The Mask | Paulo Dybala

By itssimy

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La storia di un compleanno, e di un regalo inaspettato che le cambierà la vita per sempre. La storia di uno s... More

Cast
1. Sorprese che non ti aspetteresti... beh, altrimenti che sorprese sarebbero
2. Quando tuo fratello fa stupidi scherzi e non gli interessa più vivere
3. Bella questa maglia sporca, la posso avere?
4. Telefoni rotti e altre belle cose
5. Quando rischi di schiaffeggiarti da sola in pubblico
6. Fette di prosciutto davanti agli occhi
7. Ecco cosa succede quando ti dimentichi di caricare il telefono
8. Ragionare con un altro tipo di cervello, se capisci che intendo
9. Vuoi fare una pazzia? Ti sei rivolta alla persona giusta
10. Piccoli errori di calcolo
11. Non ci fare caso, sto solo morendo d'imbarazzo
12. Tutorial su come sembrare stupida in tre semplici mosse
13. Passare inosservati? Lo stai facendo nel modo giusto
14. Mettimi alla prova
15. Ogni buona confessione ha bisogno di una birra
16. Perché tutti mi guardano? Ho qualcosa in faccia?
17. Dammi un pallone e ti dirò chi sei
18. Nooo, papàà, non mi stressare
19. Certe cose devono andare male e basta
20. Risvolti interessanti e problemini ingombranti
21. Oh, questo? È solo il rumore del mio cuore in frantumi
22. Beh, se aspettiamo che sia l'uomo a fare il primo passo...
23. Torteria Belirc-Brelica-Berlicrab- al diavolo, non lo so dire
24. Quando vai più tu allo stadio che i calciatori che ci giocano
25. Sì, mi va proprio di mangiare - aspetta, un amaebi-sashi-cosa?
26. Cene che capitano tutti i giorni, insomma
27. Cosa cavolo è appena successo
28. Quando sei un idiota fatto e finito
29. Nell'occhio del ciclone
30. Occhio per occhio, prezzemolo e finocchio
31. Momenti imbarazzanti e dove trovarli
33. La malvagia strega dell'ovest
34. Sotterrare l'ascia di guerra? Io l'ascia te la do in testa!
35. Ora resterò qui, ad origliare, fate pure finta che non esisto
36. Spero che il karma ti prenda a pugni prima che lo faccia io
37. Perdersi e ritrovarsi
Epilogo - La finale

32. Quando scopri un angolo di Polinesia nel cuore di Torino

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By itssimy

Ascoltate la canzone al momento giusto! Vi obbligo lol



Capitolo 32
Quando scopri un angolo di Polinesia nel cuore di Torino







«Sul serio non conosci Bolder Beach?» Paulo le chiese, un accenno di ilarità nella voce.

Adua lo guardò, spostandosi via dagli occhi i capelli che il vento le aveva sferzato in faccia. La sera prima, quando la ragazza era tornata a casa, Paulo l'aveva chiamata per invitarla ad uscire il giorno dopo. Adua aveva accettato di slancio, prima di potersi fermare a riflettere su cosa significasse il fatto che uscissero di nuovo insieme, ma non se n'era pentita: gli aveva promesso del tempo per aggiustare le cose e gliel'avrebbe dato, quindi non aveva senso rifiutarsi di vederlo. Quando aveva accettato però non sapeva se le cose tra loro sarebbero mai tornate come prima, o se ogni volta che l'avesse visto un'atmosfera imbarazzata sarebbe calata su di loro, come la sera precedente a cena. Sperava vivamente di no.

«No, non la conosco. Ma già il fatto che si parla di spiaggia a Torino mi fa ridere» rispose, il braccio a ciondoloni fuori dal finestrino dell'auto.

Il ragazzo aveva chiuso la chiamata la sera precedente con un laconico "mettiti il costume", e quello era bastato a mandare Adua in panico. Un costume? Sarebbero andati in piscina? Era una cosa divertente che non le capitava di fare molto spesso, eppure l'idea di stare in costume davanti a lui bastava a metterla in imbarazzo. Che poi era un pensiero assurdo, considerando che lui l'aveva già vista mezza nuda, ma la cosa positiva di quel momento era che non ci aveva dovuto pensare più di tanto, l'aveva fatto e basta. Forse era quello, il segreto.

