Più di quanto tu sappia ♦ Tem...

By svetlavly

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L'amore è come un dipinto dalle mille sfumature. Non è corretto fermarsi all'accezione più comune del termine... More

2.Loser
3.Azzurro contro Verde
PERSONAGGI
4.Batte forte il cuore
5.You Kissed Me
6.Segna per me
7.Fiocchi di neve
8.Frozen atmoshpere
9.Mi dai la forza
10.Questione d'istinto
11.Feel Good
12.Più di un segnale
13.Non ne vale la pena
14.Quasi una famiglia
15.La sua storia
16.Rischi e Regali
17.Fireworks
18.Try, Try, Try
19.Strano
20.Rimorsi e Bugie
21.Delusione
22.Essere carini
23.Shy boy
24.Anni di silenzi
25.Forse non ci crederai
26.Telefonate importanti
27.Devi dirglielo
28.Un po' di sano stalking
29.Tutti tranne te
30.Il meglio sei tu
31.Finalmente
32.Convocazioni particolari
33.Nient'altro che la verità
34.La Cura
35.La partita della vita-EPILOGO

1.Checked Shirt

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By svetlavly

♦ Salve a tutti, io sono Lavinia e questa è la mia prima storia originale che pubblico. Ho iniziato a scriverla quasi due anni fa, e posso assicurarvi che qui dentro c'è tutta me stessa. Sono stati mesi difficili per me, e durante i giorni più bui ho trovato in questi ragazzi frutto della mia immaginazione un ristoro dal dolore, dalla malinconia. Oserei dire che ci sia anche troppo di me, in questi capitoli, ma non ho potuto fare a meno di donare ad ogni personaggio qualcosa che mi ricordasse me o una persona a me cara. Pubblicherò una volta a settimana per questioni di tempo: adesso sono in vacanza, ma a breve inizierà la scuola ed io, essendo in quinto superiore, ritornerò a studiare come una matta. I capitoli ci saranno, ve lo assicuro, e sono anche a buon punto con la stesura. Non ho ancora completato la storia, ma nella mia mente è tutto pronto per la conclusione.

Se dovessi ricordarvi qualche altra cosa, lo scriverò all'inizio dei capitoli interessati.

Buona lettura.


Daniel Murray era un semplice ragazzino di quasi diciott'anni che abitava in una villetta a schiera con sua madre e sua sorella minore, nella contea di Londra. La sua famiglia viveva a New Cross da almeno dodici anni, e nonostante Grete e Pearce avessero divorziato poco dopo la nascita di Emma, che aveva sette anni, non si erano spostati. Daniel e sua sorella vedevano loro padre spesso, ed il rapporto tra quest'ultimo e la sua ex moglie non era conflittuale, il che aveva reso meno pesante anche la pratica del divorzio. Quando era successo, Daniel aveva undici anni ed era stato abbastanza maturo da riuscire a capire che talvolta il percorso dell'amore tra due persone poteva incontrare un muro, e se non si riusciva ad abbattere, era inutile rimanere a fissarlo in attesa che esso cadesse da solo. Non era avvenuto né con urla né con liti troppo accese, e se c'erano state, i suoi genitori erano stati bravi a nasconderle. Talvolta rimpiangeva le cene quotidiane tutti e quattro attorno al tavolo, e fissava la sedia vuota con un po' di amarezza, ma per il resto non poteva proprio lamentarsi. A scuola andava nella media: non era uno studente brillante, e s'impegnava abbastanza per prendere valutazioni dignitose, ma mai eccellenti. Studiare era al secondo gradino delle sue priorità, perché sulla vetta c'era il calcio. Nello sport, Daniel impiegava tutto se stesso per distinguersi, e ci riusciva bene. Giocava in funzione di punta nella primavera del Millwall, che militava nella seconda divisione calcistica inglese. Segnava molto, aveva tecnica e durante le partite faceva urlare i tifosi della sua squadra diverse volte per le sue reti.

