Più di quanto tu sappia ♦ Tem...

By svetlavly

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L'amore è come un dipinto dalle mille sfumature. Non è corretto fermarsi all'accezione più comune del termine... More

1.Checked Shirt
2.Loser
3.Azzurro contro Verde
PERSONAGGI
4.Batte forte il cuore
5.You Kissed Me
6.Segna per me
8.Frozen atmoshpere
9.Mi dai la forza
10.Questione d'istinto
11.Feel Good
12.Più di un segnale
13.Non ne vale la pena
14.Quasi una famiglia
15.La sua storia
16.Rischi e Regali
17.Fireworks
18.Try, Try, Try
19.Strano
20.Rimorsi e Bugie
21.Delusione
22.Essere carini
23.Shy boy
24.Anni di silenzi
25.Forse non ci crederai
26.Telefonate importanti
27.Devi dirglielo
28.Un po' di sano stalking
29.Tutti tranne te
30.Il meglio sei tu
31.Finalmente
32.Convocazioni particolari
33.Nient'altro che la verità
34.La Cura
35.La partita della vita-EPILOGO

7.Fiocchi di neve

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By svetlavly

Ryan stava fissando il vassoio di cibo davanti a Daniel colmo di pietanze, che il suo migliore amico stava consumando tranquillamente. Facile per lui, si allenava tre ore al giorno.

"Sei sicuro di non volere nulla?", gli chiese Taylor, sfiorandogli il dorso della mano. Ryan annuì con convinzione.

"Te l'ho detto, mi fa male lo stomaco", ripeté per l'ennesima volta. La ragazza scambiò un'occhiata sospettosa con Daniel, che bevve un sorso d'acqua minerale dalla bottiglietta.

"Non pensi sia il caso di andare da un medico? E' da quasi una settimana che stai così", aggiunse sinceramente preoccupato. Ryan sospirò.

"Ci sono andato ieri e mi ha detto che in questo periodo è un'influenza frequente", mentì. In realtà non era andato da alcun medico, ma si rifiutava di mangiare qualsiasi cosa che non fosse stata cucinata da lui. A casa aveva iniziato a contare le calorie di ogni ingrediente che aggiungeva in un pasto, ed in pochi giorni era diventata quasi un'ossessione. Se l'avesse rivelato ai suoi amici, l'avrebbero preso per un folle, quindi aveva deciso di rifilare un'inutile scusa provvisoria, perché sapeva anche lui che non avrebbe potuto continuare il quel modo. In cinque giorni era dimagrito di due chili grazie alla scarsità di cibo che ingeriva. A colazione beveva una tazza di thé senza zuccheri poi mangiava direttamente all'ora di cena, che passava solitamente da solo a causa degli improbabili turni lavorativi della madre e di Graham. Al momento si sentiva incoraggiato da sé stesso, ma quando passava davanti allo specchio vedeva ancora un ragazzo diciassettenne troppo paffuto. Udiva sua nonna e sua zia incitarlo a mangiare abbondantemente, e il peso sullo stomaco diventava così ingente da costringerlo a sedersi a terra o sul letto, affaticato.

"Speriamo passi velocemente", decretò Daniel.

Ryan annuì poco convinto, abbassando lo sguardo sulla porzione di tavolo vuota davanti a lui.

Quando suonò la campanella che sancì la fine della pausa pranzo si alzò assieme ai suoi amici ed assieme tornarono nel corridoio.

"Che materia hai?", gli chiese Abigail prendendolo sottobraccio.

"Storia dell'arte, ma la professoressa è uscita prima per un problema con il figlio, me l'ha detto il vicepreside prima", la informò. La ragazza sbuffò, ripetendo quanto fosse ingiusta la sua vita, poi lo abbandonò stampandogli un bacio sulla guancia e dirigendosi assieme alla folla di studenti nella propria aula. Ryan invertì il verso di camminata e salì al piano superiore dell'edificio, entrando nell'aula d'arte. Anche se la professoressa mancava, era sicuro che qualcuno sarebbe arrivato a controllare che la classe passasse l'ora con tranquillità . Notò che la porta fosse già chiusa e gli sudarono le mani: non entrava mai tardi durante le lezioni. Si schiarì la gola e bussò un paio di volte, sistemandosi la felpa ben visibile sotto la giacca.