«Ti assicuro che una volta arrivati lì ti dimenticherai di essere a Torino.» Le sorrise, spostando la mano dal cambio dell'auto alla sua coscia. Adua non commentò il gesto, segretamente godendosi quell'intimo tocco sulla pelle scoperta.

«Ma com'è che io sono di Torino eppure tu conosci molti più posti di me?» chiese, ironica.

«Infatti a volte mi chiedo chi tra i due è lo straniero, qui» la prese in giro.

«A-ha. Se ci pensi in realtà non ci saremmo mai dovuti incontrare. Viviamo nella stessa città, ma frequentiamo posti diversi.»

A quelle parole Paulo spostò lo sguardo dalla strada per fissarlo sul suo volto. «E invece siamo qui. Riesci a crederci?»

«Certe volte no» mormorò a bassa voce, osservando la strada che scorreva fuori dal finestrino.

Bolder Beach non era proprio quello che si sarebbe aspettata da una piscina in città, su questo Paulo aveva ragione. Il signore nel gabbiotto d'ingresso diede loro i biglietti per entrare, consegnando a Paulo la chiave della stanza che aveva prenotato insieme all'ombrellone – alla parola "camera" un brivido corse lungo la schiena di Adua.

Bolder non era una semplice piscina comunale, era un vero e proprio resort di lusso alla periferia di Torino, e questo bastò a far capire ad Adua il perché non lo conoscesse. L'imponente cancello d'ingresso dava su un viale di terra battuta abbastanza grande da contenere due corsie automobilistiche, e ai suoi lati enormi palme esotiche proiettavano la loro ombra sull'acciottolato. Delle frecce direzionali in legno piantate nella terra indicavano i bungalow alla loro sinistra, e la spiaggia con il bar alla destra; il termine "spiaggia" non la fece più ridere, stavolta, perché davvero poteva aspettarsi di tutto da quel posto. Quando aveva varcato il cancello la sensazione che aveva avuto era quella di essersi teletrasportata in un villaggio turistico per ricchi sulle coste della Polinesia. Assurdo.

Paulo la prese per mano portandola verso sinistra, contando le casette di legno prima di trovare la loro, la numero 10. Perché mai avevano bisogno di un bungalow, poi? Adua aveva la domanda sulla punta della lingua, ma di nuovo quei brividi lungo le braccia le impedirono di aprir bocca; forse un po' lo immaginava, forse no, ma non aveva il coraggio di fiatare.

La casa era piccolina, sormontata da un grande tetto a punta e sorretto da due piloni che poggiavano sul piccolo portico; qui erano sistemati un divano e una sedia a sdraio ricoperti di cuscini bianchi dall'aria davvero comoda. Paulo aprì con la chiave l'enorme porta-finestra, scostando le vaporose tende bianche che celavano l'interno, per permettere ad Adua di entrare. La prima cosa che saltò agli occhi della mora fu il grande letto, decorato da una marea di cuscini bianchi e una coperta marrone; i colori richiamavano il resto dell'ambiente, dove il parquet sul pavimento e le canne e la paglia sotto al tetto coi loro toni caldi contribuivano a creare un'atmosfera rilassata. Un altro divano poggiava sotto la finestra che dava sul retro del piccolo giardino, e un paio di comodini e un armadio a muro erano tutto ciò che occupava la camera. Adua supponeva che la porta sulla parete di destra desse sul bagno, e incapace di trattenere la curiosità andò a vedere; anche qui la piccola stanza era un tripudio di legno caldo e soffici asciugamani bianchi.

Paulo aveva poggiato il suo borsone da calcio ai piedi del letto e la guardava con sguardo felino, attento ad ogni sua mossa. «Ho pensato che potremmo farci una doccia, prima di andarcene, quindi ho prenotato la stanza. Spero non ti dispiaccia.»

Adua scosse la testa. «Uhm, che dici, andiamo in spiaggia?» Non sapeva perché ma non riusciva a reggere il suo sguardo per più di un paio di secondi; come se non bastasse, sentiva le guance andare a fuoco. Patetica.

