Più di quanto tu sappia ♦ Tem...

Por svetlavly

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L'amore è come un dipinto dalle mille sfumature. Non è corretto fermarsi all'accezione più comune del termine... Más

1.Checked Shirt
2.Loser
3.Azzurro contro Verde
PERSONAGGI
4.Batte forte il cuore
5.You Kissed Me
6.Segna per me
7.Fiocchi di neve
8.Frozen atmoshpere
9.Mi dai la forza
10.Questione d'istinto
11.Feel Good
12.Più di un segnale
13.Non ne vale la pena
14.Quasi una famiglia
15.La sua storia
16.Rischi e Regali
17.Fireworks
18.Try, Try, Try
19.Strano
20.Rimorsi e Bugie
21.Delusione
22.Essere carini
23.Shy boy
24.Anni di silenzi
25.Forse non ci crederai
26.Telefonate importanti
27.Devi dirglielo
28.Un po' di sano stalking
29.Tutti tranne te
30.Il meglio sei tu
31.Finalmente
32.Convocazioni particolari
33.Nient'altro che la verità
34.La Cura

35.La partita della vita-EPILOGO

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Por svetlavly

L'arbitro emise tre fischi sordi tramite il fischietto giallo fosforescente. Tottenham-Everton era appena finita. Daniel sollevò il pugno in aria ed emise un urlo di liberazione, dando successivamente una pacca sulla spalla ad un paio di giocatori avversari mentre l'intero stadio applaudiva lui e l'intera squadra di casa, che aveva vinto.

Daniel avrebbe ricordato quella partita per tutta la vita, perché proprio durante quei novanta minuti aveva segnato il suo primo gol con la maglia bianco-blu del Tottenham. Un bel tiro di pallonetto che era andato ad infilarsi perfettamente nella rete avversaria, e il portiere dell'Everton non aveva potuto fare nulla per pararla. Era stata un'emozione unica, vedere la rete gonfiarsi a causa dell'urto del pallone calciato perfettamente dal suo piede sinistro. Tutti i compagni di squadra erano corsi a abbraccialo, l'avevano riempito di pacche sulla spalla e d'incitazioni, perché avevano imparato a voler bene in pochissimo tempo a quel ragazzino appena diciottenne, ma con una grandissima forza d'animo a farlo correre ogni giorno.

La tifoseria degli Hotspur non faceva altro che mostrargli sostegno tramite messaggi sui social e cori ogni volta che entrava in campo. Era strano per lui essere diventato famoso, non riusciva a credere che adesso la sua figura fosse completamente legata al mondo del calcio, ma era ciò che aveva sempre desiderato fare nella vita.

La gente aveva anche iniziato a fermarlo per strada, chiedergli autografi e fotografie. Probabilmente Daniel non si sarebbe mai abituato a tutto ciò, lui era nato in una normalissima famiglia, non era abituato a tutte quelle attenzioni, ma gli faceva piacere sapere che la gente lo apprezzasse come giocatore. Sui social i followers erano aumentati, e riceveva quotidianamente messaggi di supporto anche dalle sue fan, che oltre a considerarlo un bravo giocatore, lo reputavano pure un bel ragazzo. Si sa, in un mondo aperto come quello del calcio, i giocatori sono sotto gli occhi di tutti.

Batté il cinque anche al suo allenatore Mauricio, che si avvicinò al suo orecchio. "Bravo, ragazzino, ti vogliono per un'intervista a bordo campo, corri", lo avvisò. Daniel annuì e si guardò attorno, alla ricerca del giornalista che lo stava aspettando. Ne trovò uno già impegnato con un giocatore avversario e poi, dall'altra parte del campo, quello da cui sarebbe dovuto andare lui. Si affrettò a raggiungerlo scambiando strette di mano con gli ultimi avversari rimasti in campo, poi finalmente raggiunse il giornalista, scusandosi per il ritardo.

"Allora, intanto complimenti per il gol, è un buon momento per te e la squadra, vero?", chiese l'uomo. Inclinò verso di lui il microfono, smettendo per un momento di fissare l'obiettivo della telecamera davanti a loro. Daniel ancora non aveva acquisito dimestichezza nelle interviste, lo mettevano in soggezione. Probabilmente, in quel momento lo stavano ascoltando milioni di persone.

