Urban Legends

By CactusdiFuoco

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[STORIA COMPLETA] Io sono Furiadoro e la mia esistenza è una sorta di... leggenda. Sono una donna lupo, una s... More

Prologo
L'inizio di un nuovo viaggio
Finto-Vampiro
Il sangue dei licantropi
Sospesa tra due mondi
Il corpo di un lupo
Il muso della ferocia
Di nuovo umana
Massacro di plenilunio
Ciò che mi ha dato la Luna
Una lupa tra gli umani
Il club degli animali
Incontro col mandante
La casa del mago
La routine della donna lupo
Everybody was Kung Fu Fighting
La ricompensa dei ratti
Cannibale
Il gabinetto pensatoio
L'omicidio di Mr.Mell
Illusioni di tempi andati
Licantropi for dummies
Una terribile bestia in abito elegante
Sebastian Barren
Cacciare cacciatori
Le risorse nascoste di un goldenwolfen
Un dottore immaginario?
Un dottore pazzo?
Un luminoso Sabato mattina
September Aster vs Franco Staretti
L'altra bestia d'oro
Tutti i mostri sono capricciosi
A caccia per vivere
Lupouomo
Violenza e mutazioni
Goldenwolfen
Il Natale anormale
Uno spettacolo di magia
Due mostri non possono scontrarsi senza conseguenze terribili per entrambi
Ritorno alla vita
Su Dio e sulla salvezza del genere umano
Lupo acromegalico
Primo intermezzo narrativo
September che parla a ruota libera
Una strana creatura trovata in un fosso
Un plenilunio con Cuscino
Fame di morte
Un nuovo autocontrollo
Il ritorno del cacciatore nero
E si aprirono le porte dell'inferno
Benvenuta nella tua tomba
In cui si ammazza una nosferatu
Conversazione con la Mater Inferorum
Un troll con vestiti nuovi
Santo Stefano di Camastra
Aldo, la bottega e l'uomo misterioso
Ci rivedremo in un'altra città
La Madre dell'Inferno
Solo un sogno in carne ed ossa
Lo squallore e la (gradita) separazione
Mack e Jack
L'orologiaio
Un vampiro diverso da tutti gli altri
Il portale di Miomarto
PARTE SECONDA
Un viaggio sabotato
La Città Senza Nome
Le Creature senza Nome
E il pericolo arriva anche sottoterra
Vampiri pazzi
Una foto di gruppo su una nave da crociera
Un vampiro addormentato su una nave da crociera
In comunione con il vampiro
Furio Dorati
Furio il supereroe
Un inganno riuscito
Quel che Lilith fece a Vlad
Vampiri con le mitragliatrici
Grande Crinos
Fullbeast mode
Intrappolata dalla magia
Di ritorno dall'Inferno
Mostri con le ali
I poteri "aldilà"
Un segno di Dio?
Finale di battaglia
Epilogo
Urban Legends #1: il mago e la donna lupo. Un ebook per voi!

Sharazad

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By CactusdiFuoco

«Ma certo, fa pure come vuoi» e così dicendo intinse un batuffolo di cotone nell'alcool, quel liquido rosa che conservava nella bottiglia di plastica

«Ero una dei giovani candidati per... per il progetto segreto First Blood, un'operazione militare di cui non vi dirò i dettagli. So che non dovrei, dopo tutto quello che quei bastardi mi hanno fatto, ma rimarrò fedele alla mia patria»

«Oh, una soldatessa, quindi?»

«Si, sono stata addestrata per combattere e uccidere. All'inizio non sapevo con chi avrei dovuto misurarmi. Erano passati due anni dalla mia entrata nell'accademia. Mi sentivo appagata dal mio lavoro, all'inizio era soltanto lavoretti di ordinaria vigilanza, ero una specie di guardia del corpo. Poi arrivarono gli uomini della...».

Si bloccò quando vide che September le reggeva il braccio con una mano e con l'altra disinfettava la ferita. Il maghetto le sorrise

«So che fa male ...»

«Non è quello» disse lei

«Allora perché ti sei fermata?»

«N... non mi sono fermata. Dicevo, mi reclutarono per il progetto First Blood. All'inizio sembrava una specie di sezione antiterroristica, ci veniva chiesto di disinnescare alcune bombe, di viaggiare verso l'est europeo per consegnare lettere o carichi di armi ai nostri alleati. Mi era abbastanza chiaro quale fosse il nostro nemico o il presunto tale. Fecero degli esperimenti sul mio corpo. Mi dissero che ero... che ero idonea. Che avevo qualcosa che non aveva nessun altro soldato. Non capivo di cosa si trattasse, ma sapevo che era quella la causa per cui mi fecero sospendere la mia attività di... fattorino in zona di guerra. Poi venne il giorno che mi rinchiusero in isolamento. Non avevo fatto nulla di male, da quanto ne sapevo, ma non mi ribellai. All'inizio. Poi iniziarono a fare esperimenti sempre più... spinti sul mio corpo. Dicevano che non ero normale. Non ero normale. Non era colpa loro se non ero normale, dicevano. Era colpa di qualcos'altro. Un gene. Iniziarono ad avere paura di me. Mi fecero fare alcuni esercizi, semplici cose come sollevare pesi o correre. Io avevo sempre fatto le cose che mostrai loro, ma loro ebbero paura. E all'improvviso iniziai ad averne anch'io. Nessun altro, tranne me, riusciva a correre per tutte quelle miglia senza stancarsi. Nessuno riusciva a battermi a braccio di ferro, neppure il tenente... il tenente... insomma, l'uomo più forte della nostra brigata. Tuttavia mi ero sempre considerata normale. Avevo sempre fatto cose del genere, solo che ora avevo capito che...»

«Tu eri diversa, vero?» domandò September, in tono gentile, delicato come una carezza «Non devi avere paura di te stessa, mai, per nessun motivo»

«Tu non lo sa quello che io sono in grado di fare» ribatté lei, con altrettanto gentile perplessità «Io posso...»

«So cosa sei in grado di fare. Forse ti sopravvaluto, perfino» September sorrise e iniziò ad arrotolare intorno al suo busto la benda di lino, dividendola con cura in due propaggini che faceva aderire strette alla canottiera «Ho visto di peggio»

«Sicuro?»

«Sicuro» rispose September, con l'aria di chi era proprio come lui aveva detto.

Sicuro.

La donna sogghignò

«Arrivò una notte che li uccisi tutti» disse, a bassa voce. Voleva impressionarci, voleva farci tanta paura da allontanarci, ma dubitavo che ce l'avrebbe fatta. Non poteva aver fatto qualcosa di peggiore di quello che avevo fatto io.

«Era una notte d'estate, caldissima. E quella notte li uccisi tutti. Sento ancora il sapore della loro carne e le loro ossa che si rompono sotto i miei denti» e come se volesse farci vedere le sue armi, sorrise «Fu incredibilmente piacevole, in quel momento. Ricordo come avevo iniziato ad odiare la mia prigionia, ad odiare tutti loro. Ricordo che spezzai per prima la spina dorsale del capitano. Sento ancora il sapore... il sapore del suo sangue».