Quando fece il suo ingresso nell'aula si ritrovò davanti un ragazzo giovane con il sedere appoggiato al bordo della cattedra, intento a parlare con i pochi presenti che lo stavano ascoltando. Un paio di ragazze sedute all'ultima fila di destra si stavano mettendo il rossetto a vicenda, incuranti di ciò che le circondava.

"Mi scusi per il ritardo, professore", disse Ryan per convenienza, guardandosi attorno alla ricerca di un posto disponibile. L'unico era proprio al primo banco davanti alla cattedra e vicino a Maddy. Anche lei, che solitamente prendeva appunti su qualsiasi cosa dicessero i professori, stava scarabocchiando con distrazione sull'angolo di un foglio intonso.

Il giovane insegnate si voltò verso di lui e gli sorrise, invitandolo con un cenno della mano ad accomodarsi. Ryan eseguì frettolosamente il comando, adagiando il suo fondoschiena sulla sedia.

"Come stavo dicendo ai tuoi compagni...", esordì, guardandolo negli occhi. Il diciassettenne notò che fossero grigi. "...la vostra scuola mi ha assunto per tenere un corso pomeridiano di musica in quest'edificio, specificatamente di chitarra classica", spiegò. Ryan si fece più attento, senza distogliere lo sguardo. Era forse l'unico dei presenti ad ascoltarlo. "Il corso sarà gratuito, in quanto è compreso nella retta che pagate ad inizio anno, e se volete usufruirne vi basterà rivolgere a me per qualsiasi informazione". Guardò da una parte all'altra dell'aula. "Chi è interessato all'iniziativa?", domandò.

Kate e Gwen continuarono a truccarsi con indifferenza, mentre un paio di ragazzi sbuffavano. L'unico ad alzare timidamente la mano fu proprio Ryan, dopo essersi guardato attorno diffidente; notando che nessuno della classe fosse interessato minimamente alla proposta, si era sentito la voce fuori dal coro come spesso gli capitava. Quella però era stata una vera manna dal cielo.

Lo sguardo del giovane professore tornò a posarsi su di lui. "Bene, come ti chiami?", domandò.

Ryan rispose sorridendo e scrisse il suo nome sul foglietto che l'insegnate gli aveva messo davanti.

"Devo ancora fare un giro delle classi per raccogliere altre presenze, poi ti farò sapere quando si terranno le lezioni. Avevo in mente di fare due incontri a settimana di un'ora e mezza ciascuno", lo informò.

Ryan annuì, rendendosi conto di quanta fortuna avesse avuto.

"D'accordo, attenderò sue notizie allora", decretò il diciassettenne. Il professore annuì mentre riponeva il foglio in un'agenda, poi tornò a guardarlo.

"Però dammi del tu, non sono un professore. O meglio, sono laureato in musica ed ho conseguito l'abilitazione per insegnare, ma non ti metterò alcun voto durante il corso, non mi piace risultare troppo autoritario".

Ryan dischiuse le labbra, vagamente sorpreso. L'intera classe stava facendo i propri comodi senza curarsi minimamente di loro.

"Oh, d'accordo", riuscì a dire.

La campanella suonò qualche minuto dopo e tutti corsero via dall'aula, compreso Ryan che rivolse un sorriso al profe-no, come diavolo doveva chiamarlo? Non sapeva il suo nome, era stato uno stupido a non chiederglielo.

L'unica cosa che sapeva era che i suoi occhi fossero fottutamente grigi.


Felipe consegnò lo scontrino all'ennesimo cliente e sorrise cordialmente quando questo lo salutò di fretta, afferrando la busta e sparendo nella folla che riempiva i marciapiedi. Dicembre era alle porte, e con lui il Natale. Felipe ed i suoi colleghi avevano già sistemato sulla vetrina esterna delle colorate lucine natalizie, ed in radio si era iniziato a sentire Michael Bublé, icona festiva per eccellenza.

Al diciannovenne il Natale era sempre piaciuto, da quando si era trasferito in Inghilterra. Non aveva moltissimi ricordi del breve periodo della sua infanzia brasiliana, men che meno sul Natale, ma aveva sempre adorato la quantità industriale di doni, il cibo in grande quantità, la neve ed il calore familiare.

Sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni ma dovette resistere alla tentazione di controllare chi fosse, poiché il regolamento vietava ai dipendenti di distrarsi utilizzando dispositivi tecnologici personali.

"Lipe, sto io alla cassa, te fai un giro", lo incitò un suo collega battendogli il palmo della mano sulla spalla. Felipe annuì e camminò spedito verso l'entrata del negozio, uno dei più frequentati della zona. Non gli era rimasto difficile essere assunto, in quanto i prerequisiti erano avere semplicemente un bel fisico ed un minimo di carisma; d'estate infatti i commessi giravano a torso nudo, e nonostante Felipe la trovasse una cosa abbastanza squallida, non si lamentava più di tanto. Aiutò una ragazzina a trovare la taglia di un paio di jeans mentre un ragazzo aspettava di essere servito. Mancavano solo venti minuti alla fine del suo turno, per fortuna, e poi sarebbe tornato a casa dove lo attendeva una partita alla playstation con alcuni suoi amici.

[Thomas]

Oggi alle cinque a casa tua, giusto?

Lesse quando finalmente tornò al tepore casalingo. I suoi genitori avevano deciso di concedersi un pomeriggio al cinema multisala vicino casa e Felipe aveva approfittato per invitare qualche suo amico e passare un pomeriggio tranquillo tra birre, partite alla Playstation e discorsi di poco spessore intellettuale.

A: [Thomas]

Si, te l'ho detto venti volte coglione...

[Thomas]

Ah, ho invitato anche Daniel, spero non ti dispiaccia ;)

Felipe spalancò gli occhi e si affrettò a comporre il numero del suo migliore amico, che rispose dopo neanche uno squillo. Ma era matto?

"Come butta?", gli domandò noncurante dello sconcerto del brasiliano.

"Hai seriamente invitato Daniel da me?".

"Si, stamattina mi ha chiesto se stasera avessimo giocato al campetto ma io gli ho detto che fa troppo freddo e non ci va di gelarci il culo, quindi l'ho invitato", spiegò il ragazzo.

Il diciannovenne chiuse gli occhi ed inspirò profondamente.

"Non pensavo che l'avresti presa così male, ho notato una certa affinità", continuò, affondando volutamente il dito nella piaga.

"Fottiti, davvero", borbottò Felipe alzandosi dal letto e cercando di riordinare la scrivania.

Thomas sorrise dall'altro capo del telefono. "Se vuoi posso sempre dirgli che abbiamo rimandato", propose sapendo già di ricevere una risposta secca dal suo migliore amico.

Infatti questo, dopo un "non ci provare nemmeno" ringhiato, concluse la chiamata e lanciò il cellulare sul letto.

Odiava quando il suo migliore amico faceva strane supposizioni, ma odiava ancora di più ammettere che tali supposizioni fossero in parte ben fondate. Okay, a scrivergli per primo era stato Daniel, ma poi lui aveva continuato a parlare senza un apparente motivo. Il diciassettenne gli stava simpatico ma non bastava la simpatia per descrivere al meglio quella strana sensazione che provava quando lo vedeva. Quel dannato bacio dato sotto costrizione gli aveva fatto comprendere la versatilità dei suoi gusti, riscoprendosi non indifferente al genere maschile quanto non lo era stato per diciannove anni a quello femminile. Non era mai stato omofobo, assolutamente, tuttavia non aveva mai accostato se stesso ad un'altra figura maschile. Daniel non gli dispiaceva, e forse sarebbe stato un buon pretesto per sperimentare anche quella parte di sé rimasta fino ad allora nascosta.

Passò la mezz'ora successiva a riordinare la sua stanza, rassettò le coperte del letto dove si sarebbero accomodati i suoi amici e buttò alla rinfusa nell'armadio le magliette ed i pantaloni accatastati come di norma sulla sedia adiacente alla scrivania, poi si fece una doccia veloce per eliminare quel profumo troppo forte del negozio che s'impregnava ogni volta nella sua pelle.

Il primo ad arrivare fu Thomas, accompagnato da una cassa di birre che ripose nel congelatore.

"Com'è andata a lavoro?", gli domandò mentre si sedeva sul divano ed osservava il suo migliore amico intento a versare il contenuto di un'intera busta di patatine al peperoncino in una ciotola colorata.