Come ogni studente di questo mondo, odiava il lunedì quanto ogni giorno della settimana fino al sabato, non compreso. La sola idea di abbandonare il tepore delle sue coperte lo faceva sbuffare non appena sentiva il suono della sveglia impostata sul cellulare, una canzone di Kanye West che era ben presto diventata la più odiata nella sua playlist. Non riusciva ad ascoltarla, perché la sola introduzione strumentale gli ricordava il traumatizzante momento del risveglio mattutino, e doveva saltare spasmodicamente alla canzone successiva per evitare crisi isteriche.

L'unica delizia di ogni mattina consisteva nel ciambellone con le gocce di cioccolato che sua madre preparava sempre, da praticamente quasi diciotto anni. Per Daniel rappresentava una sicurezza, faceva parte della sua routine, e sebbene non fosse un tipo abitudinario, legato alle consuetudini, quel piccolo gesto lo faceva sentire rincuorato.

Così, come ogni mattina si spazzolò i denti dopo aver fatto colazione e lanciò un ultimo sguardo al suo riflesso nello specchio. I suoi capelli castani facevano pietà, okay, ma la voglia di pettinarli o addirittura passarci l'aria calda dell'asciugacapelli per acconciarli meglio era inesistente. Sbuffò e spense la luce del bagno, voltandole spalle allo specchio. Sua sorella lo aspettava sul vialetto di casa, coperta dal giacchetto rosa e dalla sciarpa bianca che la avvolgeva fin sopra al naso. Si scorgevano solo un paio di occhi azzurri esattamente uguali a quelli del fratello maggiore.

"Muoviti, altrimenti perdo il fidanzato", gli ordinò la bambina con voce squillante. Daniel corrugò le sopracciglia ed afferrò la manina che Emma gli stava porgendo.

"Che vuol dire?", chiese, vagamente confuso. Sua sorella era davvero un personaggio, questo era risaputo da tutti i suoi conoscenti.

"Significa che se arrivo tardi davanti a scuola Lizzie diventa la fidanzata di Kevin", spiegò spazientita la bambina, aumentando il passo.

"Uhm-è una specie di gara?", domandò ancora, sistemandosi lo zaino sulle spalle. Alzò meglio la zip del giacchetto con l'unica mano disponibile, pentendosi di non aver indossato una sciarpa, quella mattina. Era il venti Novembre e faceva dannatamente freddo.

"No!",esclamò la bambina, scuotendo il capo. "Kevin è il mio fidanzato, e Lizzie vuole rubarmelo", disse con enfasi, facendo voltare un paio di persone che camminavano davanti a loro.

"Ma è scorretto da parte sua, non trovi?", osservò Daniel, abbassandolo sguardo per incontrare quello di Emma, che alzò gli occhi al cielo, annuendo. "E poi Lizzie non è tipo la tua migliore amica?".

"Si",rispose , strattonando il braccio del fratello affinché si abbassasse leggermente, per sussurrargli all'orecchio "non ci si può fidare di nessuno, al giorno d'oggi", facendo scoppiare a ridere il maggiore.

Camminarono per esattamente altri cinque minuti, poi si fermarono davanti all'istituto elementare della città, quello in cui Emma andava da un anno. Daniel passò una mano tra i capelli biondi della sorella, sorridendole. "Fatti valere, guerriera", la incoraggiò, indicando con un cenno della testa la sua "migliore amica". La bambina emise un verso stizzito, sistemandosi le ciocche chiare dietro le orecchie. "Io sono una principessa, Dan", cinguettò, prima di raggiungere a passo di carica Lizzie. Daniel controllò l'orario sull'orologio digitale che portava al polso e riprese a camminare verso la sua scuola, che distava qualche metro da quella elementare.