«Certo.»

Ripercorsero il sentiero a ritroso, accompagnati dal chiacchiericcio di tutti i clienti che ciabattavano verso il bar o la spiaggia; il sole picchiava forte, quella mattina, e più si avvicinavano all'acqua più la sincera contentezza batteva qualsiasi altra sensazione. Adua adorava nuotare, per quanto non potesse farlo spesso.

La sabbia fine le sporcò i piedi, e la ragazza spalancò la bocca: era come trovarsi in spiaggia alle Maldive, con le palme alte e i granelli di sabbia bianca che si attaccavano alle caviglie e l'acqua limpida e trasparente. La piscina, per quanto le facesse strano pensarla in quei termini, era una grande conca circolare dominata da una roccia piatta al centro, dove i bambini salivano per fare i tuffi; una serie di pietre e massi delimitavano l'area, separandola dalla spiaggia che invece era un tripudio di piante tropicali e ombrelloni di paglia. C'erano parecchie famiglie con i figlioletti, ma soprattutto tanti, tanti gruppi di ragazzi che Adua non avrebbe mai pensato di trovare lì; forse avevano trovato un buono su Groupon, o forse erano tutti ricchi figli di papà.

«Ti piace?» Paulo la osservava per leggere le sue espressioni.

«Se mi piace? Mi sembra di essere a Bora Bora. È bellissimo qui» rispose, un sorriso luminoso sul volto.

«Te l'avevo detto! Vieni, sistemiamoci sotto l'ombrellone.»

Il loro era il 10, esattamente come la camera, e vi posarono gli zaini. Paulo si sfilò velocemente le scarpe e la maglia, già pronto a tuffarsi, mentre Adua decise di stendere la sua asciugamano sulla sdraio, cercando di rimandare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto spogliarsi. Ecco che l'imbarazzo di prima ritornò.

«Non andiamo in acqua?» Paulo la guardò confuso, vedendo che Adua aveva ancora i vestiti addosso e si era seduta sulla sdraio.

«Pensavo di prendere un po' di sole, prima» borbottò.

Paulo fece il giro dell'ombrellone, posizionandosi a braccia conserte davanti a lei. «Il sole lo possiamo prendere dopo. Andiamo!» Adua fece per rispondergli a tono, ma le parole le rimasero impigliate in gola; i suoi addominali la distraevano, porca miseria.

L'argentino alzò un sopracciglio, avendo capito. «Che c'è, il gatto ti ha mangiato la lingua?»

«No. E stai davanti al sole» gli disse brusca.

Lui non si fece impressionare dal tono antipatico, continuando a sghignazzare sotto i baffi. «Non è che hai vergogna di farti vedere da me, vero?»

Adua incrociò il suo sguardo; si stava comportando da irragionevole. Perché si sarebbe dovuta vergognare? Non era mica perfetto, lui. Certo, aveva degli addominali da paura, e dei muscoli guizzanti sotto la pelle dorata, e degli occhi verdi penetranti che le facevano diventare le gambe come gelatina, ma non era un dio.

Ci si avvicinava molto, però.

«Non dire sciocchezze. Andiamo.» Con quelle parole si alzò il copricostume, una semplice camicia nera con le frange che le arrivava alle ginocchia, e lo gettò nella borsa prima di poterci pensare due volte.

Si diresse spedita verso l'acqua, ma quando si girò lui non era dietro di lei. «Che fai, non vieni?»

Paulo era rimasto immobile sotto l'ombrellone, di nuovo quello sguardo affamato negli occhi; scosse la testa e la raggiunse. «Non hai nessun motivo di nasconderti, Adua. Sul serio.»

La ragazza arrossì, ma finse di non sentirlo. Raggiunsero il bagnasciuga, e Adua lasciò che l'acqua fresca le lambisse i piedi. «È incredibile, sembra di essere davvero al mare. Grazie per avermi portato qui.»

Lui avvicinò la mano alla sua, sfiorandogliela, quasi cercando il coraggio di prenderla e intrecciare le dita alle sue. «Sono felice che ti piaccia.»