"Come al solito, mi sento ancora rintronato dalla musica", commentò quello, schivando per un pelo il corpo robusto di Margot, il bulldog inglese che gli era stato regalato dai genitori in occasione del suo quindicesimo compleanno.

"Beh, almeno tu lavori da Hollister", ribatté Thomas, e Felipe non aggiunse altro, ritenendosi in parte fortunato dal momento che il suo migliore amico non aveva avuto la sua stessa sorte e al momento lavorava in una friggitoria vicino ad Hyde Park.

"Forse dovevamo prendere il college", commentò il biondo scuotendo la testa.

"Non fa per me, e neanche per te lo sai". Lo guardò per un istante, poi aggiunse "potresti fare domanda a lavoro da me, sei figo e potrebbero prenderti".

Thomas si finse sorpreso. "Oh grazie, ma questi discorsi vai a farli al bel calciatore che sta per arrivare qui", disse, ricevendo come risposta un gestaccio. Osservò l'amico accucciarsi per raggiungere l'altezza di Margot e darle un bacio sul muso rugoso mentre la chiamava con vari epiteti zuccherosi. Era davvero l'apogeo della scarsa virilità.

Si risvegliò dal momento di affetto quando il campanello suonò di nuovo, facendo drizzare le orecchie anche al cane che di reattività ne aveva ben poca.

"E' lui", mormorò Thomas senza alzarsi dal comodo divano. Felipe si limitò a fargli cenno di stare zitto, poi si diresse verso la porta, che spalancò con decisione sorridendo cordialmente al ragazzo che si ritrovò davanti. Ovviamente era Daniel, come aveva presagito il suo migliore amico. Il brasiliano iniziò a pensare che i due architettassero strategie alle sue spalle per portarlo all'esasperazione, ma non ne era del tutto sicuro. Era la classica scena da soap opera, una di quelle che mandano in onda durante in primo pomeriggio e che sei costretto a guardare se vai a pranzo da tua nonna. Daniel, rosso in viso per il freddo, lo guardava con gli occhi azzurri lucidi e con un sorriso ad arricciargli le labbra screpolate. Teneva in equilibrio precario su una mano un cartone di pizzette (Felipe riusciva a percepirne l'odore inebriante e conosceva a memoria il forno dove le aveva comprate, perché era lo stesso in cui quotidianamente si era fermato lui durante il periodo delle medie per acquistare la pizza da portare a scuola), mentre nell'altra stringeva il casco del motorino.

Lo salutò dopo quelli che gli parvero secoli, e il diciannovenne ribadì facendosi da parte e permettendogli così di rifugiarsi nel tepore casalingo, dovuto dal camino acceso e dai riscaldamenti. A questo punto anche Thomas si alzò per rivolgergli un mezzo abbraccio, mentre Felipe gli sfilava dalle mani il cartone di pizzette.

"Non dovevi", disse. La solita frase di convenzione, osservò, mentre apriva la confezione rivelando un tripudio di pizzette farcite nei migliori modi possibili.

Il diciassettenne si strinse nelle spalle muscolose, mentre apriva e chiudeva i pugni per riacquistare sensibilità alle dita. "Sono buonissime, le fa il forno di mio zio", si giustificò suscitando lo stupore di Felipe. E così, l'eroe della sua infanzia non era altro che lo zio di quel ragazzino che non solo rappresentava una promessa per il calcio, ma che da qualche giorno lo faceva perire psicologicamente. Tuttavia, non ebbe tempo di esprimere la sua ammirazione per quel fornaio degno di nota, perché il più giovane dei tre si inginocchiò davanti al muso enorme di Margot che, come sempre, rubava la scena a chiunque con la sua poca eloquenza.

"Ma sei bellissima!", esclamò gioviale il ragazzo, dopo aver appreso che fosse una femmina. Thomas scambiò un'occhiata divertita con Felipe. Bellissima non era l'aggettivo corretto da attribuire al robusto cagnolone, che tuttavia con la sua goffaggine e pigrizia nei movimenti era decisamente adorabile, così tanto da poter essere definita bella, in effetti. Margot era un concentrato di affettuosità (che manifestava muovendo di qua e di là il sedere provvisto di una minuscola coda arricciata) e di totale nullafacenza. Era un cane perfetto per quei pomeriggi oziosi seduti sul divano; in tal caso, si avvicinava ai suoi padroni ed appoggiava la pesante testa sulle loro cosce, poi li guardava dal basso con quegli occhioni rivolti all'ingiù ed i canini sporgenti e li invitava alle coccole con un borbottio.