Davanti al cancello d'ingresso arrugginito sostavano già parecchi studenti, chi appoggiati sui motorini, chi seduti sul muretto. Daniel si diresse automaticamente proprio verso la recinzione in cemento, dove sapeva che avrebbe già trovato Abigail e Ryan, i suoi migliori amici. In realtà il suo gruppo era composto anche da Taylor, ma era risaputo che la ragazza fosse perennemente in ritardo, quindi la mattina nessuno si aspettava di vederla davanti a scuola alle otto meno dieci minuti.

Salutò con un sorriso Ryan, che, assonnato, a stento ricambiò il saluto; Abigail invece neanche l'aveva notato, troppo intenta a guardare chissà cosa sul suo cellulare di ultima generazione. Si schiarì la voce, posizionandosi proprio davanti alla ragazza.

"Oh, buongiorno, scusa", disse Abigail, distogliendo per un istante l'attenzione dal telefono, sorridendo all'amico. Daniel corrugò le sopracciglia, spostando lo sguardo da Abigail a Ryan più volte.Quest'ultimo sbuffò, abbandonando la nuca contro la ringhiera della recinzione. "Avanti, diglielo, Abby", brontolò il giovane, guardando fisso davanti a sé.

"Dirmi cosa?", chiese Daniel, perplesso. L'espressione annoiata del suo migliore amico gli avrebbe dovuto far intuire qualcosa, forse? Non fece in tempo a supporre ipotetiche situazioni catastrofiche, perché la ragazza bloccò il cellulare con il tastino al lato e lo ripose all'interno della borsa, poi si morse il labbro rigorosamente impiastrato di lucidalabbra.

"Ieri sera mi ha scritto Marcus", bisbigliò. Ryan, al suo fianco, roteò gli occhi, incrociando le braccia al petto. Aveva passato l'intera nottata al cellulare a dare consigli alla sua migliore amica, mentre Daniel con tutte le buone probabilità aveva dormito sonni tranquilli, ignaro dell'accaduto che, a detta di Abigail, era un fatto straordinario. D'accordo, Marcus era un ragazzo a cui andava dietro da qualche tempo, ma niente di così strabiliante, almeno secondo Daniel, che però fu costretto ad assecondare la felicità di Abigail.

"Ma è fantastico, cioè, finalmente!", esclamò, sorridendo. La ragazza annuì, contenendo l'esaltazione.

"Mi ha chiesto se stasera possiamo vederci", continuò, parlando a bassa voce. Nonostante Marcus avesse già concluso la scuola da un anno, aveva amici ovunque, e l'ultimo desiderio di Abigail era quello di spiattellare i suoi fatti davanti a tutti.

"Quindi stasera non usciamo?", chiese, ricordandosi che fosse Venerdì, ed il Venerdì era sacro per le loro uscite. Tuttavia, avrebbe sacrificato una cena al pub per la felicità della sua migliore amica.

"Certo che usciamo! Gli ho chiesto di unirsi a noi e di portare qualche amico, così non si sentirà a disagio", spiegò, annuendo convinta dalle sue stesse parole.

"Cosa? Secondo me hai fatto una cazzata, dovevate uscire solo te e lui,sciocca!", la rimbeccò il ragazzo, cercando conforto in Ryan, che se ne lavò le mani ricordandogli che lui quella sera non sarebbe potuto uscire. Traditore.

Abigail scrollò le spalle, passandosi una mano tra i lunghi capelli biondo cenere. "Sai che sono parecchio timida", si difese, "e l'incontro è troppo ravvicinato. Se me l'avesse chiesto una settimana fa avrei avuto il tempo necessario per prepararmi mentalmente, ma così su due piedi è stato destabilizzante". Daniel scosse la testa, ridacchiando.

"Sei sempre la solita fifona, ecco la verità", la canzonò bonariamente, dandole una gomitata su fianco. Ricevette una pacca sulla schiena ed un'arruffata di capelli.