La sua voce si interruppe bruscamente in un vibrato basso, che somigliava incredibilmente alle fusa di un gatto.

September spalancò gli occhi

«Sei una mannara» disse, sorpreso «Che tipo di mannara?».

Lei aprì la bocca, ma non per mostrare i denti. Rimase per alcuni secondi in silenzio. Poi si decise a darci qualche spiegazione più chiara

«Io credo... credo di essere una tigre».

September scoppiò a ridere. Il suo petto andava su e giù in una maniera così convulsa che per un attimo pensai stesse soffocando o gli fosse preso un attacco di qualcosa. Mi prese la voglia matta di ritrasformarmi e praticargli qualche mossa di quelle che si usano per salvare chi si è strangolato con un boccone di cibo. Poi September smise di ridere e si batté allegramente una coscia

«Oh, mio dio, in quale fiaba sono capitato?» esclamò, allegro «Impagabile, nemmeno nei libri! Una tigre mannara? Credevo che non esistessero cose del genere. Siete, siete solo una fiaba. Non è possibile, insomma» indicò in due direzioni diverse con le dita «Il vostro cammino evolutivo è solo un'invenzione. Nessuno, nessuno ha mai pensato che esistete. D'altronde chi l'ha vista mai una tigre mannara? Voglio dire, una persona che si trasforma... in una tigre? Una specie di licantropo felino? Nessuno, assolutamente, completamente nessuno... Nemmeno io ci credo. Chi me lo dice che tu sia davvero una tigre mannara?».

La donna si morse il labbro inferiore e abbassò la testa. Potevo anche essere una che si sbaglia sulle espressioni umane, ma ciò che vedevo era un profondo dolore. Non aveva più paura, ma era triste, tanto triste, e soprattutto sola.

Io le credevo, credevo che lei fosse una tigre mannara, per quanto effettivamente assurdo potesse essere. September non avrebbe dovuto prenderla troppo alla leggera, considerata la persona che aveva davanti.

Certo, la persona che aveva davanti era un enigma, ma proprio per questo gli avrei consigliato di andarci cauto.

Cuscino ricomparve in cima al pendio, guardandomi con il muso basso e chiedendomi se poteva venire. Acconsentii richiamandolo con un paio di brevi movimenti della coda e un invitante uggiolio.

«No no-n mi credi nep nep-pure tu» Disse la donna, all'improvviso, con la voce rotta.

Stava per mettersi a piangere a dirotto... e io che la credevo una vera dura. Altro che nemico, questa era pappa per cani. Scoprii involontariamente le zanne in un sorriso. Sadica come sono, provai piacere nel suo dolore.

September le prese una mano

«No, no, no... shhh principessa» mormorò, dolcemente, così mieloso da farmi venire la voglia di essere coccolata da lui «Io non ho detto che menti. No. Può darsi solo che tu ti sia sbagliata. Magari sei una donna orso, no? Sono come i licantropi, solo più spessi. Stessa razza, diverso fenotipo. Dopotutto è difficile riconoscere la propria forma quando si è trasformati, no?»

«No» la voce esotica della donna si rinsaldava lentamente, i monconi delle parole si facevano via via sempre più uniti e sicuri dopo che September la aveva rassicurata «Mi urlavano contro che ero una tigre. Capisci, che non ero umana, ero una tigre, una vera tigre, a forma di tigre. Mi hanno cacciata. Mi hanno quasi uccisa, mi hanno... mi hanno... »

«Shhh» September le strisciò lentamente più vicino e iniziò ad accarezzarle lentamente i capelli, come se invece di una donna toccasse un gatto o Mamma Coniglia «Non devi preoccuparti. Ormai sei lontana. Sei lontana da loro»

«Anche se desideravo ucciderli, non desideravo essere un mostro»

«Non è ciò che sei» September sapeva essere molto convincente «Tu non sei un mostro, no, non devi preoccuparti di niente, verrai con noi»

«No»

«Perché, principessa?»

«Perché ti ucciderei, giovane uomo»

«Tu, uccidere me? Hai una bella stima del tuo eroe... non temere per la mia vita, principessa, sono qui per te. Il fato ci ha fatti incontrare, mi ha messo sulla strada che portava al tuo giaciglio. Ed eccomi, sono qui per te. Non sei più sola, principessa».

Si, certo, il fato li aveva fatti incontrare, se il fato ero io. E poi perché diavolo September chiamava quella donna "principessa"? Io vedevo solo una tigre mannara stanca, sporca, in lacrime e così debole da potersi servire, se mi è permessa l'allusione, sul tradizionale piatto d'argento. All'improvviso capii che non sarebbe stato facile mangiarsi la gattona, proprio per niente se September l'avesse presa sotto la sua protezione. Non riesco a mangiare quello che September non vuole che io mangi. Dopotutto sono un lupo mezzo addomesticato.

Il mago guardò me e Cuscino

«Mi aiuterete a proteggerla?» ci chiese.

Cuscino si ritrasse timidamente, in attesa che io dessi il mio giudizio, ed io, per contro, rimasi in silenzio. September ci fulminò con lo sguardo

«Perché?» disse, e quell'unica parola vibrò nell'aria come una stoccata feroce, così forte da fare male.

Non potevo spiegarglielo a parole semplici. Non potevo neppure spiegarglielo a parole, visto che in quel momento non potevo parlare, ma il fatto è che... i cani e i gatti non si possono sopportare.

Si, una storia vecchia come il mondo. E se i gatti normali odiano i cani normali, ma non per forza i licantropi, i felini mannari si fanno a pezzi con i licantropi e via dicendo. Era una cosa antica. Non so esattamente quanto antica, ma credo che risalisse all'origine delle specie, quando entrambe competevano sullo stesso territorio di caccia e cercavano di ingannare meglio gli esseri umani.

Visto che noi licantropi siamo rimasti in tanti, e loro in così pochi, evidentemente abbiamo vinto noi la darwiniana lotta per la sopravvivenza, no?

September mi afferrò per la folta pelliccia del collo e cercò di trascinarmi verso di se

«Oh, andiamo, Furia!» mi ammonì, a denti stretti, con le sopracciglia aggrottate «Non puoi dirmi di no! Ricordi, mi hai promesso che avresti fatto tutto quello che ti avrei chiesto».

Puntai le zampe. Avrei voluto rispondere che quella promessa era stata fatta tantissimo tempo fa e che di conseguenza non era più valida, ma avevo un groppo in gola che mi impediva di rispondere. Dovevo assolutamente fare felice September, era un bisogno in senso assoluto. Bisognava appagarlo.

Così chinai il capo. Dovetti arrendermi. Socchiudendo gli occhi, mi guardai le zampe, poi, come per un riflesso naturale, sollevai il muso e il mio sguardo si posò sul corpo della donna.

