno che un umano me lo insegnasse. Spostai lo sguardo fisso di fronte a me, stizzosa.

September ridacchiò e continuò a giocherellare con le dita fra le mie cicatrici

«Lo so, non sono nessuno per dirti cosa deve sopportare un licantropo, non è vero?».

Borbottai come un vecchio orso, con antipatia.

September mi diede un colpetto sulla spalla con il pugno chiuso

«Non fare la finta tonta, sai benissimo di essere un problema».

Si, lo sapevo. E non potevo farci niente.

Lui proseguì

«Di conseguenza, dobbiamo trovare in fretta una soluzione. Sai benissimo pure che sarebbe bene che tu ti allontanassi da noi, e molto. Se ti limitassi a restare qualche centinaio di metri indietro, il tuo olfatto ti permetterebbe di raggiungerci ed annientarci. Sarebbe facile per te, riprendere le tue prede umane... ».

Avrei voluto ribattere che Sharazad non era umana, ma tanto era inutile. La avrei mangiata comunque, pure se fosse stata Catwoman in persona...

«Quindi dovresti farci il favore di rimanere qui per tutto oggi, domani e dopodomani. Con te ci sarà Cuscino e stai tranquilla, vi verremo a prendere entrambi appena le vostre crisi saranno finite, ok?».

Si, era un buon piano considerato quanti passanti avrei ingoiato in tre giorni. Sbadigliai, rilassata, e cambiai posizione per posare il muso contro le ginocchia di September. Il giovane mago ridacchiò ancora

«Sai una cosa? Quando fai così non sembri proprio un licantropo... qualche chilo e qualche centimetro in meno e ti avrei scambiata per un cane».

Qualche chilo e qualche centimetro, si. Come se non si notassero gli occhi gialli, la pelliccia ispida, le orecchie dritte e un fiume di cicatrici dappertutto. Come no: il cane più brutto del mondo.

Mangiammo in pace, poi September e Sharazad si allontanarono da noi. Fu piuttosto malinconico guardarli che se ne andavano, ma pensai che era meglio così. Mi sdraiai di nuovo sull'erba e socchiusi gli occhi. Cuscino iniziò a trotterellarmi intorno con fare giocoso, ma non avevo molta voglia di alzarmi, in quel momento. Ero piuttosto insonnolita, con la pancia piena ed il sole, e mi veniva solo voglia di dormire.

Cuscino non demorse minimamente e mi spinse con il muso

«Eddai! Eddai! Tirati su pigrona»

«Sta zitto» ringhiai, ma lui parve non sentirmi

«Perché? Perché? Perché? Perché?»

«Sta zitto, Cuscino. Ho voglia di dormire»

«Pensavo che tu non avessi mai voglia di dormire. Come fai? Non senti come l'aria è frizzante?»

«La sento, certo. E mi fa venire sonno»

«Ohh. Sei proprio strana, Furia, proprio proprio strana»

«Non immagini neppure quanto»

«Perché ti senti stanca? Non avrai preso qualche malattia?».

Mi alzai e gli ringhiai contro, le mie zanne si chiusero a un soffio dal suo naso e la mia gola vibrò così forte che il suono emesso non parve nemmeno quello di un lupo. Cuscino si ritrasse rapidamente e inciampò in un mucchio di sassi, rotolando sulla schiena.

«Vuoi giocare? E allora giochiamo. Combatti, combatti lupo».

Lui si rimise in piedi un po' goffo e sollevò lo sguardo verso di me, tremando. Forse non aveva capito che volevo stare al suo gioco. Caracollò verso di me sbuffando sonoramente dalle narici.

Gli caricai contro e lo colpii con una spalla, gli girai intorno rapidamente, prima ancora che potesse cadere, e lo sorressi con il dorso. Gli leccai una guancia

«Sai che è solo un gioco, vero?».

Per risposta, tentò di azzannarmi la gola. Sapeva benissimo quanto più forte e veloce ero di lui, quindi ce la metteva sempre tutta anche quando giocava. Se fossi stata un essere umano, non sarei vissuta abbastanza da raccontarvelo.