"Mi sento escluso, sappiatelo", annunciò ad alta voce Ryan, imbronciandosi per finta. Gli altri due non persero tempo a fiondarsi su di lui e a torturarlo in tutti i modi possibili finché il suono della campanella non li riscosse dai loro giochi adolescenziali ,costringendoli a tornare nella triste realtà scolastica.


L'ora di storia inglese era probabilmente la più noiosa tra tutti i corsi che Daniel doveva seguire; a giustificare la sua completa intolleranza per la materia era il fatto che fosse obbligatoria, quindi non aveva scelto lui di seguirla, pentendosi amaramente poco dopo come gli era successo con il corso di scrittura. Quello si che era inutile.

La sua compagna di banco era Marylin, ed aveva sicuramente una cotta per lui. Daniel aveva già messo in chiaro le cose con lei ad inizio anno, quando l'aveva quasi baciato, e da quel momento in poi la ragazza aveva continuato a comportarsi sempre allo stesso modo, quindi le sue parole erano state vane. Non aveva voluto rivelarle che era gay, ma se la situazione non fosse cambiata, allora l'avrebbe fatto. Comunque, c'erano momenti in cui Marylin era utile, tipo quando gli faceva copiare gli esercizi di matematica, oppure quando gli suggeriva durante i compiti, o ancora quando, nel bel mezzo delle pedanti spiegazioni di storia, accettava di giocare alla battaglia navale con lui, dividendo un foglio a quadretti a metà. Tutto sommato la sua presenza non era poi così fastidiosa, esclusi quei momenti sgradevoli in cui gli sfiorava la coscia con le dita egli fissava le labbra quando parlavano. Daniel solitamente faceva lo gnorri, sperando che prima o poi le passasse la cotta.

Non era l'unica, però, ad osservarlo in quel modo. Daniel era davvero un bel ragazzo, con i capelli scuri e gli occhi chiari, il fisico tonico e slanciato, le labbra carnose ed il sorriso bianco; il suo naso forse era un po' troppo grande ma a chi interessava? Più ragazze (e ragazzi, perché no), ringraziavano quotidianamente Grete, sua madre, per averlo partorito in quel modo, ma nonostante tutto Daniel era molto umile. Sapeva che la sua bellezza non l'avrebbe portato da nessuna parte, anche perché non aveva intenzione di fareil modello, quindi non si dava arie come facevano moltissimi ragazzi della sua piccola scuola. Non passava inosservato nei corridoi scolastici, ma non era uno di quei sbruffoni che guardano dall'alto verso il basso gli altri, perché non era nella sua indole. Se qualche ragazza che conosceva di vista gli scriveva su Facebook con chiari intenti di flirtare, lui cercava di spiegare nel modo più sensibile possibile che non era quello che voleva.

Aveva avuto modo di comprendere il suo orientamento sessuale durante i primi anni delle scuole medie, e, anche se all'inizio era stato difficile parlarne con i suoi, le cose erano andate meglio quando sua madre e suo padre si erano rivelati completamente aperti a qualsiasi sua scelta. Quasi l'intera scuola conosceva i suoi gusti sessuali, non perché lui lo sbandierasse ai quattro venti, bensì perché si sa, nei corridoi scolastici le voci corrono velocemente.

Abbandonarono l'aula solo dopo il suono della campanella, venendo travolti dalla baraonda di adolescenti che spingevano per varcare l'uscita dell'edificio. Daniel non riuscì a scorgere i suoi amici, quindi, dopo essersi guardato nuovamente attorno, raggiunse l'automobile di suo padre, una BMW Coupé recentemente acquistata. Pearce era al suo interno, con la cintura allacciata e le dita a stringere il volante, in attesa di partire. Quando suo figlio aprì lo sportello del veicolo, buttandosi sgraziatamente sul sedile vicino al suo, lo salutò con un sorriso e schiacciò l'acceleratore, stando attendo ad un gruppetto di ragazzini che gli passarono davanti senza neanche controllare prima di attraversare la strada.