Lei mi guardò come se volesse dirmi che non ero necessaria, che se volevo potevo andare per la mia strada. Probabilmente secondo il suo punto di vista era giusto che, se la detestavo tanto, me ne andassi via e smettessi di importunarla. Beh, era davvero una bella idea, ma il fatto era che non potevo metterla in pratica. Se avessi avuto la libertà massima, avrei comunque optato per un massacro.

«Come ti chiami, principessa?» Chiese September, smettendo di guardarmi. Aveva capito che mi ero sottomessa al suo volere.

Chi era l'alfa del nostro branco?

La donna lo guardò negli occhi e i pezzi di ambra che aveva al posto delle iridi si contrassero per ridurre le pupille

«Mi chiamavano... Sharazad. Ma non conosco il mio vero nome»

«Mille e una notte. Forse sei davvero uscita da un libro di favole... la tigre e la principessa» September smise di accarezzarle i capelli e le prese una mano per potarsela alle labbra e baciarla «Sono onorato di potervi conoscere».

Questa storia non mi piaceva per niente. September generalmente non era così servile, anche se la poesia faceva parte del suo modo naturale di parlare. Perché la trattava così? E cosa diavolo era questa storia della principessa? A giudicare dall'espressione di Cuscino, che se ne stava con il muso affondato nella mia spalla, anche lui era perplesso dal comportamento del nostro umano.

La donna deglutì lentamente

«Perché continui a chiamarmi in quel modo... principessa?»

«Potresti anche esserlo, no? Ho questa impressione. Sento vibrare intorno al tuo corpo un potere magico, qualcosa di molto simile a quello che sentivo vibrare intorno al re dei maghi. La tua aura è di nobile ascendenza, perché non dovresti essere una principessa?».

Sharazad si alzò in piedi lentamente e September seguì il suo movimento. Sembrava proprio che dovessimo riprendere il viaggio. Il maghetto risollevò da terra lo zaino e ci frugò dentro con una mano, poi estrasse la parte superiore della mia tuta, quella con il lupo stilizzato. Non ringhiai, anche se avrei voluto farlo. September porse l'indumento alla donna

«Tieni» le disse, modulando la voce su note morbidissime «Mettila, nasconderà la tua ferita».

La donna tigre non se lo fece ripetere e si infilò la mia felpa. Le calzava quasi a pennello, forse era appena un po' lunga sul busto. Dopotutto la taglia XXL maschile è una di quelle che fa stare comoda anche me.

Mi mossi con andatura esasperatamente lenta per precederli, ma September mi fermò

«No» mi disse «Lascia che sia lei, per oggi, a guidare».

Lo guardai perplessa. Lei doveva guidarci? E io dovevo fidarmi del sesto senso del mago? Dovevo fidarmi di quello che sicuramente lui sentiva e che lo spingeva a preferire la sua guida alla mia?

Decisi di si. Dopotutto dovevo più di un favore a quel mio tribolato amico, penso proprio che iniziare a dargli un po' della mia fiducia fosse un buon inizio. E così feci.

Sharazad mi guardò dapprima come volesse scusarsi, poi con lo sguardo autorevole della guida. Prese lo zaino di September, se lo mise in spalla con la scioltezza di una persona che non era stata sparata al braccio, e partì avanti.

Le fui grata per quel gesto. Set ne fu più che altro sorpreso, ma non osò ribattere.

Uscimmo lentamente dal bosco.

Camminammo lentamente. September mi stava sempre a un fianco, Cuscino all'altro, la donna tigre davanti.

Non era poi così terribile, nonostante il mio istinto di balzare alle spalle della nostra guida si facesse a tratti acuto e pungente come sete nel deserto. Volevo masticarle le scapole.

«Cammineremo ancora per qualche ora, fermandoci solamente per mangiare» Disse September «Non appena il sole inizierà a scendere verso l'orizzonte cercheremo un rifugio per fermarci».

Nessuno rispose, ma tutti avevamo capito che i suoi ordini non erano da discutersi.

Il sole era alto in cielo, le nubi lo incorniciavano pallide contro un azzurro che non vedevo da tanto tempo. Nell'aria regnava un profumo dolce, delicato, gelido, in parte occultato dalla fragranza animale della tigre mannara. Lasciai che per un bel pezzo le mie zampe mi trascinassero, staccando il cervello quasi completamente. Ero nella modalità cacciatore, ma dovevo ugualmente stare attenta a non lasciarmi andare per non rischiare di ferire l'ultima arrivata nel gruppo.

Poi, d'improvviso, udii la voce di September. Mi giunse bassa e quasi soffocata, come se lui stesse affondando nella mia pelliccia, anche se in realtà mi era lontano di qualche centimetro e la sua testa era parecchio più in alto delle mie orecchie.

«So che le mie decisioni possono sembrarti avventate» Disse «Ma spero che con il tempo potrai capire. Inizio a credere nel destino in una maniera esagerata».

Le mie orecchie si rizzarono. Sentivo una specie di bruciore dietro la nuca, come se le parole di September fossero ancora persistenti e, materiali come un foglio di carta vetrata, mi sfregassero il collo. Accettavo quelle parole senza volerle accettare.

La vicinanza con la tigre mannara era del tutto contraria a quella che era la mia natura. Mi accorsi di seguire con bramosia il profilo delle sue spalle possenti, la sagoma chiara della testa morbida, il collo levigato nelle quale desideravo affondare le zanne. Mi sembrava quasi di poter sentire il calore della sua pelle deliziosamente scura. Volevo accarezzarla con la lingua, raccogliere il suo odore felino, poi entrare con il muso dentro la sua carne, sentirla contrarsi per il dolore, sentirla contrarsi così forte da spezzarle le ossa.

Eppure riuscii a resistere. Serrai le zanne, sentii il sapore aspro della bile in bocca e poi più nulla.

Anche il cacciatore dormiva, da qualche parte in fondo a me, mentre lentamente riemergevo dalla mia parte oscura. Ecco, ecco il mio lato mistico e forte, oltre la bestia incontrollata che squarcia e ne gode.

Il licantropo non è solo un mostro, in fondo.

Sfregai il muso contro la gamba di September, lentamente. Lui rallentò ancora e mi sorrise. Aveva capito.

Era riuscito davvero a domarmi. E ciò non mi faceva provare né dolore, né umiliazione.

Lo ammiravo, il suo coraggio, la sua volontà, la sua dolcezza. Era il primo essere umano che mi stesse davvero simpatico. L'unico essere umano che avessi mai amato. Chi era lui per riuscire a mantenere la pace fra il cane e il gatto, considerando che il cane e il gatto erano due mostri mutaforma? Sicuramente era un personaggio più che leggendario.

Mi sentii fiera di viaggiare con lui e di avere il compito di proteggere il suo corpo fragile.