Le sue zampe si muovevano rapidamente sul terreno, in mezzo all'erbetta sottile, fra i sassi. Io indietreggiavo, uggiolando piano la mia risposta. Quello che gli comunicavo, in maniera del tutto ironica, è che lui era il più forte. Si, perfino i lupi posseggono un linguaggio per essere ironici.

E all'improvviso contrattaccai: mi sollevai sulle zampe posteriori mentre lui mi veniva incontro, poi mi lasciai semplicemente cadere e lo schiacciai. Lui cercò di rotolare via, continuando a sbuffare come un toro, ma mi contorsi fino a mordergli la pelliccia dietro la nuca e lo trattenni con forza, costringendolo a fermarsi.

Cuscino emise una serie di brevi risate

«Basta così, un attimo di tregua, un attimo di tregua!».

Lo lasciai andare, ma cautamente. Sapeva essere subdolo, quando ci si impegnava, era dotato di una discreta fantasia ed era pericoloso. Tirava brutti tiri appena lo mollavi, ma questa era una delle tante cose che mi piacevano di lui. Stavolta, però, si limitò a ritrarsi e scrollarsi la pelliccia.

Poi fu lui a sdraiarsi e stiracchiarsi, sbadigliando. Mi sdraiai accanto a lui.

«Ti piace il sole, eh?» Gli chiesi, sottovoce

«Si, tantissimo».

Il suo uggiolio di approvazione si spense in un respiro pesante e lento. Riposammo, senza dire niente. Non ne avevamo alcun bisogno. Poi, passato del tempo, mi alzai. Era tardi? Era presto? Non capivo più niente. Perché, come accadeva a volte, già due giorni prima la luna faceva sentire il suo effetto su di me. Sentivo un richiamo forte, una scossa elettrica che mi sfiorava i muscoli, poco sotto la pelle, e una fame che non era solo e soltanto legata alle esigenze del mio stomaco.

No, era piuttosto un grande vuoto interiore, e non poteva essere colmato se non con il sangue.

Iniziai a girare nervosamente in tondo. Piano piano, un passo dopo l'altro, in tondo. Cuscino si alzò circa un'ora dopo di me, un'ora dopo che avevo iniziato a camminare, ed anche lui si mise a camminare con me.

«Lo senti?» mi chiese, con le orecchie aderenti alla testa

«Lo sento» gli risposi piano, vedendo la mia espressione riflessa in un'altra, identica, nel suo muso raccolto, nei suoi denti scoperti, nel tremito nervoso della sua pelliccia «Lo sento e mi fa bene. Non fa bene?»

«Si, fa bene. Lo sento. Per la seconda volta, lo sento».

E allora mi sorse spontaneo un interrogativo: se era vero che io avevo saltato un plenilunio, era anche vero che non era stato lo stesso per Cuscino, che dunque si era... trasformato? Non glielo chiesi. Anche con tutto il tempo che avevamo a disposizione, anche con tutte le cose che potevamo dirci, non gli chiesi se si fosse mai trasformato in qualcosa che non era né un uomo, né un lupo.

L'eccitazione e il nervosismo crebbero ancora. Capii che non era solo l'influenza della luna, una luna che anche senza farsi vedere nel cielo azzurro mi faceva ribollire il sangue nelle vene, ma anche la lontananza di September.

September mi calmava, mi faceva sentire più umana. Lui, come aveva detto il dottore Staretti, era il mio Marcatore, colui che mi teneva "al di qua della barriera", nella mia forma umana.

Senza di lui, ero un animale quasi puro. E non che questo fosse un male. Iniziai all'improvviso a correre. Contavo di non allontanarmi troppo dalla zona, di correre in circolo magari, così September poi mi avrebbe ritrovata. Cuscino mi seguì, fianco a fianco, finché le sue zampe glielo permisero, poi rimase indietro uggiolando sommessamente. Mi fermai per qualche istante, rotolai un paio di volte per terra per lasciarci impresso il mio odore e poi scattai di nuovo in piedi, scrollandomi.

