Più di quanto tu sappia ♦ Tem...

By svetlavly

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L'amore è come un dipinto dalle mille sfumature. Non è corretto fermarsi all'accezione più comune del termine... More

1.Checked Shirt
2.Loser
3.Azzurro contro Verde
PERSONAGGI
4.Batte forte il cuore
5.You Kissed Me
6.Segna per me
7.Fiocchi di neve
8.Frozen atmoshpere
9.Mi dai la forza
10.Questione d'istinto
11.Feel Good
12.Più di un segnale
13.Non ne vale la pena
14.Quasi una famiglia
15.La sua storia
16.Rischi e Regali
17.Fireworks
18.Try, Try, Try
19.Strano
20.Rimorsi e Bugie
21.Delusione
22.Essere carini
23.Shy boy
24.Anni di silenzi
25.Forse non ci crederai
27.Devi dirglielo
28.Un po' di sano stalking
29.Tutti tranne te
30.Il meglio sei tu
31.Finalmente
32.Convocazioni particolari
33.Nient'altro che la verità
34.La Cura
35.La partita della vita-EPILOGO

26.Telefonate importanti

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By svetlavly

Felipe si alzò dal letto, preso dal panico. Neanche riusciva a tenere il cellulare in mano, tanta era l'agitazione che l'aveva pervaso completamente. Lesse il testo della mail per una decina di volte, analizzando ogni parola, ogni frase, ogni concetto. Suo fratello l'aveva trovato. Anche lui ci aveva provato a cercarlo, ad informarsi, ma non gli era mai stato permesso di ricavare informazioni da documenti vari, sebbene sopratutto durante l'inizio della sua adolescenza l'avesse voluto ardentemente. Si era arreso quando gli erano stati imposti dei divieti specialmente dalla sua assistente sociale per preservare la privacy del fratello.


Felipe l'aveva odiata, aveva trovato l'intera situazione ingiusta, perché nessuno meritava di subire una separazione così drastica dalla sua famiglia. C'erano stati momenti della sua infanzia in cui si era sentito incredibilmente solo, nonostante avesse Carl e Line al suo fianco. Non gli mancava la sua vita nelle favelas, lì a New Cross era pieno di amici, giocattoli, viveva in una casa pulita ed andava a scuola. Ciò che gli mancava era suo fratello e i suoi cugini con i quali aveva passato i quattro anni più brutti della sua esistenza, ma con cui era riuscito a confortarsi nel sudiciume della loro baracca, sebbene avessero avuto tutti e quattro pochi anni di esperienza per sapere cosa fosse brutto e cosa bello nella vita. Eppure, loro lo sapevano benissimo.


Tornò a sedersi sul letto, abbandonando il cellulare ancora fermo su quell' e-mail che, ne era sicuro, gli avrebbe cambiato la vita. Non poteva essere uno scherzo, la fotografia che Tìago aveva allegato ne era la prova lampante. Lo scatto ritraeva un ragazzo di diciannove anni, la pelle ambrata come la sua, gli occhi verdi luminosi, i capelli castani, un po' più scuri dei suoi, la forma del viso leggermente più allungata, ma quegli occhi chiari proprio come i suoi. Non poteva che essere suo fratello, avevano lo stesso sangue, non si vedevano da quindici anni ma Felipe riconobbe immediatamente quelle iridi così simili alle sue, che l'avevano accompagnato nelle avventure peggiori della sua vita.

Sforzandosi, riusciva ancora a percepire la sensazione di freddo sulle piante dei piedi non appena era entrato nella bracca in cui viveva ed aveva visto i corpi dei suoi genitori giacere esanimi a terra. Flash nitidi di momenti confusi, delle mani di Vovò Julia che spingevano lui, Tìago e i loro cugini per strada, le urla di altri passanti, la confusione, poi la corsa a perdifiato fino all'orfanotrofio.

Osservò il cellulare, lo prese in mano, se lo girò tra le dita, poi lo sbloccò di nuovo.