September iniziò a parlare sottovoce, ma rivolto evidentemente sia a me che a Sharazad

«Non avevo mai sentito parlare delle tigri mannare come qualcosa che esiste davvero. Sono un simbolo, nulla di più che un simbolo d'oro applicato alle leggende dove la magia è la componente che spadroneggia. Al contrario dei licantropi, le tigri mannare non compaiono quasi mai nella letteratura dell'orrore e mai nei film di questo genere. Sono un simbolo di trasfigurazione, un'allegoria dell'uomo che può dominare prendendo le caratteristiche del predatore più forte di tutti. Ho sentito parlare di loro solo in veste di elementi fantastici, allegorie da decifrare e scavalcare per conoscere il contenuto reale del testo. Ma se loro sono vere... allora tanti degli studi che la nostra categoria ha ultimato sono errati. Se le tigri mannare non sono solo personaggi fantastici, come le fatine brillanti o gli gnometti armati di ascia, ci sarà da rivedere un bel po' di storia della magia. Credo che quando arriveremo in Calabria dovrò parlarne con il consiglio, con i maghi più importanti, i sovrintendenti di questa zona geografica» si interruppe un istante e si fece pensoso.

Guaì per avvertirlo che stava per sbattere contro un ramo di mandorlo, ma lui mi guardò e impattò ugualmente con la guancia contro il legno. Ridendo si abbassò e passò oltre, massaggiandosi la faccia con l'indice e il medio, in brevi movimenti a spirale

«Beh, capita a tutti, no?» mi disse.

Scossi la testa. A me non capitava mai.

La donna tigre non rise né lo redarguì, piuttosto voltò un istante la testa a guardarlo con occhi tanto neutri da sembrare morti. Ma che razza di creature erano davvero le tigri mannare? Di loro sapevo che erano in competizione alimentare con noi, che anche loro si trasformavano, che mi facevano venire l'acquolina in bocca e che probabilmente non erano forti come i veri licantropi, ma nulla di più... dove vivevano, sempre se quello che avevo davanti non era l'ultimo esemplare esistente della specie? Come si comportavano? Come si relazionavano fra di loro, come parlavano? Cosa mi spingeva a considerarli nemici mortali, quasi al pari dei vampiri, ma certo molto meno repellenti e più gustosi? Vivevano a lungo? Se no, quanto vivevano?

Non mi ritrasformai nella mia forma umana solo perché sapevo che ci sarebbe stato September a porre tutte quelle domande che mi ronzavano nel cervello al posto mio. Lui era curioso anche più di me, dovevo solo aspettare che iniziasse a parlare a ruota libera.

Camminammo ascoltando il nostro silenzio a lungo. Mi sembrava una di quelle scene dei film fantasy leggendari. Cos'è un fantasy se non c'è alcun viaggio da percorrere? Sembrava proprio che la mia vita fosse diventata il libro scritto da un quattordicenne: un infinito vagabondaggio in mezzo ai pericoli. Solo che, nella maggior parte dei casi, un quattordicenne non avrebbe creato un eroe che mi somigli. Di solito gli eroi dei libri sono giovani, forti, maschi e soprattutto buoni.

Così ero l'antieroe, protagonista di un libro che già allora mi ripromettevo di scrivere. Non mi capacitavo di come fosse possibile che io, un mostro, avessi imparato a scrivere. Qualcuno saprebbe spiegarmelo? Che razza di vita avevo fatto prima di incontrare September, oltre a quella in cui probabilmente vagabondavo insieme a una famiglia con una spiccata propensione all'assassinio o allo sterminio di massa?

Fu September, come sempre, a rompere ancora il silenzio

«Penso che mangiare sia una buona idea, che ne dite?».

La donna tigre si fermò di colpo, tenendo le mani sulle bretelle dello zaino, ritta e ancora più grande di quanto ricordassi. E non che non la vedessi da molto tempo...

«Procurerò io il cibo di cui abbiamo bisogno» Disse, con una sicurezza che mi fece fremere di indignazione. Il compito di nutrire September era unicamente mio. Ringhiai.

Il giovane mago ridacchiò, portandosi il pugno chiuso davanti alla bocca, poi fece finta di tossicchiare per schiarirsi la voce

«Credo che l'onore di procurarci il pranzo spetti a Furiadoro» chiarì.

Sharazad annuì

«D'accordo, non c'è alcun problema... fermiamoci, per ora».

Così loro si fermarono e io andai a caccia. A dire il vero mi turbava un po' lasciare September da solo con quella donna sinistra, ma confidavo che Cuscino lo avrebbe protetto fino al mio arrivo nel caso in cui il giovane mago fosse stato assalito.

L'odore del gregge di pecore passato di lì da pochissimo mi saltò al naso più o meno immediatamente. E che lupo sarei se non avessi approfittato di quella ghiotta occasione?

Penso che una pecora sarebbe bastata come pranzo, perciò mi proposi di sceglierne una che sembrasse sana e bella in carne, ucciderla e squagliarmela. Seguii la traccia correndo. Non ci fu alcun bisogno di rimettere a terra il naso, la scia lasciata da un gregge intero è così forte che permane a lungo nell'aria. Così sbucai in una pianura verde e grigia piena di animali tanto ricolmi di lanugine arruffata e bianchiccia da sembrare palle di cotone sporco. Strano, nei film e nei cartoni animati le pecore non erano così. Ma mi fecero comunque venire l'acquolina in bocca e ringraziai il cielo per il bel tempo che aveva donato al pastore la possibilità di portare al pascolo tutte quelle costolette d'agnello ambulanti.

Discesi rapidamente, senza dovermi spostare, con la doppia fortuna di non essere sotto vento e quindi di non fare percepire il mio odore a quegli ottusi animali. In qualunque caso dubitai che dopo avermi percepito fossero riusciti ad evitarmi, ma cercai comunque di evitare di spaventarli troppo. Al galoppo, assolutamente felice, giunsi a neppure una decina di metri da quei ruminanti carnosi quando all'improvviso percepii un altro odore, un effluvio che fino ad ora era stato coperto dal troppo più forte lezzo degli ovini.

Non ebbi il tempo di identificarlo che una macchia nera e ricciuta, grande quasi come un lupo, si abbatté contro il mio fianco con forza sufficiente da abbattermi. Dei denti mi sfiorarono il fianco, cercando di squarciarmelo, ma fui più rapida nel sottrarmi e nel rialzarmi in piedi.

