Urban Legends

By CactusdiFuoco

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[STORIA COMPLETA] Io sono Furiadoro e la mia esistenza è una sorta di... leggenda. Sono una donna lupo, una s... More

Prologo
L'inizio di un nuovo viaggio
Finto-Vampiro
Il sangue dei licantropi
Sospesa tra due mondi
Il corpo di un lupo
Il muso della ferocia
Di nuovo umana
Massacro di plenilunio
Ciò che mi ha dato la Luna
Una lupa tra gli umani
Il club degli animali
Incontro col mandante
La casa del mago
La routine della donna lupo
Everybody was Kung Fu Fighting
La ricompensa dei ratti
Cannibale
Il gabinetto pensatoio
L'omicidio di Mr.Mell
Illusioni di tempi andati
Licantropi for dummies
Una terribile bestia in abito elegante
Sebastian Barren
Cacciare cacciatori
Le risorse nascoste di un goldenwolfen
Un dottore immaginario?
Un dottore pazzo?
Un luminoso Sabato mattina
September Aster vs Franco Staretti
L'altra bestia d'oro
Tutti i mostri sono capricciosi
A caccia per vivere
Lupouomo
Violenza e mutazioni
Goldenwolfen
Il Natale anormale
Uno spettacolo di magia
Due mostri non possono scontrarsi senza conseguenze terribili per entrambi
Su Dio e sulla salvezza del genere umano
Lupo acromegalico
Primo intermezzo narrativo
September che parla a ruota libera
Una strana creatura trovata in un fosso
Sharazad
Un plenilunio con Cuscino
Fame di morte
Un nuovo autocontrollo
Il ritorno del cacciatore nero
E si aprirono le porte dell'inferno
Benvenuta nella tua tomba
In cui si ammazza una nosferatu
Conversazione con la Mater Inferorum
Un troll con vestiti nuovi
Santo Stefano di Camastra
Aldo, la bottega e l'uomo misterioso
Ci rivedremo in un'altra città
La Madre dell'Inferno
Solo un sogno in carne ed ossa
Lo squallore e la (gradita) separazione
Mack e Jack
L'orologiaio
Un vampiro diverso da tutti gli altri
Il portale di Miomarto
PARTE SECONDA
Un viaggio sabotato
La Città Senza Nome
Le Creature senza Nome
E il pericolo arriva anche sottoterra
Vampiri pazzi
Una foto di gruppo su una nave da crociera
Un vampiro addormentato su una nave da crociera
In comunione con il vampiro
Furio Dorati
Furio il supereroe
Un inganno riuscito
Quel che Lilith fece a Vlad
Vampiri con le mitragliatrici
Grande Crinos
Fullbeast mode
Intrappolata dalla magia
Di ritorno dall'Inferno
Mostri con le ali
I poteri "aldilà"
Un segno di Dio?
Finale di battaglia
Epilogo
Urban Legends #1: il mago e la donna lupo. Un ebook per voi!

Ritorno alla vita

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By CactusdiFuoco

No. No. No.

Non erano questi i miei piani, non era questo il modo in cui immaginavo di trionfare.

Un bip acuto mi trapanava le orecchie. Lo avevo già sentito da qualche parte, quando ancora non avevo provato il fuoco che ti brucia dentro le vene. Le mie orecchie ronzavano, ma la cosa più fastidiosa era quel bip di fondo, senza nessun altro suono. Solo lui, continuo, serrato, senza un attimo di pace, un singhiozzo lacerante, fatto di piccoli, brevi, acuti snervanti che mi sembravano andare avanti per l'eternità.

Bip. Bip. Bip.

Un rumore così penetrante da farmi impazzire. Era il suono di un abominio.

Aprii gli occhi, piano, piano... come due saracinesche, quasi ne sentii il rumore. Vidi tubi e fili in mezzo alle ciglia dorate, i bordi delle cose sfuocati.

Poi ripiombai nel mio profondo nero senza fine.

Non so quanto tempo passasse. Non sapevo più nulla, non capivo più nulla, non c'ero più.

Credo fosse quella cosa che chiamano coma, ma non posso esserne certa.

Bip. Bip. Bip.

Anni, forse mesi, forse giorni, chi può dirlo? Li passai a galleggiare nel buio.