Il testo della mail era lì davanti ai suoi occhi, lo rilesse ancora, poi esitò sul numero di cellulare indicato. Era arrivato il momento di prendere una decisione e non aveva intenzione di consultare l'opinione di nessuno.

Cosa avrebbe detto a suo fratello? Come avrebbe esordito? "Ciao, ho letto la mail, sono tuo fratello, quindici anni non sono poi così tanti per perdere di vista una persona".

Rimase per qualche minuto in contemplazione dello schermo del cellulare, poi prese una decisione, forse una delle più importanti mai fatte prima d'ora, e lo chiamò.

Mentre il telefono squillava fece un conto mentale delle ore di fuso orario che dividevano Parigi da Rio. In quel momento, in Brasile erano le sei e mezza di pomeriggio, un orario normale per ricevere una telefonata.

"Sim, quem fala?", rispose una voce squillante dopo qualche istante. Felipe sentì il cuore sprofondargli nello stomaco, aprì la bocca ma dalle sue labbra non uscì alcun suono. Quello dall'altra parte del telefono era suo fratello.

"Alò? C'è qualcuno?", chiese ancora, stavolta alzando un po' la voce. Felipe sentiva che a breve avrebbe attaccato e non poteva permetterselo, perché non sapeva se avrebbe avuto il coraggio necessario per chiamarlo di nuovo. Deglutì, cercando di attenuare l'ansia che lo pervadeva completamente.

"Tìago...", disse soltanto, incapace di proseguire.

Dall'altra parte del telefono, suo fratello rimase in silenzio per un po'.

"Meu Deus...Felipe?", domandò incredulo il diciannovenne. Felipe sentì dei rumori metallici, poi il suono distinto di una porta sbattere.

"Si, sono io", rispose, ovviamente in portoghese, non del tutto sicuro che Tìago conoscesse l'inglese. Si morse il labbro inferiore mentre l'ansia continuava a divorargli lo stomaco.

"Non ci credo, io-io non so che dire. Prima che mi chiamassi avevo milioni di cose da dirti ma ora...ora non so nemmeno da dove iniziare", farneticò. Le loro voci erano diverse: quella di Tìago più squillante rispetto a quella profonda di Felipe. Quest'ultimo non osò muoversi dal suo letto.

"Nemmeno io, sono incredulo, di solito non sono così silenzioso".

Tìago rise, una risata che sciolse un po' di ghiaccio dovuto all'imbarazzo, all'ansia e al nervosismo.

"Hai sempre parlato un sacco, ho pochi ricordi di quando eravamo piccoli, ma uno di quelli è di te che parlavi, parlavi e parlavi", disse.

"Pure te non eri da meno", constatò Felipe. Appoggiò la schiena contro la testata del letto, cercando di rilassarsi un po', anche se il silenzio che cadde da entrambe le parti non glielo permise. Adesso si sentiva a disagio.

Tìago si schiarì la voce tossicchiando appena. "Ehm, ammetto che sia abbastanza strano sentirti, però mi ha fatto piacere che tu mi abbia chiamato...cioè, mi ha fatto più che piacere, nemmeno riesco a descrivere come mi sento", sproloquiò suo fratello. Felipe annuì anche se nessuno poteva vederlo. Capiva benissimo la sua sensazione, perché era la stessa che provava lui. Era successo tutto così velocemente, la mail, la chiamata, non erano avvenute a nemmeno venti minuti di distanza l'una dall'altra. Felipe era sempre stato un ragazzo riflessivo, ma in quel caso aveva agito d'istinto perché vedere o anche solo sentire la voce di suo fratello era un desiderio che aveva avuto da sempre, era stato il suo desiderio espresso al compleanno, quando si soffia sulle candeline, per troppo tempo.