Ciò che vidi di fronte a me fu un animale nero, grosso, enorme. Mi ero sbagliata, non era grande quasi come un lupo, era grande come un lupo. Vigoroso, eppure non giovane, era maturo quanto bastava per sapere cos'ero. Aveva già combattuto prima d'ora, lo vedevo dal suo corpo segnato, dalla parte sinistra del suo muso slabbrata. Era un ammasso di ricci color inchiostro, gli occhi di un colore a metà fra il grigio scurissimo e il marrone guscio di nocciola, una gobba di pelo e muscoli fremente. E in quegli occhi che ne avevano passate tante vidi sorgere un odio primordiale. Normalmente i cani odiano i licantropi, ma se quello che avevo davanti era, come immaginavo, un cane da pastore, allora il suo era più che una semplice avversione: era il dovere di proteggere il lavoro degli uomini dal lupo. Le sue labbra si sollevarono e un ringhio vibrò attraverso la sua gola possente. Mi si scagliò contro, fremente, le fauci spalancate, i denti pronti a scattare come tagliole. Lo evitai senza troppa difficoltà, poi mi abbassai con il ventre a terra e serrai le zanne sulla sua zampa anteriore destra, così forte da spezzargli l'osso. Lui lanciò un acutissimo guaito e tremò forte, ma parve non volersi arrendere. Non era stato creato per arrendersi. Di colpo compresi che gli uomini lo avevano educato secondo la legge del bastone, lo avevano colpito per piegarlo e ci erano riusciti. Era più resistente al dolore di quanto avessi mai creduto. E poi non avevo mai visto prima di allora un cane come lui.

Si chinò verso la mia testa e le sue zanne mi afferrarono un orecchio. Mi divincolai, ma lui non lasciò. Vidi le pecore che iniziavano ad allontanarsi belando e la sagoma lontana di un uomo che correva verso di noi. Sentiva i nostri ringhi, il nostro verso di battaglia. Dovevo fare in fretta, non volevo uccidere un altro uomo. Non era necessario richiamare l'attenzione su di noi. Non volevo fare passare dei guai a September.

Niente tentativi di intimidire. Solo uccidere. Sentii la forza scorrere nei miei muscoli, scariche di adrenalina mi riscossero e attraverso i miei occhi si fece tutto più chiaro.

Tirai più forte che potei per liberarmi e sentii di lasciare qualcosa nelle sue fauci. L'orecchio. Il cane mi aveva strappato un orecchio eppure non sentivo dolore. Non ancora, almeno.

I suoi occhi incontrarono i miei, giallo nel colore del legno, poi ciò che vidi fu il rosso. Il rosso del sangue invase la mia vista mentre affondavo il muso nel suo collo, mentre sentivo le sue ossa che si spezzavano e il dolore non esisteva, c'era solo la fame, la fame del lupo, le pecore, il cane moribondo e l'uomo.

Non avevo paura di niente.
Vidi il corpo ricciuto e massiccio dell'animale che si accasciava al suolo, rantolando nei suoi ultimi istanti di vita. Feci per voltarmi. Poi qualcosa si abbatté sulla mia schiena e mi fece strisciare a terra.

Mi girai, pronta a squarciare la gola dell'uomo, ma quello che mi schiacciava a terra era un altro cane. Mi trovai con il muso puntato contro il suo e le sue zanne mi strapparono via un pezzettino di pelle da sopra il labbro, poi iniziarono a lavorare sulla pelle intorno alla gola, sporcandomi di rosso. Ruggii come un leone mentre lo catapultavo lontano usando le zampe. Lui si rialzò convulsamente, una montagna di pelo lurida e incrostata di terriccio, poi mi si gettò addosso. Era la fotocopia dell'altro che avevo ucciso, solo con meno cicatrici. Non sapevo dire se questo fosse un buon segno.

L'uomo era sempre più vicino, vedevo con la coda dell'occhio il suo bastone che sventolava per cacciarmi. Forse avrei dovuto fuggire. Ce l'avrei fatta, ero troppo veloce e troppo forte perché il cane riuscisse a trattenermi. Ma l'orgoglio della bestia, unito alla sua fame, mi rendevano invincibile. Non era stata tanto forte la fame finché non avevo sentito l'odore della carne e del sangue caldo. Ma ormai avevo assaggiato.

Sogghignando, mi sollevai sulle zampe posteriori e poi mi abbattei di petto sul cane, schiacciandogli al suolo la testa. Lui si divincolò e corse via, l'erba volò sotto le sue zampe. Ringhiai, poi spalancai la bocca e ululai, senza riuscire a trattenermi. Il cane ritornò all'attacco. Le sue zanne si mostrarono enormi e gialle di fronte ai miei occhi, le vidi avvicinarsi a velocità vertiginosa verso il lato destro della mia testa. Era come se non le potessi evitare, come se fossero troppo veloci ed io bloccata lì, ma era solo un'impressione sgradevole. Neppure mezzo secondo dopo incontrai il suo muso, ma erano i miei denti a penetrare senza remore nella sua carne, attraversando gli strati di pelle e di carne per ledere i muscoli. Tirai forte, ruppi la cartilagine del muso, gli strappai il naso di netto. Il cane emise un verso disperato, qualcosa che non avevo mai sentito, l'effigie del dolore più totale. Dovevo avergli fatto non poco male. Si allontanò di corsa, spandendo sul terreno un liquido rosso scuro.

Sentii una voce che urlava minacce e che bestemmiava, un timbro sconosciuto, roco e nasale insieme, come il rintocco di una campana d'acciaio in una grotta. Poi mi voltai e vidi l'uomo. Era alto pressappoco quanto due September uno sull'altro, vestito così rozzamente che pensavo esistessero esseri come lui solo nei cartoni animati. Aveva i capelli grigi scuri, gli occhi così infossati da sembrare due buchi nella carne rugosa, il mento largo e l'ossatura spessa, pesante. Sembrava incredibilmente forte per essere umano e stava per cercare di uccidermi. Immaginai che non fosse una cosa buona.

Mostrai le zanne e retrocedetti rapidamente. Lui articolò parole che non compresi e mi raggiunse comunque, assestandomi una sonora bastonata sul dorso. Mi piegai, sentendo scricchiolare le ossa, e mi ritrovai petto a terra e con le zampe posteriori completamente raccolte sotto il corpo, mentre quelle anteriori erano distese in avanti. Un'altra bastonata mi raggiunse sulla sommità della fronte e mi rotolai su un fianco, appena un po' tramortita. Ebbi l'impressione di stare fingendo a vantaggio della teatralità o qualcosa di simile.

Ciò che vedevo era, più o meno, lo stesso paesaggio, ma con un mucchio di neve che cadeva. Nessun umano, da solo, mi aveva mai fatto quello che era stato capace di fare questo pastore.

Mi fece male pensarlo. Forse avevo perso colpi? Stavo diventando più debole, a causa dell'addomesticamento? O a causa del fatto che erano mesi che non vagabondavo alla ricerca di prede? La sedentarietà mi stava indebolendo.

Ma non per questo un uomo solo avrebbe potuto battermi.

Era ora di diventare demoni.

Evitai il bastone che ancora una volta calava su di me, poi mi fermai, immobile. Di nuovo il colpo calò su di me ed io rimasi perfettamente immobile. Non mi tramortiva, era tutta un'impressione. Non sentivo nulla. No, nulla che potesse ostacolarmi, solo un lieve bruciore in cima alla testa, dove il cane mi aveva strappato un orecchio. Il sangue mi colava in un rivoletto molto fluido attraverso la fronte, poi scendeva di lato e si spostava sul collo, in mezzo alla pelliccia, solleticandomi in maniera tanto leggera da sembrare uno sfiorar di piuma.