Un click di macchina fotografica li fece sobbalzare, e i due si girarono di scatto, notando un capannello di persone che li indicavano e avevano i cellulari in mano.

«Direi che neanche qui possiamo stare tranquilli» borbottò Paulo, mettendosi davanti a lei come a volerla coprire col suo corpo.

Adua sorrise. «Davvero pensi di poter andare da qualche parte senza essere riconosciuto? Dai, non pensarci. Fai finta che siamo solo noi due.»

Lui la guardò negli occhi e parlò con voce bassa e roca. «Questo non mi è difficile farlo.»

Adua arrossì – era tutta la mattina che lo faceva, doveva darsi una controllata! – ma non fece in tempo a rispondere che una voce li interruppe. «Ciao, scusate. Non è che possiamo avere una foto?»

Due ragazze poco più piccole di Adua si erano avvicinate, guardando con occhi adoranti il ragazzo al suo fianco; a quanto pare Paulo non faceva quell'effetto solo a lei. «Certo.» Lui sorrise, e le ragazze si scambiarono uno sguardo elettrizzato.

«Ve la scatto io.» Adua prese il telefono dalle mani di quella che aveva parlato, e aspettò che Paulo si posizionasse in mezzo alle due prima di scattare; le ragazze erano in costume, coi corpi seminudi premuti sui fianchi di Paulo, e una fitta di immotivata gelosia la punse. Era davvero patetica.

«Grazie mille!» le due quasi urlarono quando Paulo poggiò una mano sulle loro schiene per salutarle, e se ne andarono. Apparentemente nessuno più aveva intenzione di avvicinarsi a loro in quel momento, eppure Adua si sentiva come un pesce in un acquario: costantemente osservata. Cercò di non pensarci.

«Ci buttiamo ora, per favore?» Paulo le chiese con voce infantile, quasi pregandola. Adua rise, non facendoselo ripetere due volte.

«L'ultimo che arriva è Pepe Reina!» urlò correndo in acqua, tra le imprecazioni del ragazzo che era rimasto dietro.

«Ma sei diabolica!» La raggiunse ridendo, e i due iniziarono una battaglia di schizzi e urla da far invidia ai bambini accanto, che li guardavano con i braccioli in mano e uno sguardo quasi spaventato.

«Facciamo a gara a chi resiste di più?» Adua chiese a un certo punto; la bambina che era in lei si era risvegliata e pretendeva di fare a gara con Paulo, che se possibile era ancora più infantile di lei. Ovviamente vinse lui.

«Vieni sulle mie spalle.» Paulo si accovacciò, prendendola per le braccia.

«Okay, però non farmi cadere.» Adua riuscì a salirgli sulla schiena dopo un paio di tentativi e molte risate.

«Pronta?»

«Aspetta, pronta a cosa? Non buttarmi o ti ammaz–» Paulo la buttò, e quando Adua riemerse sputacchiando acqua lui ancora rideva.

«Ma sei pessimo, ti odio!» strillò, mentre Paulo la attirava a sé.

«Andiamo, so che non è vero.» La prese tra le braccia, facendola galleggiare sopra di lui.

«Ah, sì?»

«Mh-mh. Tu in realtà mi adori.» Fece scivolare le mani lungo i suoi fianchi, tenendola stretta.

«Quanta convinzione da parte tua» mormorò lei, la voce affannata e non sapeva neanche perché.

«Certo, perché so quello che dico.» Era il suo cuore che batteva così velocemente, o quello di Adua, che aveva il petto appoggiato al suo?

«Non credo proprio.»

«Allora provamelo» le sussurrò sulle labbra, fremendo per una sua reazione. Adua lo guardò negli occhi, prima di riabbassare lo sguardo all'altezza delle sue labbra, e lo baciò.

Paulo non le diede modo per ripensarci perché le cinse la vita con le braccia, attirandola sopra di lui, e lasciando che le loro bocche si assaporassero dopo tanto tempo in cui erano state separate. Era come un afrodisiaco, il potere che lei aveva su di lui.