"Gli piaci", osservò sorridendo mentre Daniel si voltava verso di lui raggiante. Quella visione gli provocò una stretta allo stomaco, ma non accusò il colpo.

Thomas mimò con le labbra "non è l'unico componente della famiglia a piacergli" e Felipe fu costretto a sopportare in silenzio.

Venti minuti dopo si erano aggiunti anche Cody, James e George al trio, che nel frattempo si era trasferito nella camera del padrone di casa, abbastanza spaziosa da poter ospitare sei ragazzi più un cane di venticinque chili, che aveva trovato nelle cosce muscolose di Daniel il perfetto appoggio per la sua testona. Il diciassettenne le carezzava di tanto in tanto il pelo corto ma morbido, guardandola con devozione; adorava i cani tranquilli, e quello occupava sicuramente il primo posto della sua classifica. Lanciava altrettante occhiate adoranti a Felipe che però non gli stava prestando molta attenzione, a dirla tutta. Questo suo comportamento confermava la tesi ora quasi del tutto accertata di Daniel, e cioè che il bel brasiliano non aveva i suoi stessi interessi e lo scambio di messaggi era avvenuto solo per formalità, o amicizia. Eppure per un momento ci aveva quasi creduto, d'interessargli. Aveva ripensato a quei pochi eppur intensi scambi di sguardi, ed aveva provato un po' di fiducia. Inghiottì il boccone amaro e si costrinse a donare affetto a Margot, non potendo darlo al suo padrone. Era irraggiungibile. James gli passò il controller della Playstation dopo aver perso l'ennesima partita con l'Arsenal.

"Fai così schifo che saresti in grado di perdere anche con il Barcellona", lo canzonò Thomas scuotendogli le spalle.

"Vediamo cosa sa fare il bomber", sviò James facendogli l'occhiolino.

Daniel finse d'impettirsi e si fece avanti sul bordo del letto, per mettersi in linea col suo avversario,ovvero Felipe. Ebbe quasi un mancamento quando questo gli rivolse un'occhiata spavalda, riducendo i suoi bellissimi occhi a due fessure contornate dalle ciglia lunghe e scure incurvate perfettamente verso l'alto.

"Che vinca il migliore", proferì.

"Ovvero io", gli fece eco Daniel facendo scoppiare a ridere gli altri quattro ragazzi. Margot si mosse appena con le zampe anteriori, poi tornò a ronfare sulla sua nuova postazione preferita.

Scelsero due squadre del campionato italiano, la Roma ed il Milan perché quando Daniel era stato in campo-scuola nella capitale italiana era rimasto affascinato dai colori della città e da una delle sue squadre: la Roma. Ammirava l'eterno capitano della squadra giallorossa, Francesco Totti, un vero mito per lui in quanto aveva dedicato tutta la sua vita, le sue energie e la sua carriera ad una sola squadra, senza farsi tentare da club tecnicamente più forti ma che lui stesso non avrebbe potuto definire "casa". La Roma non vinceva uno scudetto da più di un decennio, ma nonostante ciò aveva combattuto con i denti e con le unghie, era passata sotto allenatori indegni di sedersi su quella panchina all'Olimpico e adesso si trovava seconda in classifica sotto la reggenza di Luciano Spalletti. A Daniel piaceva quella squadra, composta non solo dall'ottavo re di Roma (così lo definivano in molti), ma anche da altri giocatori molto competenti ed ambiti da squadre europee ed italiane. Per fare un esempio, non gli sarebbe affatto dispiaciuto veder giocare il belga Nainggolan nello schieramento di Mauricio Pochettino.

La partita cominciò e subito tutti iniziarono a fare il tifo, chi per la squadra romana chi per quella lombarda, creando inevitabilmente un frastuono assordante. A ristabilire la quiete fu un guaito di Margot, che fece comprendere ai sei ragazzi l'effettivo rumore provocato dall'elevato tono di voce.