Il pastore continuò a colpirmi. La sua forza era abbastanza da farmi barcollare, da spostarmi, ma non mi faceva male. La mia finzione cadde e capii che avrei dovuto farla cadere molto prima. Le mie fauci si spalancarono spontaneamente e spontaneamente serrarono il bastone, spezzandolo in due con la semplicità con cui si possono rompere gli ossicini del petto dei polli.

Il pastore indietreggiò imprecando così coloritamente che le sue parole non potrebbero essere riportate senza che il lettore non sia colpito da una punta di sdegno. Il mio sorriso ferino, quello che altro non è se un ringhio malcelato, si allargò ancora fino a trasformarsi in un abbaiato sordo. Sentii le mie ossa scricchiolare. Le pecore iniziarono a correre da tutte le parti, sentivo il loro scalpiccio che si faceva incessante e fitto come lo scrosciare dell'acqua di una cascata. I miei denti si serrarono d'improvviso mentre la saliva iniziava a schiumare dietro di loro.

Il pastore brandì il moncone del bastone, ma glielo strappai di mano con un morso e lo gettai lontano dietro di me. L'uomo mi guardò determinato, serrando le labbra in una linea dritta.

Un pastore? Sembrava che nel cuore albergasse uno spirito guerriero. Non mi lanciai contro di lui, come il mio orgoglio mi ordinava di fare, ma lo aggirai e iniziai a correre dietro alle pecore. Lui si voltò e mi artigliò i fianchi con le sue enormi mani ruvide e callose, cercando vanamente di conficcare le unghie troppo corte nella mia carne. Era coraggioso da parte sua cercare di abbattere un lupo a mani nude... ma avevo la vaga impressione che lui non sapesse che ero un lupo e mi vedesse come un cane randagio che cercava di rubargli le pecore.

Mi voltai e in un istante le mie zanne graffiarono il suo volto, strappandogli un brandello di pelle. Lui mi avvinghiò con ancora più convinzione, pesante com'era riuscì ad abbattermi. Stavolta cercai di essere più convincente e divincolandomi riuscii a squarciargli un braccio. Lui urlò, la sua voce fu un lamento disarticolato, unico, quasi lupesco. Mi lasciò e io corsi verso le pecore. Non pensavo che fosse così difficile procurarsi il cibo da queste parti!

Lo sprint iniziale mi portò immediatamente addosso ad una delle mie prede. Le zanne affondarono nel suo muso e glielo strapparono. La pecora cadde a terra, agonizzante, con mezza testa mancante. Potevo vedere il cervello, le mie zanne le avevano rotto il cranio con una frattura secca e quasi perfetta, una cesura che anche per un bisturi sarebbe stata difficile da ottenere, ma la pelle era un ammasso di roba orrendamente frastagliata e rossa intensa. Addentai la gola della pecora e iniziai a trascinarla verso il posto dove September e Sharazad mi aspettavano. Dubitai che September avrebbe sopportato a lungo lo spettacolo di quella mezza decapitazione brutale, perciò mi ripromisi di staccare del tutto la testa della preda non appena avessi avuto un attimo di pace.

Il pastore mi si avvicinò ancora. Non era messo tanto meglio della pecora, ma mi voleva ancora uccidere. Era orrendo, con la faccia a brandelli e il bicipite aperto dalle mie zanne, ma non barcollava, mi veniva incontro con fare minaccioso, sollevando i pugni e urlando. La sua bocca mi parve un orribile cavo rosso sangue e i suoi occhi scuri erano altrettanto bestiali. Solo un dio o una bestia sopportano tanto dolore senza fermarsi.

E dubitavo che quello fosse un dio. Allora ricordai gli ammonimenti di September riguardo agli umani.

Era vero, gli umani erano anche peggio dei lupi. Lo avrei ucciso, la sua violenza non si sarebbe tramandata ai posteri, avrei stroncato almeno un'altra possibilità di tramandare quei geni nemici dei lupi.

Dopotutto quella era la mia missione.

Sollevai le labbra. Lui mi veniva ancora incontro, senza capire contro chi doveva combattere. Non avevo mai visto un uomo tanto stupido e tanto cocciuto.

Mi spinsi in basso con la testa, gli azzannai una caviglia e corsi in avanti, ribaltandolo. Sentii la sua mole sbattere contro il mio dorso e me lo scrollai di dosso senza lasciargli la gamba. Sentii il suo terrore crescere, la sua carne, a contatto con la mia, iniziava a fremere come se brividi convulsi di freddo la avessero assalita. Lasciai la gamba e gli balzai sulla schiena, premendo le zampe sulla parte superiore delle spalle, guardando i vestiti e i muscoli che prendevano la forma che desideravo prendessero, quella delle mie unghie e dei cuscinetti. Chinai la testa lentamente. Sapevo che lui sentiva il mio respiro e che ne aveva paura. Doveva averne paura, era giusto che la natura facesse il suo corso. Sapeva che se si fosse mosso lo avrei ucciso. Ma non sapeva che sarebbe avvenuta la stessa cosa anche se fosse rimasto immobile. Respirai per qualche secondo, secondo che parve infinito, la sua aspra fragranza di sudore e di sangue, poi disserrai lentamente le zanne. Sfiorai il suo collo, con le labbra percepii le punzecchiature dei suoi corti capelli ispidi e unti, come pelliccia di un cane selvatico, e infine richiusi rapidamente la bocca. Spezzai le vertebre che i miei canini incontrarono, tranciai la carne come se fosse fatta appena di carta. L'uomo sussultò in preda a orrendi spasmi muscolari, cercando ancora una volta di fuggire. Strinsi la presa e affondai lentamente, dolcemente, come se quello fosse un bacio. Entrai dentro di lui, muovendo ritmicamente le zanne, tranciando, ledendo, infine ogni forma di movimento cessò.

Lo annusai ancora per qualche istante, poi recuperai il corpo della pecora, addentandolo poco sotto la testa mezza tranciata, e lo trascinai via. Quando fui in cima alla collinetta, mi detti da fare con i denti per distruggere quello che rimaneva dei monconi cartilaginei della testa dell'ovino, poi ripresi il mio viaggio.

Quando giunsi nel posto dove September e Sharazad si erano accampati, li trovai che parlavano seduti per terra, uno a gambe incrociate, l'altra con le gambe distese in avanti. September spostò il suo sguardo su di me. Ciò che vidi nei suoi occhi mi spaventò per la sua intensità. Era terribile, paura, dolore forse. No, più dolore che paura. Non capivo il perché. Forse era il sangue? Il sangue lo spaventava? Ed io ne ero ricoperta. Indietreggiai, lasciando per terra il corpo della pecora. September mi tese una mano

«No» disse, con voce rotta da qualcosa che non riuscivo a decifrare.

Mi fermai, poi, lentamente, iniziai ad avanzare verso di lui. Sentivo di dover essere cauta, perché era vero che lui era lì di fronte a me, ma era tale l'orrore che leggevo nei suoi occhi da aver l'impressione che sarebbe scappato al primo movimento brusco.