Finché le mie orecchie non tornarono a sentire quel rumore. E avevo appena iniziato a percepirlo quando questo si spense di nuovo, non per colpa di me che ricadevo nel sonno, ma semplicemente sparì.

Aprii gli occhi.

La luce mi pizzico fastidiosamente le pupille e di scatto serrai ancora le palpebre. Mugolai, per saggiare le corde vocali. Il suono che scaturì era naturalmente basso e vibrato, niente di cui preoccuparsi.

Mi sarei anche permessa di ridere, non era una cattiva idea ed allungava la vita. Perciò iniziai.

Ad occhi chiusi, ridevo. Si, ero completamente fuori di testa, ma chi se ne importava? Ero felice di essere viva e di non sentire più il bip. Ero felice anche dell'odore di alcool che aleggiava nell'aria, visto che riuscivo a sentirlo. Ero felice del lenzuolo ruvido. Ero felice della mia voce, della mia risata altalenante che suonava malvagia, della capacità di muovere ancora le dita, delle mie unghie non del tutto regolari che mi conficcai nei palmi, nel pizzicore che ne derivò, della luce e del pulviscolo che turbinava in aria e che vedevo attraverso le ciglia.

E fui ancora più felice quando udii passi inconfondibili e affannati in ciabattine di resina che si avvicinavano a me. Girai la testa da un lato e smisi di ridere, di colpo

«September» dissi, aprendo gli occhi.

Lui mi guardò con un'espressione indecifrabile a metà fra il terribilmente felice e il felicemente terribile, poi mi si scagliò addossò, rischiando di farmi rotolare giù dal letto e abbracciandomi

«Fu ria do ro» singhiozzò, proprio dentro il mio orecchio destro.

Rimanemmo immobili così, il suo piccolo corpo caldo avvinghiato al mio, tanto fermo da sembrare uno straccio gettato, ed io un pezzo di marmo. Poi la mia mano si mosse verso la testa di Set e affondai le dita nella massa morbida dei suoi capelli scompigliati

«Che cosa c'è?» chiesi, a bassissima voce «Qualcosa non va?».

Lui stette un attimo in silenzio, il fiato caldo che mi scendeva lungo il collo, poi rise

«Niente, niente non va!» urlò, staccò la testa da me e mi guardò negli occhi come se li vedesse per la prima volta, con stupore infantile «Tutto va come dovrebbe andare e tu non sei morta, non sei morta!».

Rise ancora più forte, sussultando, e scosse la testa.

Io strinsi i denti fino a farli stridere

«Dovrei esserlo?» domandai ancora, cercando di sembrare rabbiosa, ma incapace di farlo di fronte a tanta gioia ed esuberanza

«No, si, non lo so...» September continuò a farfugliare monosillabi per un mezzo minuto buono, poi, con un'ultima raffica di risatine piene e cremose, di quelle che fanno bene al cuore e ti allungano davvero la vita, mi afferrò la testa fra le mani «Eri morta. Morta davvero per tre giorni. Attività cerebrale quasi azzerata. Il tuo cuore batteva, ma era così debole... eri morta, Furiadoro. E ora sei viva. E stai bene. Questo è...» scosse di nuovo la testa, sollevando le sopracciglia così tanto che gli scomparirono sotto la frangia «Incredibile»

«Non avevi detto che i Goldenwolfen sono teoricamente immortali?»

«Non proprio... e solo teoricamente, Furiadoro, solo teoricamente. Io non ci credevo, ma adesso... oh Dio, tu sei un carro armato» mi lasciò la testa e mi diede un frontino leggero, continuando a ridere.

Aveva ragione, c'era tanto su cui essere felici.

Mi alzai, prendendo letteralmente in braccio September, che mi scoccò un'occhiata che voleva sembrare furibonda, ma che non era neppure lontanamente tale. Io indossavo un asettico camicione bianco, molto in stile ospedale, anche se più da infermiera che da paziente, con i tasconi e una specie di cintura slacciata che somigliava, anzi era, più che altro una striscia di stoffa bianca.

Mi guardai intorno. Ero in una stanzetta che conoscevo bene, il piccolo ambulatorio veterinario del dottore Staretti. Annusando l'aria riconobbi l'odore dolciastro del profumo che si metteva addosso Lucrezia, poi quello muschiato di Cuscino e infine la fragranza ferrosa, predominante, di Blacky.