"Non ci credevo quando ho letto la mail, poi però ho visto la tua foto e ti ho riconosciuto subito".
"Sono più carino io di te, vero?", scherzò Tìago, cercando ancora una volta di alleggerire la tensione. Stavano parlando di tutto e di niente perché, in effetti, non sapevano nulla l'uno dell'altro e ci sarebbero voluti anni per recuperare il tempo perduto, sempre se fosse accaduto. La distanza era tanta, ma anche la voglia di conoscersi lo era.

"Non direi proprio", rispose a tono Felipe. Accennò un sorriso, mentre un rumore proveniente dal telefono gli fece intuire di aver ricevuto un messaggio. Allontanò il dispositivo dall'orecchio per controllare il mittente e si accorse che fosse Daniel. La partita era finita, il Tottenham aveva vinto contro la squadra di casa e il neo-diciottenne stava tornando in hotel accompagnato dal nonno. Il brasiliano sospirò, mentre lo stomaco gli si stringeva dall'ansia.

"Senti, è una situazione un po'strana, sono in un hotel a Parigi perché ho accompagnato un mio amico a visitare la città e adesso sta tornando qui...tra cinque giorni sono a Londra, ti chiamo con più calma e ci mettiamo d'accordo su c-come vederci lì, beh ancora non riesco a crederci, ma è l'occasione perfetta", disse velocemente. Temeva che da un momento all'altro il suo ragazzo entrasse nella stanza. Non voleva raccontargli tutto, non ora. Voleva tenersi questo avvenimento ancora un po' per sé. Aveva intenzione di metabolizzarlo senza l'aiuto di nessuno.

Quanti anni passati a domandarsi dove fosse suo fratello, parte della sua famiglia, ed ora che aveva avuto un contatto con lui, seppure breve, sentiva il suo cuore ardere di speranza, speranza di rivederlo.

Appoggiò il telefono sul comodino quandola chiamata terminò, poi fece appena in tempo ad infilarsi sotto le coperte, ancora incredulo, che Daniel entrò nella camera d'albergo, infreddolito ma eccitato per la vittoria della squadra inglese.

Aveva due strisce di colore blu e bianche mezze sbiadite sugli zigomi. Chissà chi gliele aveva disegnate.

"We are Tottenham, we are Tottenham, super Tottenham, from the Lane!", cantò ormai senza voce, levando un pugno in aria e spogliandosi del giacchetto. Felipe cercò di concentrarsi su di lui e di non permettere al proprio cervello di divagare troppo, ma non ci riuscì.Continuava a pensare alla voce di suo fratello, all'entusiasmo per averlo sentito parlare, al fatto che nel giro di un mese si sarebbero rivisti.

Daniel lo baciò, e Felipe non si sentì in difetto. Gli stava nascondendo una cosa importante, è vero, che però gli avrebbe detto più avanti. Voleva solo tenerselo un po' per sé.


 Il braccio di Nolan era appoggiato sulle sue spalle e Ryan non sapeva come sentirsi al riguardo.
Avevano cenato seduti lì, davanti al televisore al plasma che occupava gran parte della parete, attingendo di tanto in tanto dalle buste di carta in cui era contenuto il cibo che gli era stato consegnato da un fattorino dai tipici tratti orientali.

Gli spaghetti alla piastra non erano poi così male, così come i ravioli al vapore.

Nolan cercava di mettere il suo ospite a proprio agio, ma Ryan non riusciva a credere di poter piacere a qualcuno, sebbene le intenzioni del diciannovenne dai capelli biondi fossero chiare, così come lo era l'interesse per il diciassettenne dai boccoli arancioni.

Ciò che non era chiaro nella testa di quest'ultimo, erano proprio i suoi sentimenti.

Ryan non era mai riuscito ad affezionarsi a qualcuno velocemente, e conosceva Nolan da poco, davvero pochissimo tempo. Non era riuscito a farsi un'idea su di lui; era carino, sì, senz'altro, ma oltre a ciò? Non sapeva dirlo, parlare con lui non gli provocava nessun effetto, se non grande imbarazzo.

Percepì la presa sulla sua spalla stringersi e inclinò appena il collo per guardare negli occhi Nolan, che gli sorrise.