Quando si staccarono Adua non riuscì a evitare di emettere un sospiro di contentezza; poi si spostò alle sue spalle e gli cinse il collo con le braccia, appoggiandosi alla sua schiena mentre galleggiava nell'acqua chiara. Sentiva il respiro di Paulo che mano a mano tornava ad essere regolare, mentre lui le accarezzava le braccia con le mani. Quel momento era così perfetto che pensava di essere in paradiso.

Dopo poco le iniziarono a venire i brividi. «Che dici, usciamo un po'?»

«Non ora.»

Adua mise il broncio. «Ma io ho freddo!»

Lui si voltò, in modo che potesse guardarla negli occhi, e la abbracciò. «Ed io ho un piccolo problema.»

Adua sussultò quando i loro corpi entrarono in contatto, un contatto molto ravvicinato e intimo. Parecchio intimo. «Oh.»

Paulo non sembrava avere intenzione di allontanarsi. Nascose il volto nell'incavo del suo collo, lasciandole piccoli baci. «Già. Hai visto cosa mi fai?»

Il battito di Adua iniziò ad accelerare, e sapeva che se non si fosse spostata due sarebbero state le possibilità: o gli sarebbe saltata addosso, al diavolo le conseguenze, o gli sarebbe saltata addosso. Quindi doveva allontanarsi. «Forse è meglio che esca prima io, e poi mi raggiungi.» Si districò da quel groviglio di braccia e gambe, con molto dispiacere di Paulo, e gli fece un sorrisino di scuse.

Quando Paulo la raggiunse sotto l'ombrellone, si sdraiò in silenzio sulla sua asciugamano; Adua gli lanciò un'occhiata di soppiatto, soffermandosi un po' troppo sulle goccioline d'acqua che colavano lungo il suo petto e sul suo costume – che ora sembrava non avere problemi, comunque. Quando rialzò gli occhi vide che lui la stava fissando, consapevole del suo sguardo famelico sul suo corpo. «Ti piace quel che vedi?»

Il brivido che colse Adua questa volta la costrinse a serrare le gambe, un piacevole formicolio scorreva tra di esse. «Molto.»

Paulo si alzò, l'atteggiamento sicuro di un predatore, e si andò a sedere accanto a lei sulla sdraio. Il braccio destro era poggiato dall'altro lato del suo corpo, come a rinchiuderla in una gabbia. «Da quando ti sei tolta la camicia non riesco a smettere di fissarti, Adua. – La ragazza non parlò, e lui ne approfittò per accarezzare con un dito il suo stomaco, i suoi fianchi, poi le cosce. Si fermò lì. – Perché serri le gambe?»

Adua quasi non riusciva a respirare. «I brividi.»

«I brividi?» Le sue dita indugiavano sul bordo del suo slip.

Adua annuì. «I b-brividi, in mezzo alle gambe.»

Paulo sorrise, un sorriso bramoso, e si inumidì le labbra con la lingua. «E cosa vorresti fare, a riguardo?»

Quello che Adua avrebbe voluto rispondere era "toccami". Ma nonostante il suo corpo lo stesse praticamente pregando, doveva essere più forte. «Forse una doccia. Sì, credo che andrò a farmi una doccia.»

A Paulo veniva da ridere. «Fredda?»

«Gelata.» Misero le loro cose a posto, pronti a ritornare nel bungalow. Adua non sapeva in cosa si stava cacciando, ma non ce la faceva a stare in spiaggia, osservata come un insetto al microscopio, quando dentro di sé sentiva un uragano di emozioni pronte a sopraffarla da un momento all'altro.

Una volta in camera occupò il bagno per prima, restandoci dentro almeno dieci minuti buoni; la fronte appoggiata alle piastrelle, l'acqua fredda che le scorreva lungo la schiena, e quel calore in mezzo alle gambe che non voleva saperne di andarsene. Decidendo che ulteriore tempo là dentro sarebbe stato inutile, si infilò l'accappatoio di spugna e uscì dal bagno.

«Posso?» Paulo la guardò, un sopracciglio alzato e un'espressione compiaciuta. Gliel'avrebbe volentieri tolta a suon di calci.

«È tutto tuo.» Il ragazzo si chiuse a chiave in bagno, e Adua si buttò a peso morto sul letto. Ora capiva perché Paulo le avesse chiesto di portare un cambio di vestiti, e si sarebbe cambiata, soltanto due minuti ancora...