Non c'era nessun altro, neppure il dottore era presente, anche se la sua traccia olfattiva era comunque presente e niente affatto debole.

Non mi curai troppo di chiunque mi guardasse e mi diressi verso l'uscita.

Mi accorsi di essere debole, ma non abbastanza da non poter trasportare per il prato Set. Lui continuava a borbottare imbronciato, ma d'improvviso fu come se non lo sentissi più.

Fuori c'era il Sole.

Rimasi a guardare il cielo azzurro e luminoso con la bocca aperta, stupita, quasi commossa. La luce del Sole.

Mi sarebbe piaciuto tantissimo essere in un bosco, sapevo che in una giornata come quella la luminosità avrebbe creato splendidi giochi di luce filtrando dai rami e magari riflettendosi sulla superficie dinamica di un piccolo corso d'acqua, un ruscelletto come quelli che si trovano spesso nei boschi.

La volta sopra la mia testa era di un intenso celeste, qualcosa di primaverile. Invece eravamo ancora a Dicembre.

Impossibile, o incredibile, o semplicemente troppo bello per essere vero. Misi a terra September, e lui mi guardò sollevato. Probabilmente si preoccupava più per me e per la mia capacità di fare cose che richiedevano un certo sforzo fisico, piuttosto che di apparire ridicolo egli stesso.

Ma in quell'istante, la mia mente vagava altrove. Incantata dalla bellezza della vita, ho passeggiato lungo quello che mi parve il giardino dell'Eden, ho letto nella luce del sole poesie di lettere di pulviscolo, le ho respirate a pieni polmoni, fino a sentire satura ogni cavità di questi, sapendo che l'aria che respiravo era la stessa che passava per milioni di altre gole e di polmoni.

Viva!

Dopo aver sentito l'odore della morte, il profumo dell'erba bagnata, del muschio, della terra zuppa e torbosa, era come un balsamo delizioso, carezzevole, lieve.

Non è vero che il tormento dei vivi è atroce e quell'uomo che lo ha detto non era che una falsa vittima. Al diavolo Leopardi e il suo pessimismo cosmico! Doveva essere un uomo che non ha mai visto un giardino.

Non basta forse essere vivi, e all'aperto, per essere felici? Le possibilità di fare, di creare, di inventare, di giocare, sono pressoché infinite.

Mi appressai ad un intrico di rovi meravigliosi, osservando le loro piccole foglie che somigliano a quelle delle rose, ma più belle nella loro complessità e nella loro superficie ruvida, intaccata da strette linee dritte. Non c'erano more, ma rimasi comunque parecchio contenta nel vedere quella pianta.

Sentivo che io e i rovi avevamo un mucchio di cose in comune, oltre le differenze sostanziali.

Zoppicando lentamente, tornai da September. Gli afferrai il mento e gli sollevai il volto, delicatamente

«Ehi, maghetto» sussurrai, chinandomi un poco verso di lui «Grazie»

«E- e di che?» lui balbettò e, inaspettatamente, le sue guance divennero appena un po' più rosse «Solo il mio dovere»

«Dovere?» ridacchiai, togliendogli la mano da sotto il mento «No, non lo era. Ma tu» avvicinai un dito alla sua guancia destra, sfiorandola «Sei diventato tutto rosso. Non me lo aspettavo da te» mi tirai su, ma in compenso affondai la punta del dito nello strato di grasso e pelle vellutata «Sei sempre così ehm... così... »

«Esuberante?» suggerì lui, aprendo le braccia

«Esatto, esuberante!»

«Sai perché il sangue mi affluisce alla faccia?»

«Ehm...» ma certo che sapevo perché succedeva, non avevo certo letto libri per adolescenti senza capire cosa ci fosse scritto, ma era molto meglio indugiare e tenersi sul vago «No»

«Bene, è perché sono arrabbiato» mi afferrò il dito che premevo contro la sua guancia «Sono così arrabbiato con me stesso che ogni volta che penso a quello che ho combinato devo fare fatica per non mettermi a saltare e urlare. Ogni volta che ti vedo e penso a quello che ho fatto, devo trattenermi così tanto che lotto con me stesso, mi alza la pressione sanguigna e può capitare che mi scoppino i capillari».