"Ti piace questo film?", gli chiese.
Ryan annuì, mentendo spudoratamente. Odiava i film di fantascienza, erano di una noia mortale.
"A me no, mi sta facendo venire sonno", confessò il maggiore. Sbadigliò per rafforzare il concetto.
"Che ne dici se...", esordì, poi si bloccò.

Ryan notò che si stesse mordendo il labbro inferiore, ma distolse lo sguardo quando si accorse che Nolan avesse rivolto la sua attenzione sulla sua bocca.
Tossicchiò appena, sperando di alleggerire la tensione creatasi.
"Se?", lo incitò. Niente, Nolan stava ancora fissando le sue labbra. Fu tentato di girarsi e interrompere il contatto visivo.

Si sentiva a disagio come mai lo era stato prima di quel momento. Come avrebbe dovuto sentirsi, felice? Non ci riusciva, nonostante Nolan fosse un bel ragazzo che, a quanto sembrava, provava interesse nei suoi confronti.

Le emozioni non possono essere pilotate, non spettava a lui decidere di sentirsi attratto dal diciannovenne piuttosto che da Eric.
Non era colpa sua se il suo insegnante di chitarra fosse un migliaio di volte più carino e gentile di Nolan.

Spalancò gli occhi, un po' sorpreso dall'improvvisa pressione delle labbra di Nolan sulle sue. Perso com'era nei suoi pensieri, a stento si era accorto dell'avvicinamento dei loro visi.
Stava dando il suo primo bacio in tutta la sua vita ad un ragazzo che, per di più, conosceva a stento. Eppure il suo cuore batteva forte...era questo ciò che si sentiva, quanto si baciava una persona?

Il calore delle labbra dell'altro ragazzo sulle sue, saliva, parecchia saliva, poi il solletichio lieve dato dalla lingua di Nolan nella sua bocca.
Ryan cercò di mostrarsi disinvolto, emulando le azioni del diciannovenne, ma risultò tutto troppo studiato, confusionario e imbarazzante, almeno dal suo personalissimo punto di vista. Non gli era piaciuto, per nulla.


Nolan si allontanò dalle sue labbra per un breve istante, passandosi una mano tra i capelli biondi. Probabilmente a breve lo avrebbe preso in giro per il suo pessimo modo di baciare ma come biasimarlo, non l'aveva mai fatto prima d'ora.
Tuttavia, Nolan non lo prese in giro. Sorrise appena, poi si avvicinò di nuovo alle sue labbra, sfiorandogli una guancia con la mano destra.

Ancora una volta, Ryan percepì il suo stomaco stringersi in una morsa dolorosa, ben differente dalla sensazione provata quando vedeva Eric. Era disgusto, forse?
Oppure Nolan gli piaceva davvero?
Possibile che non riuscisse ad interpretare i suoi sentimenti?

Dio,sono una completa frana...ma non può smetterla di frullare con quella lingua?

Nei film che trasmettevano il televisione, i baci scambiati tra i protagonisti non erano così voraci ed aggressivi. No, effettivamente a Ryan non stava piacendo quella situazione, ma non sapeva come uscirne. Teneva gli occhi chiusi perché anche Nolan aveva le palpebre abbassate, e cercava di dare allo scambio di effusioni un minimo di trasporto anche da parte sua.
Non sapeva nemmeno per quale motivo avesse ricambiato il bacio, perché Nolan, adesso ne era più che sicuro, non gli interessava.

Non osò neanche immaginare l'imbarazzo che sarebbe arrivato una volta terminato il bacio. Ryan si era stancato di avere la lingua invasiva di Nolan in bocca, sinceramente, quindi decise di porre lui stesso un freno alla situazione appoggiando una mano sul petto dell'altro ragazzo e facendo un po' di pressione per aiutarsi a discostare le loro labbra.
Dapprima, Nolan glielo lasciò fare. Quando fu abbastanza lontano da poterlo guardare negli occhi, però, lo afferrò per il polso e congiunse di nuovo le loro labbra, correndo con una mano a stringere il cavallo dei pantaloni del più piccolo.