L'argentino fu molto più veloce di lei in bagno, e quando uscì la trovò nella stessa posizione di prima, sdraiata a pancia in giù; si buttò accanto a lei, sulla schiena, e l'asciugamano in vita gli scese leggermente. Adua cercò di non guardare.

«Stanca?»

«Un po'. Credo che se chiudessi gli occhi mi addormenterei.»

Lui si girò di fianco, la testa appoggiata al braccio piegato, e ora i loro nasi si sfioravano. «Puoi farlo.»

«E sprecare il tempo che ho con te? No.» Cavolo, l'aveva detto davvero.

Lui sorrise, avvicinandosi ancora di più al suo volto. «E cosa vorresti fare, allora?» Non sapeva se guardarle gli occhi o le labbra, lo attraevano entrambi allo stesso modo.

Per una volta Adua spense il cervello. «Baciarti.»

«Fallo.» Come in acqua poco prima fu Adua ad avvicinare le labbra alle sue, e Paulo rispose smanioso al suo bacio. Le loro mani non riuscivano a stare ferme, e mentre lui le intrecciava ai suoi capelli lei si aggrappò alle sue spalle, graffiandogli la schiena con le unghie e mordendogli il labbro inferiore.

Paulo emise un gemito profondo, e con movimenti frenetici le sciolse il nodo in vita, liberandola dall'accappatoio; Adua lasciò che l'indumento le scivolasse da dosso e le cadesse alle spalle, esponendosi completamente a lui. Lui la guardava come se fosse l'ultima goccia d'acqua nel deserto, abbeverandosi di ogni singolo centimetro del suo corpo, e Adua si sentì incredibilmente bella e potente in quel momento.

«Cazzo, Adua» disse lui con voce strozzata, incapace di muoversi; Adua prese in mano la situazione, salendo a cavalcioni su di lui e continuando a baciarlo fino a che non le mancò il respiro. Paulo ribaltò la posizione, facendola sdraiare sulla schiena e lasciandole languidi baci sulla clavicola, e tutto quello a cui Adua riusciva a pensare era che voleva sentire il suo corpo sul suo, pelle contro pelle, in ogni singolo punto.

Con un movimento deciso gli sfilò l'asciugamano dalla vita e lo premette di più a sé, bramando quel tocco da quel momento in acqua; i gemiti di Paulo si fecero più profondi e Adua li assaggiò tutti, assaporandoli con le sue labbra e trattenendoli dentro di sé come un dono prezioso.

I movimenti di entrambi divennero più frenetici, entrambi su di giri dall'assenza di qualsiasi tessuto tra di loro, e i baci e le carezze decise di Paulo tra le sue gambe la stavano mandando sulle stelle. Sarebbe esplosa da un momento all'altro. Un barlume di consapevolezza superò la nebbia provocata dai movimenti di Paulo sul suo corpo, e si dovette far forza per spingerlo leggermente lontano da sé.

«Paulo, aspetta. Non voglio essere il passatempo di nessuno» mormorò, i respiri brevi e secchi.

Lui incrociò il suo sguardo e sotto quegli occhi Adua si sentì idolatrata come una dea: ogni sua carezza, ogni suo bacio lui glieli stava donando come segno di venerazione verso di lei, e si sentiva una stupida per aver dubitato anche solo per un momento le sue intenzioni. «Non potresti esserlo mai, Adua. Ma se non vuoi, giuro che mi fermo.»

No! Quell'idea era fuori discussione per Adua. «Lo voglio.»

Lui le sorrise. «Ed io voglio te, Adua. Soltanto te.»

Adua lo attirò prepotentemente a sé, facendo collidere ancora una volta le loro labbra e i loro corpi. Le carezze di prima l'avevano fatta impazzire, portandola lentamente sull'orlo di un burrone, ma ancora non bastavano. Voleva di più, voleva tutto di lui, anima e corpo.

Avrebbero iniziato dal corpo.