Si, in effetti, ora che me lo faceva notare, il bianco dei suoi occhi era striato di un rosso sangue brillante. Ma a cos'era dovuta questa incontenibile rabbia? E come faceva lui a trattenerla? D'accordo, sapevo che era un ometto razionale, ma non pensavo che riuscisse a nascondere le proprie emozioni fino al punto di farsi saltare i capillari. Questa cosa mi faceva venire la voglia di scoppiare a ridere, da una parte, ma ad un esame appena più profondo faceva arrabbiare anche me. E non potevo certo mettermi a ridere e a ringhiare in una volta sola, quello significava sembrare pazzi, e sembrare pazzi a volte è ancora peggio che esserlo, in un mondo in cui apparire ed essere non sono poi così diversi.

«Perché?» Domandai, sorpresa

«Perché li ho lasciati andare, dannazione» tremò, poi chiuse gli occhi e mi lasciò il dito, lasciando ricadere mollemente le bracciai ai lati del corpo «Io... io...» stringeva i denti fra una parola e l'altra «Io... ho lasciato che quel vampiro fuggisse con tutte le informazioni necessarie. Sono venuti a raccogliere informazioni, lo sai questo, vero? E io avevo il modo per fermarli e l'ho lasciato andare. Hanno ucciso delle persone, maledizione!»

«Chi?» chiesi, probabilmente facendo una faccia interessata in stile colpevole

«Eugenio, Maria, Noah» elencò lui, mettendo su un'espressione perfettamente neutra per nascondere quanto doloroso fosse regalarmi quelle poche, scarne informazioni «Probabilmente non li conosci, quindi è inutile che...»

«Conoscevo Eugenio» annuii, per sottolineare il concetto «Penso fosse davvero un bravo ragazzo»

«Si, è perché lo era, se non consideriamo le ossessioni per i videogame sanguinosi» September cercò di scherzarci su, ma aveva la faccia di qualcuno a cui hanno tirato un pugno fra le costole «Comunque è andato. Ed è principalmente colpa mia»

«Perché?» sentii che le mie mani tremavano, non sopportavo le ingiustizie verso se stessi, erano cose da idioti «Perché dovrebbe essere colpa tua? La prossima volta che ti becco a mortificarti così io...»

«Questa è davvero... colpa mia» si infilò la mano nella tasca e ne tirò fuori qualcosa, stese in avanti il pugno e dischiuse lentamente le dita.

Mi abbassai un po' per guardare il piccolo oggetto posato sul suo palmo. Era una pallina, una comunissima pallina bianca. Pensai che fosse impossibile per September essere rimasto scioccato al punto tale. Doveva significare qualcosa, quella pallina, ma io non riuscivo a vederci niente.

«La sfera di luce» Disse lui, con voce sottilissima e una vaga ammirazione «Non è neppure vera magia, praticamente è chimica di alto livello. Se la avessi lanciata a terra... avrei abbagliato il vampiro e gli avrei reso impossibile utilizzare tutti i suoi sensi per cinquanta o sessanta secondi, il tempo necessario per conficcargli dritto in mezzo alla fronte il primo pezzo di ferro arrugginito che trovi per terra. L'arma più efficace contro di loro, in mancanza di incantesimi potenti o di zanne di licantropo. Sai...» i suoi occhi si socchiusero, io, quasi istintivamente, mi avvicinai a per proteggerlo, fosse anche da se stesso «... Sai, io ce l'avevo in tasca, quella sera. E non l'ho usata. Ce l'avevo in tasca» singhiozzò.

Gli sfiorai la guancia, in punta di dita, scorrendo sulla seta della sua pelle chiara

«Shhh» sussurrai, dolcemente «Può capitare a chiunque»

«Non sarebbe dovuto capitare a me, però»

«Non ti dirò che era destino, perché non ci credo. Ma posso dirti con certezza che qualcuno sarebbe morto quella sera, e forse è meglio che a uccidere siano stati i vampiri e non io»

«Tu?» un lampo di dubbio e di paura attraversò le sue iridi, racchiuse fra le sue palpebre semi calate «Tu non avresti ucciso nessuno. Lo so, ormai sei un licantropo con...»