Ryan fu colto di sorpresa da quel gesto che andò oltre ogni sua aspettativa e per qualche secondo non riuscì a reagire. Nolan interpretò quell'assenza di reazione come un'incitazione a proseguire, e tastò di nuovo la sua intimità. Mai nessuno lo aveva fatto prima di quel momento, ma ora Ryan capì.

Quella stretta allo stomaco non era dovuta alla cotta che si era illuso, quasi costretto, di avere per Nolan. Non gli era mai piaciuto, fin dal primo momento in cui gli aveva rivolto la parola. Allora come era finito a casa sua, su un divano? Come aveva potuto riservare il suo primo bacio ad una persona del genere che, dopo nemmeno una settimana che si conoscevano, prendeva iniziative del genere?

Ryan provò disgusto, così tanto che riuscì a liberarsi con un solo scatto dal corpo caldo del diciannovenne. Quest'ultimo lo guardò sorpreso, batté le palpebre un paio di volte.
"Che succede?", gli chiese seguendolo con lo sguardo: Ryan si era alzato e cercava con dita tremanti il cellulare nelle tasche dei jeans.
"M-ma che f-fai?", balbettò.
Nolan si strinse nelle spalle e mise su un'espressione incredula.
"Ehm, io sinceramente non capisco cosa ti sia preso". Sembrava sorpreso dalla reazione istintiva di Ryan, che si bloccò in mezzo alla stanza. Boccheggiò, ancora in preda all'imbarazzo ma ora, ancora di più, in preda al disgusto.

Non sapeva lasciarsi andare, non aveva mai saputo farlo e non me aveva mai avuta l'occasione.
"Io-tu! Nemmeno mi conosci e già vuoi mettermi le mani addosso, io non volevo q-questo", disse con un impeto di coraggio, puntandogli il dito contro e muovendolo in circolo.

Devi lasciarti andare, gli aveva detto lo psicologo. Non l'avrebbe fatto, non con Nolan. C'era una netta differenza tra il divertirsi e l'andare contro la propria volontà, e Ryan la conosceva bene.

Il diciannovenne drizzò la schiena, accigliandosi appena. Ryan trovò insopportabile il modo in cui aggrottò la fronte, come se non si fosse reso conto dell'inadeguatezza del suo gesto.
"Non capisco...hai ricambiato il bacio, pensavo ti piacessi",affermò.
Ryan abbassò lo sguardo e scosse la testa, incapace di dire altro.
Nolan sospirò, appoggiò i gomiti sulle cosce e continuò a guardarlo.
"Lo sai che non puoi fare così con tutti, vero?", proseguì il ragazzo più grande.
Quelle parole colpirono Ryan. L'aveva illuso, forse?

"N-non ho fatto nulla per illuderti, sei tu che sei entrato n-nella mia vita senza chiederlo e senza che io potessi fare nulla per evitarlo", si difese Ryan, stupendosi della sua stessa intraprendenza. Le parole erano uscite dalla sua bocca senza che se ne accorgesse, ma non era del tutto convinto della loro verità.

Nolan alzò i palmi delle mani in alto, come in segno di resa.
"È così che funziona quando vuoi provarci con qualcuno, sai?", ribatté. Adesso, nella sua voce c'era una punta di sarcasmo."Forse però non lo sai, se tendi a trattare così tutte le persone che incontri", aggiunse.

Ryan socchiuse le labbra ed arrossì non per l'imbarazzo, ma per la rabbia.
Assottigliò gli occhi.
"C'è una bella differenza tra il provarci con qualcuno e il mettere le mani addosso dopo la seconda uscita", rispose. Sentiva le mani tremare dal nervoso. "H-hai sbagliato persona".
Strinse tra ledita il giacchetto che aveva precedentemente recuperato dall'appendiabiti. 