Tutto era vita, tutto era sole e calore.

E da quel momento in poi, da quel pomeriggio assolato fino al momento del massacro, persi del tutto la cognizione del tempo. Non importava se fosse giorno o notte, se fosse mattina o pomeriggio, non ricordavo niente, non ero legata a niente, né a convenzione umane, né a convenzioni animali.

Ogni animale è per forza notturno o diurno. Magari crepuscolare. Io no, non ero niente di tutto ed ero tutto, io ero il mondo, ero la foresta, ricordavo solo lei, ricordavo l'erba, e poi non c'era più il tempo...
Ciò che ricordo era che le mie zampe sicure attraverso la pineta, l'odore del muschio, l'odore delle pietre, i mandorli, l'erba, la carne che vive, gli uccelli, il canto notturno delle cicale, i raggi dolci del sole e la grande, meravigliosa, luna pallida.

Alla mia signora luna, andava sempre lo sguardo migliore, sempre lo sguardo più appassionato. Cuscino, con me, sedeva e ululava contro di lei. La chiamavamo, chiamavano il suo potere, quel potere in grado di farci ribollire il sangue nelle vene.

E poi, all'improvviso, un giorno la luna ci diede il suo potere.

Era notte, di questo ne ero certa, e all'improvviso il tempo c'era di nuovo, anche se era molto più lento del solito. Sulla mia testa c'era un enorme disco bianco, enorme, davvero, e non l'avevo mai vista così vicina né così bella. Mi inebriava, e i miei sensi erano tutti quanti acuiti.

Cuscino respirava pesantemente accanto a me, sentivo il suo calore, il suo odore buono, la sua pelliccia folta. Camminammo per breve tempo sotto la grande luna piena, errabondi e ciondolanti anche se pieni di forza, finché qualcosa non si spezzò dentro di me.
E fui al confine fra la lupa e la donna, laddove non esiste più l'animale e subentra la leggenda.

Leggenda. Mi sarebbe piaciuto farmi scorrere quelle lettere sulla lingua, mentre il mio corpo veniva attraversato da scosse di calore, ma fu impossibile.

La spina dorsale scricchiolò in maniera inconsulta, quasi feroce, come se ruggisse.

Cuscino, al mio fianco, iniziò ad ululare più forte che mai. Capii che era dolore, il suo.

Strano, io non sentivo male.

Io sentivo potere. Ma forse non ero normale, forse ero un eccezione anche fra i mostri. Si, sicuramente ero un'eccezione.

Cuscino ringhiava e urlava. Mentre alle mie zampe crescevano le dita, mi voltai verso di lui. Scoprii di non saper parlare, di non poter articolare suoni in alcuna lingua conosciuta.

Le zanne erano cresciute così tanto da uscire dalle labbra, i denti erano tanto grossi che mi sentivo il cavo orale pieno. Era una sensazione strana, ma vagamente piacevole. C'era un che di perversamente gioioso nel poter aprire la bocca sapendo che quello che avrebbero visto gli altri sono due enormi sciabole ricurve e lucenti di saliva.

La criniera intorno alla testa si ispessì, lo sentivo ogni volta che chinavo la testa sul petto e ritrovavo un cuscino ispido sotto il mento e la gola. Il dorso, dopo essersi allungato, si inarcò ed ingobbì vistosamente. Il muso mi toccò per un istante la terra. Le braccia... oh, dentro le braccia mi scorreva fuoco. I muscoli si gonfiavano e si torcevano sotto la pelle, si saldavano in punti diversi, le nocche si ispessivano, i polsi si arrotondavano, i bicipiti tendevano la pelliccia a forma di collinetta.

Ruggii, sollevando la testa e inarcando all'indietro il collo. Forza. Forza. Forza.