«Non per colpa mia. I vampiri mi avevano stuzzicata troppo» scossi la testa con gravità «Set, se li avessi uccisi, la mia sete di sangue non si sarebbe spenta così facilmente. Tu non lo sai quello che i vampiri fanno al cervello dei licantropi. Se fossi riuscita a rimanere sveglia dopo averli uccisi entrambi, con il cervello in pappa che mi ritrovavo avreste dovuto spararmi. Per uccidermi»

«Allora...» ridacchiò, ma goffamente, una serie di piccoli gemiti che dovevano essere scambiati per ilarità «Forse è meglio che io sia così sbadato»

«Si, per me è senza dubbio molto meglio aver trovato un amico sbadato» gli afferrai la faccia fra le mani, con forza, e lo sollevai da terra per baciarlo su una guancia.

Praticamente affondai nella sua carne con mezza faccia, inspirando il suo odore umano solo in parte, prima di rimetterlo giù. Ancora non aveva perso il profumo di ambra bruciata che contraddistingueva la sua forma da plenilunio, quand'era un ibrido dalla deliziosa pelliccia rossa, ma fra qualche mese, probabilmente, questo sarebbe completamente scomparso.

Non appena fu libero, lui scoppiò a ridere, ma stavolta sul serio, con quel suono che ti faceva bene, come può far bene il rumore dell'acqua che scorre ad un uomo che da giorni cammina nel deserto.

«Wow! Wow! Wow!» Scosse la mano su e giù, come se gli facesse male «Allora è vero che gli uomini caotici sono quelli che piacciono di più!»

«Contaci, nanerottolo» gli assestai una pacca sulla testa, con forza sufficiente a piegarlo «Allora, smesso di biasimarti?»

«Non ci riuscirò mai, ma almeno non frignerò come una ragazzina sculacciata dalla mamma per il resto della mia vita» si passò un dito sotto il naso, poi incrociò le braccia con un gesto ampio e mi rivolse la spalla improvvisando una mossa hip-hop «Complimenti, donna lupo, hai fatto di me un vero uomo»

«A me serviva un vero lupo, dannazione» mi lamentai, schiaffandomi una mano in faccia per gioco

«Ah» lui si mise un dito sotto il mento, pensoso, con le pupille dilatate verso il cielo «Vedrò di risolvere. Giuro che mi inventerò qualcosa per trasformarmi»

«Di nuovo?»

«No, non un'altra maledizione. Sono sicuro che, se mi stai accanto tu, per me sarà una benedizione».

"Ruffiano" pensai, ma non lo dissi.

Ero felice, in maniera incommensurabile, incalcolabile. Cosa avrebbe potuto andare meglio?

D'improvviso September, come se qualcuno glielo avesse chiesto, si mise le mani dietro la schiena attaccò a cantare, con voce dolce e altalenante, una melodia carezzevole e che mi era in qualche modo familiare

«Col mio soffio di vulcano cancellerò

Il gelo di questa stanza

E col volo di una freccia, trafiggerò

Quella pallida Luna a distanza.

Ci sarò e non ci sarò, continuerò

La mia invisibile danza»

Marciò sorpassandomi, le mani sempre dietro la schiena, in volto un'espressione vagamente beffarda, ma piuttosto compiaciuta

«Senza tracce sulla neve, lieve sarò

Mi dirai di si o mi dirai di no?»

Cosa voleva dire? A cosa voleva che io dicessi di si o di no? Avrei voluto chiederglielo, ma non avrei osato interrompere il suo canto, la sua ninna nanna curiosa, che mi portava a volgermi in direzione di lui come un girasole verso l'astro diurno, nutrendomi della sua voce come i fiori fanno con i raggi solari.

«Avrà il silenzio la voce che ho

E mani lunghe abbastanza

Sarà d'attesa o d'intesa

Però, saprò quello che ancora non so

Quello che ancora non so ...

Mi dirai di si o mi dirai di no?».

Si fermò, mi prese per un braccio, mi guardò in volto

«Col mio cuore di matita correggerò

Gli errori fatti dal tempo

E con passo di guardiano controllerò

che si fermi o che avanzi più lento

Ci sarò e non ci sarò

Ti parlerò ...