"Tolgo il disturbo", aggiunse prima di sparire fuori dalla struttura. Nolan rimase immobile sul divano, sospirò quando la porta si chiuse con un tonfo sordo.

Ryannon perse tempo e, con il cuore in gola, si affrettò ad uscire dal cancello dopo aver trovato in pulsante per aprirlo dall'interno. Una macchina sfrecciò nella strada buia proprio davanti a lui.
Rabbrividì, stringendosi nel giacchetto, non aveva la più pallida idea di dove so trovasse. All'andata aveva guardato fuori dai finestrini, sì, ma senza prestare davvero attenzione al tragitto. Doveva trovarsi al massimo ad una decina di chilometri da casa sua, troppi da percorrere a piedi, nel buio e per di più da solo.

Di chiamare sua madre o Graham non se ne parlava proprio. Passò in rassegna i pochi contatti nella sua rubrica ed il suo dito indugiò su un numero. Chiamare Eric gli sembrò la cosa più opportuna da fare. Ignorò le voci che nel suo cervello gli consigliavano di lasciare perdere, perché magari il venticinquenne stava già dormendo, oppure era indaffarato, o semplicemente non aveva voglia di sentirlo, perché era l'unico che poteva tirarlo fuori da quella situazione scomoda. O almeno Ryan era convinto di ciò.

"Ciao!Tutto okay?", esordì il maggiore dopo qualche squillo. Ryan si sentì sollevato nell'udire la sua voce tranquilla.

"Sìma ehm-ho bisogno del tuo aiuto, se non ti disturbo, ovviamente...non voglio disturbarti, quindi se non-", s'incespicò nelle sue stesse parole, ma venne interrotto da Eric.

"Ryan,non mi disturbi, sono a casa a vedere un film che neanche mi piace, quindi dimmi tutto", lo rassicurò.

Ryan era troppo agitato per arrossire a causa delle attenzioni e della gentilezza della sua più grande cotta in assoluto.

"Potresti venirmi a prendere? Ero a casa di un mio amico, dopo ti spiego, però non so come tornare a casa".

"Sai dirmi il nome della via?", gli chiese Eric. Ryan mosse qualche passo sul ciglio della strada, ma non trovò nulla.

"Non c'è scritto, penso sia una strada provinciale, comunque adesso ti invio la posizione su Whatsapp". Si grattò la nuca. Eric lo congedò imponendogli di rimanere al suo posto e promettendogli che sarebbe arrivato in suo soccorso nel giro di qualche minuto.

Un'altra macchina sfrecciò davanti al diciassettenne, che ripose in cellulare in tasca per riscaldarsi le mani e sospirò. Sapeva che non avrebbe potuto evitare di vedere ancora Nolan, perché l'orario delle loro visite era ristretto, quindi era costretto a confrontarsi ancora con lui. Non era sicuro che il diciannovenne decidesse di ignorarlo, ma lui era pronto a difendersi pur di non ricadere nello stesso errore compiuto quella stessa sera.

Perché lo psicologo gli aveva detto di lasciarsi andare, ma spettava a Ryan decidere come e sopratutto con chi. Puntò lo sguardo sula strada vuota, su quell'asfalto percorso ogni giorno da migliaia di automobili.

Eric, dove sei?


Ciao a tutti!

Che dire...Nolan è nato proprio per incasinare le idee di Ryan, e devo dire che c'è riuscito perfettamente. Spero che da questo capitolo traspaia la confusione nel suo cervello: cerca di convincersi che Nolan gli possa piacere perché pensa di non avere speranze con Eric, ma si accorge che non può farselo piacere, quindi prova disgusto, rimorsi e pentimento. Ryan è sempre stato un personaggio molto profondo, non che gli altri non lo siano, però in lui ho cercato di approfondire meglio il tormento interiore che lo affligge. Spero di esserci riuscita fino ad ora... 

Grazie mille se avete letto fino a qui, alla prossima,

Lavy.

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