"Ho portato Mary, comunque", esordì Cody attirando l'attenzione dei presenti. Inizialmente Daniel non comprese il significato di quell'affermazione e continuò a concentrarsi sulla partita, ancora bloccata sul pareggio.

"Non qui dentro, mia madre è peggio di un segugio", disse Felipe con una punta di fastidio nella voce. Fu quell'osservazione che fece capire a Daniel di cosa stessero parlando.

"D'accordo, la giro e poi ce la fumiamo in terrazza, ti sta bene?", domandò il giovane mentre estraeva dalla tasca interna della giacca una bustina contenente ben venti euro d'erba. I grammi bastavano per fare al massimo tre canne, ma la qualità era delle migliori. Per Cody valeva la regola "se devo farmi del male, meglio farselo bene" quindi preferiva pagare di più ed acquistare erba di qualità piuttosto che spendere una sciocchezza per comprare fumo sintetico. Felipe non era un assiduo fumatore d'erba, ma quando capitava e si trovava con i suoi amici non rifiutava quasi mai. Tuttavia, quel giorno non se la sentì di fare anche solo un tiro e lasciò che i suoi amici (meno Daniel, che non aveva mai neanche provato a fumare una semplice sigaretta), salissero sul terrazzo e consumassero lo spinello. Solo quando si ritrovò da solo con Daniel si accorse che quella molto probabilmente era stata una mossa compiuta dai suoi amici per lasciarlo da solo col bel calciatore. Improvvisamente nella stanza era caduto il silenzio, ma i due erano così impegnati a giocare che neanche se ne resero conto.

"Beh, forte nel gioco sul campo ed in televisione", constatò il brasiliano quando la partita si concluse con tre reti segnate da Dzeko, l'attaccante giallorosso comandato da Daniel che finse di limarsi le unghie a causa del complimento fattogli da quella che poteva essere definita la sua cotta furiosamente imbarazzante.

"La modestia è il tuo forte!",affermò Felipe. Daniel lo guardò storto per un momento, poi si lasciò andare ad una risata che fece scaldare il cuore al diciannovenne. Se solo avesse conosciuto i sentimenti di Felipe, non avrebbe aspettato oltre per baciarlo, per far collidere di nuovo le loro labbra. Forse fu proprio in quel momento che si rese effettivamente conto di quanto il brasiliano lo impegnasse emotivamente, di quanto fosse preso da lui nonostante si conoscessero ben poco. Era inutile sottolineare quanto fosse avvenente nell'aspetto, eppure Daniel si soffermò a studiare come si fa con quei quadri nei musei i suoi occhi verdi in contrasto con la pelle mulatta ed i capelli castani con qualche striatura bionda. Sembrava aver appena preso il sole in una qualsiasi spiaggia brasiliana,disteso sulla sabbia ed ancora bagnato dall'acqua salata da cui era uscito poco prima. Immaginò la scena davanti ai suoi occhi e deglutì cercando di ritornare alla realtà, dove non era estate e sicuramente il ragazzo davanti a lui era vestito, purtroppo.

Si riempì la bocca con una manciata di patatine per placare i bollenti spiriti, poi si sforzò di sorridere per un commento che Felipe aveva fatto riguardo alla poca reattività di Margot. Cody fece il suo ingresso nella stanza con le gote arrossate ed il fiatone; probabilmente aveva corso per arrivare fino a lì, facendosi due piani di scale in fretta e furia.

"Ragazzi!", esclamò, evidentemente su di giri. I ricci biondi erano sparsi sulla fronte.

Felipe scattò in piedi allarmato dalla foga dell'amico; sperò solo che nessuno si fosse sentito male fumando. "Nevica!", esclamò il riccio, indicando platealmente la finestra alle loro spalle, la cui visuale però era oscurata dalla tenda azzurra che toccava fino a terra.

"Fatti un'altra canna, amico", commentò Felipe ridacchiando. Appoggiò una mano sulla spalla del coetaneo e sorrise intenerito. Di tutti quanti, Cody era quello che reggeva meno la botta d'adrenalina. Quest'ultimo s'imbronciò, scrollandosi di dosso la mano dell'amico.

"Se non ci credi, vedi tu stesso", lo invitò. Felipe corrugò le sopracciglia e fece cenno a Daniel si scostare la tenda, rivelando così il prato adiacente alla sua abitazione effettivamente ricoperto di sottile manto bianco.