Cuscino si contorceva per terra, accanto a me. Forza e aggressività. Lo azzannai ad un fianco, nel tentativo di liberare la sua bestia. Lui gridò ancora più forte e tentò di artigliarmi, ma mi feci indietro con un balzo. Mostrai i denti, scoprendoli fino alle gengive, poi mi alzai sulle zampe posteriori.

Ero davvero in alto, davvero molto in alto. Orientai le orecchie alla ricerca di una preda.

Io ero tutto e tutto era me. Tutto.

Il calore vibrava ovunque, il calore era fra le mie labbra e l'aria, il mio fiato, e poi era anche il calore di Cuscino, il calore che veniva dalla terra, dal centro della terra, e che mi riscaldava i cuscinetti gonfi sotto i piedi. Ripiombai a quattro zampe, un carro armato di muscoli, sollevando spruzzi di terra sabbiosa. Iniziai a caracollare lentamente in cerchio, guardando Cuscino che si trasformava.

Sembrava stare morendo, sussultava e gridava, il suo fianco non smetteva di sanguinare.

Avrei voluto dirgli di smetterla, avrei voluto dirgli che la vera bestia non sarebbe mai sbocciata attraverso di lui se avesse continuato ad averne paura, ma come ho già detto non avevo modo per comunicare.

Cuscino sollevò la testa, il collo ispessito, le spalle ingobbite, le sue zanne scintillarono alla luce lunare mentre ululava. Quell'immagine mi eccitò, fece risalire ancora di più la bestia. Qualcosa si divelse nel mio petto, liberandosi, e le mie ossa scricchiolarono ancora, come le mie vecchie cicatrici.

Cuscino si sollevò sulle zampe posteriori.

Non era più un lupo, non era più un uomo. Come me. Lui era come me, alto e bellissimo, un magnifico esemplare di licantropo. La pelliccia grigia era ancora più folta sul suo corpo grande e forte, sui suoi muscoli possenti, sul suo collo teso e sulle sue mani color panna, sporche di terra umida. Del sangue, il suo sangue, gli colava da un angolo della bocca, giù filtrando fra i peli, gli percorreva la gola e irrorava la grande macchia candida del suo petto.

Era strano vedere un licantropo con la pelliccia di un vero lupo, era uno spettacolo suggestivo. Ovviamente, sul momento, non fu quello che pensai. Sul momento pensai soltanto alla sua forza, alla mia forza, al nostro insieme e alla capacità distruttiva di questo insieme. Mi avvicinai a lui con irruenza e gli morsi un orecchio, piano,senza farlo sanguinare. Cuscino ringhiò ferocemente e mi si avvinghiò alla gola, le sue zampe contro le mie spalle, i suoi occhi ambrati socchiusi e rigirati al contrario senza lasciar vedere la pupilla, ma solo la porzione inferiore dell'iride. Me lo scrollai di dosso con un solo movimento e lo atterrai, poi feci uno scatto laterale. Avevo fame, quella fame che non è fame ma un vuoto profondo nel petto.

Volevo sangue, come lo avevano voluto prima di me centinaia e centinaia di generazioni di uomini e donne lupo.

Cuscino sembrava altrettanto impaziente e mi girò intorno, entusiasta, con la pelliccia scossa da brividi di eccitazione, poi lanciò un ringhio verso il nulla, minaccioso.

Il messaggio era chiaro, anche con quel linguaggio strano e primitivo: la caccia aveva inizio.

Iniziammo a strisciare. Furtivi, pancia a terra, spalla a spalla. Cuscino respirava più affannosamente di me, ma quello che sembrava un mostro, nonostante non producessi molto rumore, ero sempre e soltanto io. Io che avevo gli occhi gialli e brillanti come le fiamme dell'inferno, io che avevo la pelliccia ispida, irta, che ero enorme, che avevo quei denti e quelle braccia, gli artigli troppo lunghi e la massa muscolare della gobba che mi teneva il corpo bilanciato in avanti, basso.

Striscia, striscia, striscia.

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