La donna tigre non si muoveva, ma la mia attenzione era concentrata solo in minima parte su di lei. Io ero lì per September, e September mi guardava sconcertato, tendendo la mano, mentre accanto a lui Cuscino sembrava guaire di sorpresa e disperazione insieme. Poi September si sollevò sulle ginocchia e mi cinse il capo con le braccia.

D'improvviso mi accorsi che non aveva paura di me, ma aveva paura per me. Dimenticavo di aver perso un orecchio. September passò il dito vicinissimo al bordo della ferita, lentamente.

Rabbrividii, cercando di rimanere immobile. Sentii la sua voce sussurrare pianissimo. Il contatto era così caldo, dolce, intimo, che anche sotto tutto quel sangue che scorreva e si gelava nell'aria del pomeriggio invernale, mi sentii ribollire.

«Come ti è successo?».

Guaii. Avrei voluto poter parlare, da un lato, ma dall'altro desideravo di non dover mai raccontare che per procurarci un pasto avevo dovuto battermi con due cani ed un uomo, uccidendo anche quest'ultimo. Non sarei più stata degna di fiducia.

Non piangevo il mio orecchio perduto, prima o poi si sarebbe rigenerato, anche se dubitavo alla grande che non sarebbero rimasti segni. Solo che September, probabilmente, non sapeva che un orecchio lasciato in bocca ad un cane non è una gran perdita.

September serrò le labbra, poi sentii un formicolare ai bordi della ferita che sembrava avere a che fare proprio con la magia. Non è una cosa che si può spiegare facilmente, diciamo che è una specie di effervescenza scintillante che scivola sulla pelle.

E poi sopraggiunse la sconvolgente consapevolezza del quantitativo di potere che September avrebbe dovuto usare per guarire la mia ferita, come in effetti stava tentando, senza usare alcun rituale. Sarebbe svenuto e non si sarebbe mosso per un bel po'.

Di nuovo mi ritrassi, ringhiando, e scuotendo vigorosamente la testa. Il flusso di magia si interruppe istantaneamente e September mi guardò come chi guarda la propria cena che tenta di assalirlo, non con terrore, ma piuttosto con un'ottusa confusione. Capirete il mio sconcerto: September non era mai ottuso.

Mi sedetti sulle zampe posteriori e inclinai appena la testa dal lato dell'orecchio mancante. Il sangue mi scese lungo la guancia, dandomi l'impressione di un nastro che mi accarezzava.

September serrò di nuovo le labbra e per un attimo ebbi l'impressione che si stesse mordendo la lingua, perché i muscoli delle sue guance si contrassero in maniera quasi spasmodica e la mascella parve sporgere. Poi parlò di nuovo, sempre in tono dolce e preoccupato

«Tu sei senza dubbio l'essere più pazzo e masochista che io abbia mai visto, ma se questa è la tua volontà... almeno lascia che te lo fasci».

Scossi di nuovo la testa e mi ritrassi ancora, pentendomene. Volevo il suo calore e il suo odore, mi consolavano dopo la battaglia e lenivano il dolore, sebbene sembrasse strano. Set sollevò il labbro superiore in una smorfia

«Dimmi almeno che c'è qualcosa di sovrannaturale che ti impedisce di farti curare».

Annuii e lui parve appena un po' più rilassato. Beh, aveva capito in fretta.

Si rimise al posto. La donna tigre mi guardò con diffidenza, scoprendo i denti per un istante talmente fuggevole che se fossi stata umana probabilmente lo avrei preso per un semplice tic. Ma non ero umana, capivo il suo messaggio, anche se avrei scommesso fosse involontario. Non avrebbe mai e poi mai minacciato me con convinzione, volontariamente.

September mi cinse le spalle con un braccio, posandomi la mano sopra la testa, le dita in prossimità della ferita. Sharazad staccò immediatamente lo sguardo da sopra di me per rivolgerlo, cordialmente, sul giovane uomo. September rispose con un altrettanto cordiale sorriso

«Mi stavi dicendo di te che vieni dall'india, non è così?»

«Esatto, dalla regione del Punjabi»

«Deve essere un bel posto, ho letto parecchio sull'argomento. E come sei finita, esattamente, per fare la soldatessa?»

«Non è facile spiegarlo, ci vorrebbe troppo tempo. Non è stata una vera e propria scelta, come dire, non è successo da un giorno all'altro. Ero piccola, molto piccola, quando iniziai a desiderare di girare il mondo. Forse, non lo so, fui influenzata dai miei fratelli... iniziai a credere che non esistesse niente di meglio, al mondo, di fare il soldato. Tutte le famiglie erano convinte che le loro piccole, le giovani donne, non meritassero assolutamente una carriera da militari, ma i miei genitori... erano molto diversi. Mi incoraggiavano. E così mi ritrovai a desiderare di essere una soldatessa, a desiderarlo con tutta l'anima e con tutto il corpo. Ero assolutamente convinta che non esistesse niente di più bello che arruolarsi per difendere la patria. Il fatto è che non ero neppure lontanamente patriottica. Non avevo idee di unione, non avevo neppure idea del fatto che qualcosa minacciasse la nostra regione. Questo è... difficile da spiegare, immagino. Come una cosa che mi hanno sempre detto, ma in modo velato. Poi passano gli anni, mio padre ha le conoscenze giuste, ed eccomi, sono dovrei avrei sempre voluto essere. Scopro che è vero che mi piace. Mi piaceva combattere, ma di più, insomma, molto di più la fratellanza. Era come avere una grandissima famiglia. Solo che ogni tanto moriva qualcuno... raccolsi da terra i brandelli di un uomo che consideravo come un fratello, si chiamava Oliver. Raschiai i pezzi della sua pelle con un rastrello per l'agricoltura, pur di staccarli dal terreno arido. Ma dicevo... beh, è così che lasciai la mia casa, ed è così che diventai una soldatessa».

September sembrava masticarsi la lingua, ma smise per commentare

«Sembra davvero una storia da raccontare» disse, interessato, senza smettere di accarezzarmi la testa «Potremmo scriverci un libro, che ne pensi?»

«Penso che non dovrebbero conoscere la mia storia» d'improvviso lei si ritirò di nuovo, come quando la avevo scoperta, come se fosse ferita davvero e avesse paura «Nessuno deve sapere di me».

September ridacchiò, incredulo

«E perché mai?»

«Non voglio che sappiano di me. Nessuno... nessuno deve sapere che esisto. Non ho neppure un vero nome, i miei genitori non... e poi... e poi mi darebbero la caccia. Cercherebbero di annientarmi. Sono un mostro, capisci?»