"Come sono andate le lezioni?", gli chiese, tamburellando con le dita sul volante. Lanciò un'occhiata all'orario, tornando poi con lo sguardo fisso davanti a sé.

"Sempre una noia mortale", rispose Daniel, appoggiandosi con la testa contro il finestrino gelato. Pearce sorrise a quell'affermazione, allungando il braccio per raggiungere con una mano i capelli del figlio e spettinarli appena.

"Come devo fare con te?", domandò retoricamente, mentre il diciassettenne emetteva un verso di protesta e controllava il ciuffo di capelli scuri attraverso lo specchietto retrovisore.

"Odio studiare, lo sai".

"Per fortuna che Emma non la pensa come te", scherzò l'uomo, mettendo la freccia per svoltare a sinistra.

"Emma fa la seconda elementare, dalle tempo qualche anno e vorrà già abbandonare la scuola per intraprendere la carriera da put-". Venne bloccato dalla pacca che suo padre gli diede sul ginocchio.

"Non dire queste cose su tua sorella, farabutto!", esclamò Pearce, fingendo serietà, ma i suoi occhi, azzurri come quelli del figlio, nascondevano un pizzico di divertimento. Raggiunsero il centro sportivo in cui Daniel si allenava dopo venti minuti di traffico, che all'ora di pranzo era pazzesco, poi Pearce sfrecciò verso il suo studio dentistico, poco lontano da lì. Ogni Lunedì e Venerdì lo accompagnava lui, perché erano i giorni in cui la sua pausa pranzo durava di più, mentre il Mercoledì Daniel andava agli allenamenti con i mezzi, ed era una vera impresa viaggiare per quaranta minuti su un autobus pieno di gente, con il pesante borsone da calcio appeso alla spalla. Borsone che in quel momento giaceva ai suoi piedi, e non aveva intenzione di sollevarlo perché mancavano ancora venti minuti all'inizio dell'allenamento e lui doveva pranzare. Rovistò con foga all'interno delle enormi tasche della borsa, dove sapeva che sua madre aveva messo il suo pranzo: il solito panino con l'affettato. Lo trovò dopo aver cercato per qualche minuto, mettendo in disordine gli scarpini, il cambio e la divisa d'allenamento.

Vide arrivare in lontananza Brandon, un suo compagno di squadra. Anche lui trascinava con sé il borsone, mentre prendeva a morsi un trancio di pizza presumibilmente acquistato nella pizzeria all'angolo della strada. Si salutarono con un cenno della testa, troppo occupati a mangiare, e rimasero in attesa degli altri componenti della squadra,che sarebbero arrivati a breve. Il loro allenatore non era un tipo indulgente, e quando qualche ragazzo faceva ritardo, si beccava una doppia dose di esercizi preparatori. Nonostante la sua severità,Greg era un allenatore molto preparato, e riusciva sempre a tirare fuori il meglio da ogni singolo giocatore. Quando lo videro arrivare cinque minuti dopo non esitarono a gettare nel cestino gli incarti dei loro pranzi e a seguire l'uomo sulla quarantina dentro gli spogliatoi, come i topi fecero con il pifferaio magico.

Tutti i ragazzi sapevano che sarebbero tornati a casa stravolti, ma non sapevano che ad assistere agli allenamenti ci sarebbe stato il talent scout di una squadra che militava nella Premier League.


Daniel rincasò zuppo di sudore dalla testa ai piedi, le gambe doloranti ed i capelli umidi. Non si era lavato negli spogliatoi perché odiava dover attendere il suo turno, che ovviamente era sempre uno degli ultimi, quindi sua madre lo era andato a prendere, viaggiando con i finestrini abbassati per far defluire la puzza di sudore del figlio. Emma gli corse in contro non appena lo sentì chiudere la porta di casa, ma si arrestò poco prima di saltargli in braccio, assumendo un'espressione disgustata.