"Direi di sì, cinque partite su cinque vinte, siamo ancora all'inizio del campionato ma cerchiamo di mantenere alta la fiducia", rispose. Sentiva il sudore inondarlo completamente, aveva bisogno di farsi una doccia.

"E te, invece? Come ti trovi nella squadra?".

"Benissimo, loro sono un gruppo molto unito e mi hanno subito accolto. Sono il più piccolo dello spogliatoio, quindi è come se tutti si sentissero in dovere di proteggermi e di darmi consigli, mi stanno aiutando moltissimo". Ed era vero, non c'era un giocatore della nuova squadra che non si preoccupasse per lui. Forse sapevano cosa volesse dire passare da una squadra come il Millwall ad una di condizione sicuramente più prestigiosa quale il Tottenham, e cercavano di non fargli commettere errori, di istruirlo nel migliore dei modi.

"Il più piccolo, sì, ma sicuramente dai filo da torcere agli avversari...questo di oggi è stato il tuo primo gol in campionato", osservò il giornalista sorridendo in camera. Daniel annuì.

"Cerco sempre di fare del mio meglio", minimizzò.

"A chi hai dedicato questo primo gol?", domandò ancora il giornalista, voltandosi a guardarlo. Daniel si strinse nelle spalle.

"Alla mia famiglia, suppongo".

L'uomo si fece pensieroso. "Se dovessi scegliere una sola persona, chi sarebbe?".

Daniel rispose senza neanche pensarci. "Il mio ragazzo, Felipe". L'aveva visto sorridente in tribuna, durante gli allenamenti, e quando aveva segnato non aveva potuto evitare di voltarsi verso di lui e accennare un saluto.

Il giornalista assunse un'espressione stupita, poi lo congedò.

Quasi inconsapevolmente, Daniel aveva toccato un argomento considerato tabù nel calcio e lo aveva fatto con una tale naturalezza da lasciare tutti esterrefatti.

In un mondo in cui il calcio era considerato l'emblema della virilità, i giocatori omosessuali avevano sempre evitato di esplicitare la propria sessualità per timore di ricevere discriminazioni da parte del pubblico. Daniel l'aveva fatto con una genuinità innata ed aveva messo a tacere tutti. Per la prima volta, i media parlarono della notizia senza sollevare polemiche. Al pubblico interessava che fosse un giocatore pieno di passione per il suo sport, e non entrò in merito alla questione.

Certo, ci furono anche le solite voci fuori dal coro, quelli che gli si scagliarono contro, ma come recita un antico detto, la madre dei cretini è sempre incinta. Ci pensarono i sostenitori del diciottenne a difenderlo dalle angherie altrui, che ebbero breve durata.

Quell'avvenimento diede modo anche agli altri calciatori omosessuali (perché ce n'erano, poco ma sicuro), di sentirsi meno discriminati e timorosi.

Daniel non si era mai sentito così tanto amato come in quel momento.


Era ottobre, ma sembrava quasi che il tempo non se ne fosse accorto. Faceva ancora molto caldo, e Ryan non riusciva ad addormentarsi di nuovo. Era domenica, non aveva nulla da fare, e si era svegliato alle sette e mezza del mattino. Si girò su un fianco, le coperte seguirono i suoi movimenti.

Quasi invidiava Eric che, con infinita naturalezza, dormiva indisturbato, e avrebbe continuato a dormire almeno fino alle undici. Ryan non ci riusciva a dormire così tanto, pur volendo finiva sempre per svegliarsi all'improvviso e troppo presto per i suoi gusti. Non poteva farci nulla, purtroppo.

Si stiracchiò per allungare la schiena e far scrocchiare le braccia e le ginocchia; era una cosa che lo soddisfaceva enormemente, anche se sua madre continuava a ripetergli che non facesse affatto bene alle ossa.

Invece di tornare alla posizione precedentemente assunta, appoggiò una mano sulla guancia sbarbata di Eric, percependo il calore della sua pelle. Era così bello,con quell'espressione rilassata, le ciglia scure e folte abbassate, le labbra socchiuse e i capelli arruffati. Ryan a volte lo guardava e non riusciva a credere che fosse il suo ragazzo, suo e di nessun altro, da nove mesi.