«Ah» il giovane mago parve deluso, le sue sopracciglia, da sollevate e tese che erano, si rilassarono insieme ai muscoli della fronte «Pensavo di averti fatto capire che essere "fuori dal coro"» e mimò perfettamente le virgolette piegando le dita a mezz'aria «Non significhi affatto essere mostri. Ma su una cosa hai ragione! Se i tuoi nemici, chiunque essi siano, venissero a sapere di te... insomma, fa molto più comodo che sappiano che sei morta. A proposito: loro pensano che tu sia morta?»

«Mi hanno ferita» Sharazad si strinse nelle spalle e si abbracciò da sola, come per proteggersi «Perdevo moltissimo sangue, sono riuscita a scappare lo stesso, ma sì, possono anche pensare che io non ce l'abbia fatta. E spero che pensino così per sempre».

Respinsi indietro un ringhio di indignazione. Se fossi stata al suo posto, cosa che non volevo assolutamente essere, avrei aspettato per tornare in forma e poi... poi mi sarei inventata qualcosa per vendicarmi. Di sicuro i miei nemici avrebbero avuto ancora notizie di me. Probabilmente avrebbero saputo della mia esistenza vedendo un fiume rosso che scorreva verso di loro e un brillio di zanne e zac! Eccomi a gustarmi la mia vendetta. Amavo le vendette principalmente per la possibilità di leggere la paura negli occhi di colui su cui mi vendicavo. Sapevo già che sarebbe stato un brivido delizioso ricordare il male che mi avevano fatto e farglielo subire moltiplicato per dieci, assaporando lentamente il mio odio e il loro panico. Ma questa è una cosa che capiscono meglio i mostri come me e forse Sharazad non era davvero un mostro. Dopotutto September aveva sempre ragione, o no?

Sharazad ricominciò a guardarmi, stavolta fissandomi spudoratamente. Dopo qualche secondo tese una mano verso di me. Sollevai le labbra, pronta a ringhiargli un ammonimento, ma lei capì e si ritrasse prima.

«E tu?» mi chiese «Tu chi sei?».

La guardai negli occhi. Qualcosa in fondo alle sue pupille si mosse, rintanandosi. Paura? Non avrei saputo descriverla altrimenti, ma sentivo che non era pura. Sharazad abbassò il capo.

September ci interruppe

«Vogliamo cucinare?».

Io annuii e mi sdraiai su un fianco. Dopotutto il mio lavoro era finito, ora toccava a loro.

Lasciai che il mio corpo scivolasse in un torpore dolce mentre September si affaccendava a rovistare alla ricerca di pezzi di legno.

Non so quanto tempo passò prima che mi sentissi il fiato sul collo, ma a me non parvero più di una dozzina di secondi. Non mi mossi, per quanto l'istinto comandasse di voltarmi e sfigurare l'essere che aveva osato avvicinare così tanto le labbra alla mia nuca.

Con la vaga impressione di soffocare e un respiro pesante che mi scompigliava i peli, sentii parlare la voce familiare della donna tigre, ma con un tono che non conoscevo ancora

«Ascolta, figlia della luna» disse «Ora so chi sei. Ora so cosa vuoi. Ti cercavo, ma tu hai trovato me. Sembra impossibile che tutta la fatica che io abbia fatto si sia tramutata in un nulla di fatto e poi, quando ero più vulnerabile, mi hai scovata. Forse è vero quello che diceva mio padre, che le cose si trovano solo se non si cercano. Mi manda Paul Hersen, dice che tu lo conosci. Mi manda a dirti che non devi odiarlo. Lui non ce l'ha con te, non ce l'ha mai avuta con te. Dice che devi proteggere September. Dice che lui ha trovato un modo... Non chiedermi per cosa, non lo so. Mi ha detto solo di riferirti che lui ha trovato un modo e che vi aspetta entrambi. Non so dove, perciò non me lo chiedere. Paul ha detto di dirti anche che se dovesse accadere che September muoia, anche tu morirai. Era una minaccia. Morirai se il giovane mago morirà».

Non ringhiai ne mi voltai. Non feci nulla. Non ero scioccata, no, niente di simile. Solo non mi veniva in mente niente di utile da fare o da dire, anche perché dubitavo che mi avrebbe capita.

Sentii il fiato sul collo che si affievoliva nell'allontanarsi, poi nel mio campo visivo entrò uno dei piedi di September, calzato nella sua scarpetta da ginnastica comoda e colorata. Il calore mi irradiò poco dopo la parte superiore del cranio, così vicino che quasi pensai di prendere fuoco, e compresi che il giovane mago era riuscito ad accendere un fuoco. Tuttavia la percezione, dopo i primi vividi momenti, mi parve sempre più lontana e sfuocata. Avevo assoluto bisogno di riposare, non perché fossi immensamente stanca, ma per altri motivi che in quel momento mi sfuggivano. Così chiusi gli occhi e mi lasciai andare.

Ciò che sognai non lo ricordo, ma quando aprii di nuovo gli occhi avevo come fissa in testa l'immagine delle zanne di una tigre che si disserravano verso di me.

Mi tirai su lentamente, incespicando nelle mie stesse zampe e con una specie di capogiro piuttosto fastidioso, simile a quello che si può provare quando si è colpiti da una forte influenza. Lo sapevo perché quando ero stata più giovane la avevo presa ed ero rimasta a trascinarmi e ciondolare con il mal di testa per giorni. Non ricordavo come lo avessi preso, né il motivo esatto, ma in quel momento mi parve di ricordarmi tutte le malattie della mia infanzia.

E credetemi, non è una bella cosa.

Sia September che Sharazad avevano in mano le forchette e dei piatti di plastica, ma non vidi cibo che li riempisse, se non qualche residuo, qualche briciola, di carne arrostita. La piastra di metallo che aveva ospitato le fette di carne giaceva per terra, sopra un mucchio di pietre e sotto di essa splendevano le braci ancora infuocate. La pecora era stata ripulita con perizia delle interiora, che erano state accumulate poco lontano e che Cuscino stava masticando tranquillo. Barcollai verso di lui, che mi fece spazio, e mi diedi da fare anch'io. Avevo fame, sapevo di aver bisogno della carne.

September mi guardò con un sorriso curioso, increspando appena appena le labbra, poi ebbi l'impressione che i suoi occhi fossero puntati sopra la mia ferita all'orecchio. Sentivo che la pelle mi prudeva in quel punto, eppure non mi misi a grattarmi. Sapevo che avrei distrutto la crosta sottile e gli strati di pelle nuova che si stavano formando.

Iniziai a mangiare con voracità, finché non sentii qualcosa che mi piombava accanto. Spostai lo sguardo e vidi un grosso pezzo di carne, guarnito di grasso, cotto a puntino. Lo annusai e iniziai a mangiare anche quello. September rise di me, ma così deliziosamente che non potei lamentarmi. E comunque lamentarsi non sarebbe servito a niente.

L'unica cosa sbagliata, in tutto il quadro, erano gli occhi arancioni della donna tigre fissi sul mio collo. Aveva paura di me, ma ebbi l'impressione vividissima che avrei dovuto ricambiare il sentimento.

Una donna tigre, un messaggero di Paul Hersen. Perché non temerla?


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