Sotto di lui la ragazza si muoveva spasmodicamente, sfiorandolo in tutti i punti più delicati, facendolo fremere ancora di più; quando Adua aprì completamente le gambe, pronta ad averlo, un ringhio profondo lo scosse. Paulo sarebbe impazzito da un momento all'altro, ed era la prima volta, non pensava fosse possibile. Ma d'altra parte Adua non era come tutte le altre.

Adua spalancò gli occhi e la bocca quando finalmente Paulo si unì a lei, caldo e pulsante tra le sue gambe, e lo stomaco si chiuse in una piacevole morsa; si aggrappò forte alle sue spalle, perdendosi nella dolcezza dei suoi movimenti, vagamente registrando che Paulo, la faccia sepolta nell'incavo del suo collo, stava mormorando qualcosa.

«C-cosa?» gli chiese, incapace di dire altro.

«Non ho mai avuto la forza di resistere, non quando si tratta di te, Adua» mormorò lui, e Adua per un attimo fu sorpresa dalla sua capacità di articolare una frase coerente in un momento simile, prima di lasciarsi travolgere dall'onda di sensazioni che minacciava di farla annegare in un mare di piacere.

Ben presto i suoi gemiti si unirono a quelli di Paulo e fecero da sottofondo ai movimenti del loro corpo, al rumore del petto di Adua che sbatteva contro quello del ragazzo, ai baci frenetici rubati in un momento di lucidità, ai respiri affannosi e spezzati. Paulo era al culmine, e stava trascinando Adua con sé.

Raggiunsero l'apice nello stesso momento, un'altra prima volta per entrambi, e Adua pensò seriamente che il suo corpo si sarebbe distrutto in mille pezzi sotto le spinte e le carezze di Paulo. Lo fissò in volto, osservando il suo viso contratto dall'ultimo spasmo di piacere, e la vista bastò a farla tremare di nuovo sotto di lui, costringendola a serrare gli occhi e a mordersi le labbra.

Ormai il silenzio era interrotto soltanto dai loro respiri affannosi ma Paulo non accennò a muoversi dalla sua comoda posizione, e Adua segretamente ne fu contenta. Il ragazzo respirava lentamente, mentre con le braccia la teneva stretta a sé; non credeva sarebbe più stato in grado di lasciarla andare, d'ora in poi. E non lo voleva nemmeno.

Il primo a spezzare il silenzio fu proprio lui. «Adua.»

Lei alzò lo sguardo, perdendosi in quegli occhi di cui si era innamorata già da tempo; lo stomaco le si attorcigliò. Aveva pensato quella parola senza rendersene neanche conto, e non ne avrebbe potuta immaginare una che calzasse meglio. Ormai aveva imboccato la strada da cui non c'era ritorno, e stranamente il pensiero non la disturbò.

«Dimmi.» Con le dita gli accarezzò dolcemente gli zigomi, e lui chiuse gli occhi e inclinò la testa verso la sua mano, come a volerne di più.

Quando li riaprì, Adua vi lesse il mondo dentro, e bastò a mozzarle il respiro. «Adua, io–»

«Ssh.» La mano si spostò sulle sue labbra, impedendogli di finire la frase. Non era quello il momento, non ora che c'erano ancora tanti punti interrogativi tra loro.

Lui aggrottò le sopracciglia, confuso. «Perché...?»

Lei scosse la testa. «Non ora, Paulo.»

«Non credo ci sia un momento migliore di questo.» Ridacchiò imbarazzato, sfiorandole il naso col suo. Adua si sciolse a quel gesto, ma non cedette.

«Fidati, quando il momento arriverà te ne accorgerai. E in quel momento saremo solo io e te» gli sussurrò, prima di sfiorare le labbra con le sue.

I due rimasero abbracciati a lungo, coperti dalle lenzuola fresche e profumate, e dopo un po' Adua sentì il corpo di Paulo rilassarsi contro il suo e il respiro farsi più regolare. Anche lei chiuse gli occhi, un sapore dolceamaro in bocca, chiedendosi con un sorriso com'era possibile toccare il cielo con un dito e allo stesso tempo raggiungere il fondo del baratro.


Spero che questo capitolo vi abbia emozionato come è successo a me scrivendolo. Lascio a voi i commenti. Scatenatevi! 🖤
E vi avviso, mancano 6 capitoli alla fine...

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