Non erano stati giorni facili, un po' per la malattia, un po' per la paura di sbagliare, ma con Eric al suo fianco era risultato tutto più leggero. I sette anni di differenza non pesavano sulla vita di nessuno dei due, si sentivano giovani, sì, ma responsabili. Eric lavorava come un fatto, Ryan studiava per il suo ultimo anno di scuola, ma era bello ritrovarsi assieme a casa del maggiore ogni sera, dormire nello stesso letto, fare l'amore, parlare di tutto, mangiare i cibi più strani. Ormai il diciottenne passava pochissimo tempo a casa di Carol e Graham, quella sua e di Eric era una convivenza non esplicitata, forse perché Ryan era ancora tanto giovane, ma sapeva cosa volesse fare. E poi, se i soldi ci fossero stati, sarebbe partito per il college alla fine dell'anno scolastico. Avrebbe sempre potuto fare affidamento sul suo spazzolino appoggiato sul lavandino, proprio vicino a quello di Eric.

Accarezzò con il pollice la pelle glabra, perfetta, del suo ragazzo. Aveva il sonno pesante, non si sarebbe svegliato nemmeno con una cannonata. Gli sfiorò le labbra con le sue senza ricevere alcun riscontro, tossì, gli diede un pizzicotto sul dorso della mano, gli scosse la spalla con veemenza.

"Ma sei morto?", sussurrò.

Decise di passare all'azione concreta, sollevandosi a sedere e sistemandosi successivamente a cavalcioni del suo bacino. Si piegò con la schiena fino a far aderire i loro petti, poi lo baciò di nuovo.

Capì che Eric si fosse svegliato solo quando sentì due mani arpionarsi ai suoi fianchi.

"Buongiorno, eh! Hai il sonno così pesante che potrei buttarti in una vasca d'acqua gelata e te continueresti a dormire come un angioletto".

Eric rise. "Non ce la faresti a sollevarmi, sei un fuscello", ribatté il maggiore, gli bloccò i polsi e lo baciò. "E poi è presto, perché mi hai svegliato?", proseguì. Lo guardò male per un momento, poi appoggiò la nuca sul cuscino e chiuse gli occhi, non disturbato dalla presenza del diciottenne su di lui.

"Mi annoiavo a vederti dormire mentre io non ci riuscivo", si giustificò Ryan.

Eric sospirò, conscio che non si sarebbe più riuscito ad addormentare, non con un ragazzo magro, riccio e sorridente sopra di lui. E mezzo nudo.

"Cosa proponi di fare, quindi?", chiese.

"Suoniamo?".

"Ma sono le sette del mattino, i vicini ci denunciano". Ryan si fece pensieroso, poi la sua espressione assorta di tramutò in un sorriso.

"D'accordo, hai ragione, ho un piano B", decretò. Eric non fece in tempo a  chiederlo, perché capì nell'esatto momento in cui Ryan scomparve sotto le coperte, tra le sue gambe.

"Mi piace questo piano B", disse compiaciuto, abbassando le palpebre.

"Non avevo dubbi", fu il commento finale del diciottenne.


L'unico odore che Ryan percepiva era quello della brace, così forte da superare perfino la tremenda allergia. Non era servito a nulla l'antistaminico, non appena aveva messo piede su quel prato aveva iniziato a starnutire come se non ci fosse un domani.

Gli piaceva la primavera, senz'altro, ma il suo organismo non era dello stesso avviso. Tutta colpa del suo migliore amico, che aveva deciso di organizzare una grigliata assieme al loro gruppo. Avevano preso le loro automobili, due barbecue, un paio di palloni ed erano partiti alla volta della campagna. Eric aveva lasciato i finestrini della sua macchina aperti e la radio accesa per rallegrare l'atmosfera con un po' di musica, Taylor ed Abigail giocavano a pallavolo lontano dai barbecue, davanti ai quali c'erano Felipe, Eric e i due fidanzati delle ragazze che sì, finalmente avevano trovato due compagni al college. Quel weekend tutti avevano approfittato della pausa per le feste pasquali ed erano tornati a casa.

Taylor, Abigail e Ryan frequentavano il college mentre Daniel era perennemente impegnato con gli allenamenti per la sua squadra. Il suo secondo campionato in Premier League stava volgendo al termine e lui, a vent'anni, poteva affermare felicemente di aver raggiunto l'obiettivo principale della sua vita.