Con ogni fragile accento

Sarò traccia sulla neve,

neve sarò,

Mi dirai di si o mi dirai di no?

Sul manoscritto l'inchiostro sarò

E mi avrai nero su bianco

Saranno gli occhi o i tarocchi però

Sarò quello che ancora non so

Quello che ancora non so

Mi dirai di si o mi dirai di no?

Mi dirai di si o mi dirai di no?»

Canticchiò una musichetta a denti stretti, lasciando il mio braccio, allontanandosi, ed io lo seguii, stregata dalla sua voce e dalle melodie sottili che si intrecciavano dietro il suo tono, da quelle parole che sapevano di magia tradizionale e di un mondo poco elaborato, arcaico, affascinante.

Avvolgenti, i suoi toni nasali e quelli gutturali fischiarono, richiamandomi, sciogliendosi in crema di voce, sottile, vellutata, un richiamo più forte di qualunque ululato

«Sarai sola nel tuo sole

O solo sarò?

Mi dirai di si o mi dirai di no?»

«Ovvio che si» dissi, senza pensarci «Ovvio, a qualunque cosa»

«Qualunque, dama senza pietà?» mi chiese lui, mantenendo un'intonazione armonica, delicata, quasi stesse cantando, e contemporaneamente muovendosi intorno a me con passetti leggeri, danzanti.

Io ci ragionai

«Forse non a tutto. Ma a quasi tutto»

«Io sono il mago, tu sei il mio lupo» inclinò la testa un po' da un lato, sorridendo a quella semplice constatazione «Siamo una coppia leggendaria, e parleranno di noi per il tempo avvenire...» la sua voce tremolò, le sue corde vocali vibrarono e ricominciò a cantare, con più decisione, narrando più che altro, intonato su una melodia medievale «E quando al mio fianco lei poi si appoggiò, io l'anima le diedi e il tempo scordai, e quando al mio fianco lei poi si appoggiò... al limite del monte io mi addormentai, fu l'ultimo mio sogno che allora sognai... E lei la bella dama senza pietà, e lei la bella dama senza pietà... Quella che anche a te la vita rubò, è lei la bella dama senza pietà» ridacchiò e scosse la testa «Allora, dama senza pietà, mi seguiresti se lasciassimo questa dimora?»

«Ovunque» dissi, con una sicurezza che stupì me stessa, come se non desiderassi nient'altro

«Bene, perché mi sono appena accorto che rimanere in un solo posto non mi aiuta affatto» si volse verso i confini della campagna, stretto nelle spalle «La mia famiglia, da secoli, è composta di maghi nomadi, nel nostro sangue scorre la voglia di non rimanere in un posto solo. Viaggiare è la mia vita. E poi, se rimango troppo a lungo in uno stesso posto non posso che combinare guai. Lo hai visto. Il viaggio rianima la mia mente, quelle praterie sconfinate, quei boschi infiniti, e i deserti, non aspettano altro che me. Sono stato stupido a tornare nel posto dove sono nato per abitarci... è giusto avere una dimora, ma non per me» sospirò «So che tu sei un aurolupus, so che i lupi hanno il loro territorio, e che quindi non è giusto chiederti ...»

«I miei erano nomadi» sparai, senza pensarci

«Nomadi?» mi guardò da sopra la spalla, con gli occhi accesi da una scintilla di curiosità e soddisfazione

«Si» annuii, felice anch'io di essermi ricordata quel particolare «Non stavamo mai fermi troppo a lungo in un solo posto, viaggiavamo, prendevamo i territori che incontravamo sulla nostra via. Eravamo degli ammazzalupi credo, rubavamo loro le prede, consideravamo prede loro stessi, non ci importava quale territorio occupavamo, a chi apparteneva, se agli umani o ad altri predatori. Mio padre... mio padre affrontò un orso per il dominio, una volta» giocherellai con le punte dei miei indici, cercando di ricomporre il puzzle i cui pezzi mi erano stati messi a disposizione dalla mia mente, ma scoprii che alcuni tasselli mancavano «Ti sarei grata, se potessi riportarmi alla mia vita. Viaggiare»