Il volto dell'attaccante della squadra cittadina si illuminò di colpo, e rivolse a Felipe lo stesso sguardo di un bambino di cinque anni che per la prima volta costruisce un pupazzo di neve. Vide James, Thomas e George correre sotto la finestra e salutarli dal basso, con ancora la canna accesa tra le dita.

"Andiamo anche noi?", chiese il diciassettenne con gli occhi azzurri incredibilmente luminosi. Felipe non riuscì a rifiutare quella proposta che aveva il suono quasi di una supplica, nonostante lui non comandasse proprio nessuno. Quindi lui, Cody e Daniel indossarono i rispettivi cappotti e corsero fuori dall'appartamento, raggiungendo gli altri che nel frattempo continuavano a decantare quella nevicata come una benedizione del Signore. Il diciassettenne e Felipe si erano lanciati un'occhiata eloquente quando George si era buttato per terra ed aveva iniziato a muovere le braccia e le gambe per fare un angelo nel manto candido, ma non avevano proferito parola. Adesso i fiocchi cadevano leggeri tra i loro capelli, facendoli rabbrividire dal freddo ma al contempo donandogli quella felicità che solo la neve può conferire. Decisero di costruire un pupazzo con quella poca neve che si era appoggiata elegantemente sul praticello curato della villa.

"Dan, mettici due belle tette", lo esortò James mentre modellava il faccione rotondo della scultura.

"Non mi piace questo elemento", si lasciò sfuggire il più giovane della combriccola, pentendosene subito dopo. Seppur velatamente, aveva fatto una rivelazione abbastanza importante per la sua vita, e non sapeva come avrebbero reagito gli altri ragazzi. Non li aveva mai sentiti pronunciarsi riguardo agli omosessuali ma questo non significava che li accettassero. Se fossero stati omofobi, però, non avrebbe esitato a chiudere i rapporti con tutti loro.

"Non sai che ti perdi, amico". Gli altri annuirono sorridendo, non sembravano scossi dalla sua confessione. Daniel non lo sapeva, ma tutti erano a conoscenza della sua sessualità dalla prima volta che l'avevano visto, però non ne avevano fatto un dramma. Non gli importava, tutto qui. Il diciassettenne cercò con lo sguardo Felipe, che però era intento a creare due braccia dritte al loro pupazzo di neve con dei ramoscelli secchi. Dei fiocchi di neve erano impigliati tra i suoi capelli mossi, corti ai lati e lasciati un po' più lunghi sopra. Aveva il volto contratto in una smorfia di concentrazione o di sofferenza, visto che stava maneggiando da dieci minuti la neve a mani nude e con tutte le probabilità aveva perso la sensibilità. Non fece in tempo a distogliere lo sguardo quando si accorse che anche lui aveva alzato gli occhi e lo stava guardando. Merda, che figuraccia.

"Principessina, vuoi rimanere lì impalato o vieni ad aiutarmi?", lo spronò facendogli l'occhiolino. Sarebbe impazzito.

Ciao a tutti!

Eccomi qui con un'altro capitolo! Alla fine ho trovato dieci minuti di libertà ed ho deciso di pubblicare ora, spero ne siate felici.

Come al solito, vi ringrazio per le letture, i voti ed i commenti, sono felice che la storia vi stia piacendo.

Che dire del capitolo...succedono cose.

Ryan inizia a sviluppare, per così dire, la sua problematica e nel frattempo trova anche qualcuno che gli possa impartire lezioni di chitarra. Piccolo spoiler, chi sarà questo giovane professore? Lo scoprirete molto presto.

Per i #Danipe invece continuano le occhiatine e gli incontri quasi casuali (ringraziate Thomas, stavolta) a casa del brasiliano. Non ho potuto fare a meno di inserire un piccolo riferimento alla mia Roma, scusate ahahahaha.

Ancora non si sa nulla di quali siano le origini di Felipe, ma tra qualche capitolo inizieremo a scoprire qualcosa e, fidatevi, sarà molto importante!

Vi auguro una buona serata e spero che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima,

Lavy.

Vi allego una foto di Lipe e la nostra nuova star: Margot ❤❤

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