In quel momento era seduto all'ombra di un cipresso assieme a Ryan, entrambi si erano rifiutati di unirsi ai palleggi delle loro amiche, e stavano guardando il paesaggio davanti a loro. Insomma, Eric e Felipe si erano appena tolti le magliette.

"Certo che Eric è proprio pallido", constatò Daniel, osservando il ragazzo del suo migliore amico.

Ryan gli diede una gomitata. "E ti credo, sta vicino a un brasiliano, risalta inevitabilmente".

Daniel rise senza aggiungere altro.

"Come procede il trasloco?", chiese il ragazzo dai capelli rossi.

"Bene, più o meno, in settimana arrivano i mobili della sala da pranzo, penso venerdì", rispose Daniel, appoggiando il mento sul palmo della mano. Ryan gli cinse le spalle con un braccio.

"Vi siete comprati una bella casetta, tu e Felipe, eh?".

"É troppo grande, ci vogliono secoli per pulirla", ribatté sconsolato il calciatore. "Però Lipe l'ha voluta così perché...non si sa mai, ecco". S'interruppe. L'idea che un giorno quelle stanze vuote si sarebbero potute riempire di persone piccole e carine gli strinse il cuore. Ryan sorrise, intuendo i suoi pensieri.

"Se solo tre anni fa avessi provato ad immaginare le nostre vite future, quello che stiamo vivendo adesso mi sarebbe parso un sogno", commentò Ryan, appoggiando la testa sulla spalla di Daniel.

Era vero, quegli anni erano stati colmi di cambiamenti per entrambi. Dopo aver iniziato a giocare nel Tottenham, Daniel aveva atteso un anno e mezzo prima di decidere di trasferirsi assieme a Felipe, rimanendo in città a pochi minuti di distanza dalle loro famiglie, ma in una casa esclusivamente loro. Con tutti i soldi che Daniel guadagnava si erano potuti permettere di aprire un locale, di cui Felipe era diventato il proprietario assieme a Thomas, salvandolo così dalla bettola di friggitoria in cui aveva lavorato per quasi quattro anni.

Daniel e Felipe erano anche volati in Brasile l'estate passata, e contavano di tornarci ancora. Lì, avevano passato quasi un mese assieme a Tiago; all'inizio era stato doloroso per Felipe tornare nella sua città di appartenenza, ma poi era riuscito a convivere con i ricordi, e si era saputo divertire.

Erano ancora giovani, pieni di ambizioni e di successi da raggiungere, di esperienze da vivere, di viaggi da compiere, di baci da scambiare, ma sapevano che avrebbero avuto tempo da vendere, perché dopo ogni giornata stressante, fatta di duri allenamenti per uno e di ordini a non finire per l'altro, entrambi avevano la certezza che sarebbero tornati a casa, casa loro, avrebbero cenato assieme e si sarebbero addormentati l'uno nelle braccia dell'altro.

D'altra parte, anche Ryan aveva fatto passi da gigante rispetto a quando aveva diciassette anni. Ora, di anni ne aveva quasi venti e frequentava il primo anno di college. Aveva conseguito ottimi voti fino a quel momento, portando soddisfazioni sia a se stesso che a sua madre, la quale aveva sempre creduto nelle sue potenzialità. Studiare era impegnativo, gli occupava quasi tutta la giornata, ma nonostante ciò cercava di tornare a casa il più spesso possibile per salutare tutta la sua famiglia, compreso il suo fratellino di un anno e mezzo perché sì, Carol era rimasta incinta e adesso lei e Graham avevano un bellissimo bambino di nome Matthew. Era felice che sua madre fosse riuscita a farsi una vita assieme all'uomo che l'aveva aiutata in un momento abbastanza delicato non solo della sua vita, ma anche in quella di Ryan stesso.

La cameretta che prima era stata vissuta, seppur per breve tempo, da Ryan, adesso era proprio del bimbo dai capelli scuri come quelli di suo padre. Quando tornava in città, Ryan dormiva da Eric perché quella era diventata la sua casa. Non aveva ancora avuto il tempo per sistemare bene le sue cose, che giacevano in fondo all'armadio in un enorme scatolone, ma l'avrebbe fatto durante l'estate.