"Fai schifo", constatò, guadagnandosi un'occhiata ammonitoria da Grete, che si ostinava a riprendere i propri figli ogni volta che s'insultavano l'un l'altro. Daniel, di tutta risposta, si sfilò la maglietta e gliela lanciò dritta in faccia. La bambina iniziò a strillare e corse in camera sua, seguita dal fratello maggiore.

"Vai via, mostro del sudore!", esclamò, chiudendosi nella stanza ed opponendo resistenza contro la porta per impedire a Daniel di raggiungerla.

"Ti porterò nel mio mondo di fetore, ragazzina", la minacciò, dando qualche botta poco convinta al legno della porta. Continuò a torturarla per qualche minuto, poi si recò in bagno, infilandosi in doccia dopo essersi denudato completamente. Ignorò il suo cellulare che, appoggiato sulla mensola vicino al lavandino, continuava a squillare incessantemente. Sporgendosi un po', aveva letto il nome di Abiga il sullo schermo, e non si era allarmato affatto. Probabilmente la sua migliore amica aveva bisogno di qualche consiglio su come vestirsi quella sera stessa, e lui non aveva affatto voglia di aiutarla a scegliere un abbinamento carino.

Tuttavia, fu costretto ad accettare l'ennesima video-chiamata dopo averne rifiutate almeno cinque. Il volto di Abigail riempì la schermata del cellulare qualche istante dopo, e Daniel riuscì a capire immediatamente che qualcosa non andasse.

"Marcus non può uscire con noi", annunciò con voce tremula, non appena Daniel accettò la sua chiamata. Il ragazzo sospirò, allontanando il cellulare ed appoggiandolo sul comodino, in bilico tra la lampada ed il muro. Chiese ad Abigail di spiegargli cosa fosse successo mentre lui s'infilava un paio di jeans scuri strappati sulle ginocchia.

"H-ha detto che non ricordava di dover andare allo stadio con i suoi amici", spiegò. "Secondo me è una scusa, però", continuò, afflitta.

Daniel si bloccò davanti al cellulare, senza maglietta, e si abbassò appena per farsi inquadrare dalla fotocamera. "Sai che non mi faccio problemi a dirti le cose, mh?", premise. Abby annuì, soffiandosi rumorosamente il naso con il fazzoletto. "Questo venerdì non ci sono anticipi di partite, le squadre giocano tutte domani e dopodomani", spiegò. La ragazza sussurrò qualcosa del tipo 'lo sapevo, quello stronzo', ma lasciò parlare il suo migliore amico senza intromettersi. "Il punto non è questo, però. Lo sai che Marcus non mi è mai stato troppo simpatico, mi è sempre sembrato un tipo poco affidabile e superficiale, e non dire che non è così, Abby, perché si è divertito per mesi a vederti in difficoltà con lui". Disse, leggermente irritato. "Non hai bisogno di uno stronzo come lui, ci sono milioni di ragazzi più belli e meno immaturi, fidati", concluse, piegandosi per allacciarsi una scarpa.

"Si, ma-".

"Niente ma. Stasera ci divertiremo, io, te e Taylor, e non penserai a Marcus, okay?", la interruppe Daniel, tornando a fissare la fotocamera.

Abigail annuì impercettibilmente, ma stava sorridendo. "Se non fossi gay, ci avrei provato con te da anni", constatò, ridacchiando. Daniel emise un verso strozzato, a metà tra il sorpreso e l'inorridito.

"Non penso sarebbe funzionata, ci conosciamo dall'asilo", buttò lì, voltando le spalle al cellulare per aprire l'armadio.

"Oh, dopo questa sono davvero offesa!", esclamò la ragazza. "Meglio la camicia a quadri, Dan", constatò subito dopo, notando che il suo migliore amico avesse scelto una semplice camicia bianca. Mica stava andando ad una comunione, insomma.

Gliela  diede vinta solo perché aveva bisogno di consolarla in qualche modo.

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