«Tu? Tu?» si voltò completamente, con le mani aperte e le braccia abbastanza larghe da lasciar pensare che stesse dicendo un padre nostro «Non stai dicendo tutto questo per farmi contento» era un'affermazione, non una domanda «Tu stai davvero ricordando... e sei nomade»

«Ovvio. Io non mento a te» la voce che mi uscì era venata di indignazione

«Lo so. Lo so, credimi, sto soltanto ricapitolando ad alta voce» la sua faccia si contorse in un'espressione traboccante di felicità sorpresa, una cosa strana, con le sopracciglia ferme a metà della fronte, dritte come due rette, e gli angoli della bocca sollevati come quelli di un personaggio dei cartoni animati.

Poi si avvicinò con un paio di saltelli allegri, stile capretta dei cartoni animati, e mi guardò negli occhi

«Nomade» disse, di nuovo, gustando la parola sulla lingua «Anche tu, come me. L'essenza di un anima che si forgia viaggiando di terra in terra. L'antico istinto nomade risorge a spezzare le catene dell'uso, e dalle brume del suo sonno secolare s'innalza il grido della razza».

Rabbrividii. Le sue parole evocarono un grande fuoco scarlatto che bruciava dentro il mio petto e nelle sue iridi, come specchi piani e verdi screziati di luce, foreste in fiamme. Dalle brume del suo sonno secolare s'innalza il grido della razza.

Inchiodato nella mia anima, il lupo si rivoltò, sussultando felice nonostante fosse bloccato.

Iniziava tutto adesso? E avevo conosciuto davvero September, o avevo visto solo una parte di lui? L'incantatore, il mago. Cosa significava? Mi aveva affascinata, il suo corpo, la sua voce, e adesso le sue parole mi stregavano davvero, mi davano catene intorno ai polsi, ma non mi tagliavano gli artigli per spezzarle. Avrei potuto spezzare le catene, ma non volevo, non volevo, non volevo...

Cos'era? Un propinatore di ipnosi piacevoli, o un poeta eccezionale? Sapevo che una parte delle parole che aveva utilizzato non erano sue. Ma le aveva dette con così tanto sentimento, perso con la sua mente in profondità recondite di un mondo sconosciuto, che avevo sentito rabbrividire le ossa e fremere la pelliccia che non avevo neppure addosso.

Con un guizzo di iniziativa a coraggio, presi la sua mano, le sue dita morbide

«Andiamo» dissi, usando parole che non riconoscevo neppure di aver pensato «L'età degli uomini è conclusa, tu sarai l'ultimo, l'unico, uno su cento. No, uno su zero. L'umanità è zero. Ciò che hai fatto, il tuo pensiero risorto ...»

«Pensiero di uomini morti» aggiunse lui

«Pensiero risorto di uomini morti, salverà la tua vita e darà al mondo nuova speranza. Devi salvarti e non ce la farai se rimarrai qui»

«Verrai con me?»

«Ovunque» esalai «Ovunque tu voglia»

«Allora vivremo. Vivremo entrambi e salveremo il mondo»

«Gli umani non riusciranno a distruggerlo» sibilai tra i denti «Hanno già distrutto troppa vita per farlo ancora, e ancora, ancora, finché nostra Madre non sarà altro che una sfera grigia di terra brulla. Non permetterò che gli uomini vadano all'inferno trascinando con loro il resto degli innocenti. Li ucciderò prima»

«Li uccideremo» September si sollevò sulla punta dei piedi

«I tuoi simili?» chiesi io, non più sorpresa, quanto invece dispiaciuta di costringerlo a rinnegare la sua specie

«Loro non sono simili a me» ormai sentivo il suo fiato sul volto, profumato della menta del dentifricio «Loro uccidono, massacrano. Loro hanno creato la morte vana, il peccato. Io non appartengo al loro popolo, lo odio»

«E a quale?»

«Io non appartengo ad alcun popolo. Io appartengo solo a te».

Poi fece una cosa che avevo visto fare solo in televisione. Mi baciò sulle labbra. Nei film lo facevano troppo spesso e troppo a lungo, in maniere strane e vagamente disgustose, sminuendo il valore simbolico di quel gesto.

Simbolico? Non soltanto, c'era anche di più. E September sembrava saperlo. C'era del magico.


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