La vocina, quella che l'aveva tartassato per alcuni anni della sua vita, non si faceva sentire da parecchio tempo. Ryan non vedeva il dottor Clive dal settembre passato, quando era partito per il college. Avrebbe ricordato la loro ultima visita per sempre, perché il dottore si era complimentato a cuore aperto con lui, definendolo un ragazzo dai sani principi e pieno di forza d'animo che l'aveva fatto progredire fino a quel punto.

Ryan era consapevole che non sarebbe mai guarito del tutto da quella malattia, perché ne portava ancora le ferite non fisiche, ma psicologiche, nel suo animo. Era fiducioso in se stesso come mai lo era stato prima d'ora, perché se la sua vita stava andando così bene era soltanto grazie a sé e alle persone che credevano in lui e nelle sue potenzialità.

"Stiamo pensando entrambi a quanto la nostra vita sia cambiata, vero?", chiese ad un tratto Daniel.

Ryan annuì ed i ricci gli impedirono la vista.

"Dio, ma non esiste un parrucchiere vicino al college?", domandò ancora il calciatore.

"Sì ma mi dimentico sempre di andarci, studio tutto il giorno".

"Non ti invidio proprio, sai?".

Ryan scrollò le spalle. "Ognuno è nato per fare qualcosa, Dan, e tu hai sempre saputo di voler diventare questo, e cazzo se ci sei riuscito...abbiamo interessi diversi, e poi penso che tu al college non saresti durato nemmeno una settimana, scusa se te lo dico".

Daniel si finse offeso, come faceva da bambino e come aveva continuato a fare negli anni, perché anche se adesso poteva considerarsi milionario, non era cambiato di una virgola.

"Mica stai dicendo che sono stupido, vero? Perché in tal caso potrei offendermi".

"Ce l'hai nelle vene...non la stupidità, cretino, non guardarmi così. Dico il calcio, ce l'hai nel sangue da sempre e non riuscirei a vederti fare altro".

Felipe si asciugò il sudore con la maglietta ormai madida, stare lì davanti alla brace che emanava calore non era il massimo. Si guardò attorno mentre gli spiedini di maiale cuocevano lentamente, scorgendo Abigail e Taylor palleggiare in modo maldestro il pallone che lui stesso aveva portato. Sperò solo che non lo buttassero in mezzo ad un cespuglio di spine, poi, seduti all'ombra poco lontano da loro, Ryan e Daniel. Il ragazzo dai capelli arancioni aveva la testa appoggiata sulla spalla del calciatore, e Felipe vide le loro labbra muoversi ma non riuscì a capire cosa si stessero dicendo.

"Parlano da ore ed ore, chissà che si stanno dicendo", disse Eric, voltandosi anche lui nella loro direzione.

"Sicuramente stanno parlando di noi, guarda come ci fissano", ipotizzò il brasiliano, tornando a controllare la carne per accertarsi che non si bruciasse.

"Ehy, principessine, volete alzare quel culo da terra o intendete guardarci così per tutta la giornata?!", urlò nella loro direzione Felipe, suscitando le risate di tutto il gruppo e ricevendo un bel dito medio dal suo ragazzo.

Di tutta risposta, Daniel e Ryan si sdraiarono completamente a terra, incuranti dell'allergia del ragazzo dai capelli arancioni. Tuttavia, dovettero alzarsi dieci minuti dopo, perché la carne era stata cotta ed era arrivato il momento di mangiarla.

Dopo aver pranzato organizzarono una partita a calcio, contendendosi l'attaccante del Tottenham come se fosse una finale di Champions League. Alla fine, vinsero Felipe, Abigail e Bryce, il ragazzo di Taylor.

"Ti ricordi il nostro primo bacio, Dan?", gli chiese il brasiliano mentre Ryan e Bryce facevano testa o croce per l'assegnazione del campo o del pallone.

Daniel sorrise, ricordando perfettamente ogni dettaglio di quell'avvenimento. Avevano giocato nella stessa squadra, quella sera di due anni prima, e come penitenza si erano dovuti baciare. Quella sera era scattato qualcosa nel cuore di entrambi.

Abigail, che si era ritrovata casualmente ad ascoltare la conversazione, li guardò commossa.

"C'ero anche io! Quanto siete carini", esclamò con tono adorante. Felipe sorrise un po' imbarazzato mentre Daniel le diede una spallata amichevole.

