4. Telefoni rotti e altre belle cose

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Capitolo 4
Telefoni rotti e altre belle cose




Adua guardava fuori dal finestrino del treno, sfiorando distrattamente le frange della sciarpa che fuoriuscivano dalla sua borsa. Sapeva che era una cosa un po' strana, ma da quando era andata allo stadio a vedere la partita – esattamente otto giorni e tre ore prima, ma si rifiutava di contare anche i minuti – portava sempre con sé quella sciarpetta nera che il fratello le aveva comprato all'ingresso. Era come se fosse stata una sorta di portafortuna per lei, visto quanto era andata bene la partita, e soprattutto un simbolo del giorno più bello della sua vita.

Sapeva – sperava di saperlo – che non l'avrebbe portata in giro per sempre, ma al momento era quello che voleva fare, sentiva che era giusto così. E quindi si era limitata ad assecondare questa sua ossessione, chiudendo la sciarpa nelle borse o negli zaini che portava con sé e lasciandone casualmente fuoriuscire un lembo, come un monito a ricordarsi cosa c'era lì.

Arrivò puntuale alla stazione di Torino Porta Nuova, dopo quindici minuti, e cacciò il telefono dalla tasca leggendo il messaggio che le aveva lasciato Vanessa.

"Ti aspetto da Roberto, muoviti che ho fame!"

"Appena scesa. Arrivo"

Vanessa era la sua compagna di corso all'Università di Torino, dove entrambe frequentavano Comunicazione. Si erano conosciute grazie al cibo, ed era praticamente quella la chiave di lettura per conoscere la sua amica. Quel giorno Vanessa non sapeva che si sarebbero tenute lezioni fino al pomeriggio, ed era venuta in università senza soldi e senza cibo. I suoi occhioni scuri le avevano messo troppa tenerezza, quindi Adua le aveva offerto metà del suo pranzo, e da allora Vanessa la considerava praticamente una sorella.

Quel giorno avevano appuntamento da Roberto, il bar in piazza Castello dove erano solite andare a prendersi un caffè dopo i corsi, e la ragazza si era fatta promettere da Adua che avrebbe saputo tutto di martedì scorso. Per quanto non seguisse il calcio e non le interessasse la Juve, era davvero una grande amica quando si sedeva lì e ascoltava tutte le fantasie e i sogni ad occhi aperti di Adua, senza lamentarsi una volta. Era partecipe, si interessava alla conversazione, e qualche volta Adua si sentiva talmente in colpa di farle la testa quadrata di calcio che le lasciava la sua fetta di torta al cioccolato.

«Finalmente ragazza, iniziavano a crescermi i capelli grigi.» La salutò appena mise piede nel bar, sventolando il menù per farsi notare. Adua le si sedette di fronte, togliendosi la giacca e poggiando delicatamente la borsa accanto a lei, neanche contenesse qualcosa che si potesse rompere.

«Non la fare tragica, ti avevo detto undici e venti e che ore sono?» le rispose a tono, mostrandole vittoriosa l'orologio sul polso.

«Lo sai che se non mi lamento di qualcosa non sono io.» Chiamò una cameriera con la mano, e dopo che entrambe ebbero ordinato – caffè e crostata per Vanessa, succo all'ananas per Adua – cercò qualcosa nella borsa al suo fianco.

«Ti ho preso qualcosa per il tuo compleanno. Prima che tu dica qualunque cosa, è solo un pensiero.» Sventolò la mano davanti al volto, già sapendo cosa l'amica stava per dirle.

«Ti ringrazio, non dovevi proprio.» Adua aprì il sacchettino azzurro chiuso con un fiocco, facendosi cadere sulla mano i due cerchietti argentati che Vanessa le aveva regalato. Si sporse sul tavolo per abbracciarla, sostituendo subito i suoi punti luce con quegli orecchini che avevano visto insieme due settimane fa e nessuno delle due aveva potuto comprare.

The Mask | Paulo DybalaWhere stories live. Discover now