"Mi sono dovuta sopportare i racconti dettagliati di Daniel per settimane intere", proseguì la ventenne, legando i capelli in una coda alta per evitare che le finissero davanti agli occhi mentre giocava. Il brasiliano adesso sembrò incuriosito, e rivolse la sua completa attenzione ad Abby.

"E che ti diceva?", domandò curioso, mentre Daniel fingeva accuratamente di non interessarsi alla conversazione.

"Quant'è bello, non mi si filerà mai, e poi è etero!", recitò Abigail, imitando perfettamente il tono di voce dell'amico. Felipe scoppiò a ridere e cinse le spalle del suo ragazzo, lasciandogli un bacio tra i capelli castani. "Amore mio", disse sottovoce.

Daniel sorrise e il suo sguardo incontrò quello di Ryan dall'altra parte del campo. Anche il musicista era abbracciato al suo ragazzo, ed esibiva un'espressione rilassata e soddisfatta.

"Giochiamo, la partita è iniziata!", li richiamò all'attenzione Taylor, battendo più volte le mani. Tutte le coppie sciolsero gli abbracci e Daniel corse verso il pallone.

Quella non era nient'altro che una partita da amici, nulla di ufficiale. Non c'erano migliaia di tifosi, solo otto ragazzi circondati dalla natura e da una quantità considerevole di insetti, ma a Daniel sembrò la partita migliore che avesse mai giocato, perché era vissuta con serenità, affetto ed amore. Felipe lo chiamava a gran voce per farsi passare la palla, Ryan lo smarcava con impaccio, ma tutti ridevano.

Incontrò gli occhi verdi del suo ragazzo, della persona che amava, di quella che sarebbe diventata la sua famiglia, ne era certo. Crossò il pallone per passarglielo e nella sua testa sentì gli applausi che accompagnavano ogni sua giocata in campo.

Di partite perse e giocate male ce ne sarebbero state, perché era umano che accadesse prima o poi, ma l'importante per lui era giocare perfettamente quella più importante, la più dura, quella della sua vita.

Felipe tirò nella porta rimediata tra due alberi abbastanza vicini e segnò, Daniel corse ad abbracciarlo.

Ora che giocavano assieme, capì che quella partita sarebbe stata meno difficile.

Fine.


♦  

Ciao a tutti!

Allora, che dire...sono un po' triste a scrivere questo piccolo spazio "autrice", ma devo farlo per ringraziarvi. Adesso la storia ha tremila e passa letture, quando l'ho pubblicata mesi e mesi fa non avrei mai immaginato che potesse essere letta da così tanta gente. Per me significa molto, considerando anche quanto lavoro ci sia stato dietro a questa storia.

Mi ha accompagnato in anni brutti della mia vita, e so che può sembrare strano, ma questi quattro personaggi mi hanno aiutato a non pensare al resto. Quando scrivevo di loro mi isolavo da tutto ciò che mi circondava e mi dedicavo esclusivamente a Daniel, a Ryan, a Felipe e a Eric. Spero che abbiate colto la mia passione e spero che questa storia vi sia piaciuta. Non so dirvi con certezza se ci sarà un seguito, per ora voglio lasciarli riposare un po', voglio che ognuno di loro viva nelle vostre menti, spero che vi abbiano lasciato qualcosa. La forza di saper combattere per i propri sogni e per le persone che amiamo.

Adesso mi butterò a capofitto in un'altra avventura, una storia molto diversa da questa, spero che mi seguiate, ho ancora tantissime cose da dirvi e sono sicura che i personaggi che conoscerete tra qualche giorno vi piaceranno...

Voglio ringraziare tutti, chi ha letto in silenzio, chi ha lasciato una stellina, chi ha lasciato qualche commento qua e là e chi ha commentato ogni capitolo facendomi sapere la propria opinione, chi ha insultato pesantemente Nolan (❤), chi mi ha scritto messaggi privati pieni di complimenti, tutti. Questo è solo un sito pieno zeppo di storie, ma io, tra tutte queste persone, mi sono sentita felice.

Ora vi lascio, ma per pochissimo. Domani torno con una nuova storia, Sotto il cielo di Roma.

Allora a domani, ci conto, e grazie ancora di tutto.

Lavinia.

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