The Mask | Paulo Dybala

By itssimy

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La storia di un compleanno, e di un regalo inaspettato che le cambierà la vita per sempre. La storia di uno s... More

Cast
1. Sorprese che non ti aspetteresti... beh, altrimenti che sorprese sarebbero
2. Quando tuo fratello fa stupidi scherzi e non gli interessa più vivere
3. Bella questa maglia sporca, la posso avere?
4. Telefoni rotti e altre belle cose
5. Quando rischi di schiaffeggiarti da sola in pubblico
6. Fette di prosciutto davanti agli occhi
7. Ecco cosa succede quando ti dimentichi di caricare il telefono
8. Ragionare con un altro tipo di cervello, se capisci che intendo
9. Vuoi fare una pazzia? Ti sei rivolta alla persona giusta
10. Piccoli errori di calcolo
12. Tutorial su come sembrare stupida in tre semplici mosse
13. Passare inosservati? Lo stai facendo nel modo giusto
14. Mettimi alla prova
15. Ogni buona confessione ha bisogno di una birra
16. Perché tutti mi guardano? Ho qualcosa in faccia?
17. Dammi un pallone e ti dirò chi sei
18. Nooo, papàà, non mi stressare
19. Certe cose devono andare male e basta
20. Risvolti interessanti e problemini ingombranti
21. Oh, questo? È solo il rumore del mio cuore in frantumi
22. Beh, se aspettiamo che sia l'uomo a fare il primo passo...
23. Torteria Belirc-Brelica-Berlicrab- al diavolo, non lo so dire
24. Quando vai più tu allo stadio che i calciatori che ci giocano
25. Sì, mi va proprio di mangiare - aspetta, un amaebi-sashi-cosa?
26. Cene che capitano tutti i giorni, insomma
27. Cosa cavolo è appena successo
28. Quando sei un idiota fatto e finito
29. Nell'occhio del ciclone
30. Occhio per occhio, prezzemolo e finocchio
31. Momenti imbarazzanti e dove trovarli
32. Quando scopri un angolo di Polinesia nel cuore di Torino
33. La malvagia strega dell'ovest
34. Sotterrare l'ascia di guerra? Io l'ascia te la do in testa!
35. Ora resterò qui, ad origliare, fate pure finta che non esisto
36. Spero che il karma ti prenda a pugni prima che lo faccia io
37. Perdersi e ritrovarsi
Epilogo - La finale

11. Non ci fare caso, sto solo morendo d'imbarazzo

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By itssimy




Capitolo 11
Non ci fare caso, sto solo morendo d'imbarazzo





Il ristorante dell'hotel Meliá era completamente a disposizione della Juventus, che intendeva festeggiare per bene quella notte. Alla squadra era stato permesso di rimanere a Genova dopo la partita, non essendoci allenamento il mattino successivo; i ragazzi erano liberi di ubriacarsi e festeggiare fino a notte fonda, cosa che effettivamente stavano già facendo, e l'hotel aveva chiuso la sala ai clienti per garantire loro il massimo della privacy.

La delicata musica che le casse trasmettevano era completamente sopraffatta dai bassi e dalle schitarrate che provenivano dal telefono di Dani Alves, che ovviamente giudicava la melodia di un hotel a cinque stelle non abbastanza adatta ad accompagnare la sua folle serata di divertimento. Con una mano sorseggiava il suo drink e con l'altra accompagnava il suo corpo in strani movimenti, già completamente partito, e fece venir voglia a Paulo di fargli un video e ricattarlo a vita. Ma probabilmente sarebbe stato lo stesso brasiliano ad insistere per pubblicarlo.

Il numero ventuno stava seduto su un divanetto, girando con una cannuccia la sua bibita; i suoi occhi saettavano di continuo sul telefono sopra il tavolino, mentre la sua mano sinistra era chiusa a pugno per tentare di resistere alla voglia di afferrarlo e controllare ancora una volta. Di questo passo sarebbe impazzito, ed il bello era che non capiva il perché. Non capiva cosa c'era di speciale in lei.

«Paulo non fare l'asociale, dobbiamo festeggiare! Vieni un po' a ballare!» Dani Alves attirò la sua attenzione, facendogli segno con la mano di andare a ballare con lui. Solo a pensarci gli vennero i brividi; il brasiliano non si sarebbe ricordato nulla l'indomani mattina, ma Paulo non era certo di poter sopportare qualche sfioramento di troppo da parte dell'amico ormai ubriaco. Non si poteva mai sapere dove quella mente malata lo avrebbe portato.

«Grazie amico, ma credo che passerò» gli disse, scuotendo la testa. Dani non insisté più di tanto, avendo trovato Neto da infastidire.

Un'ultima occhiata al telefono e l'istinto ebbe la meglio: andò su Instagram, verificando se magari gli fosse arrivato un direct che non aveva notato – praticamente impossibile, era da giorni che non perdeva mai d'occhio il telefono – e poi andò sul profilo di Adua Romeo.

La nuova foto risaliva a poche ore prima, e Paulo davvero non poteva sbagliare: un sorrisone prese forma sul suo volto mentre osservò il Luigi Ferraris sullo sfondo e il volto in primo piano di una ragazza parecchio sorridente.

Lei è qui.

Non riuscì ad impedire alle sue dita di correre sulla tastiera, e prima che se ne rendesse conto le aveva inviato un nuovo messaggio dopo giorni di silenzio da parte di entrambi.

"Sei venuta fin qui?"

La risposta non tardò ad arrivare, e questo contribuì ad accrescere il sorriso sul volto del ragazzo. "Come ho scritto nella didascalia, questo ed altro per la mia squadra." Niente di troppo sbilanciato, niente di ciò che si sarebbe aspettato. Aveva imparato a capire come ragionavano le ragazze quando flirtavano, e aveva soprattutto imparato a capire i loro atteggiamenti nei confronti di una persona famosa, che ne fossero interessate o meno. Alla fine questo non contava, contava che fosse famosa; eppure lei non faceva mai ciò che lui si aspettava di vedere, e questa cosa lo eccitava da morire.

Un'idea prese forma nella sua mente, e decise di seguirla prima che si potesse soffermare troppo a rifletterci su. "Permettimi di ringraziarti per essere venuta."

Un minuto, due minuti, cinque. Nessuna risposta.

«Paulo, alza il culo da quel divano e vieni qui!» Gonzalo quando era alticcio sapeva essere molto scurrile.

Lo schermo si illuminò. "Dove?" quella semplice parola gli fece correre un brivido lungo la schiena. Abbastanza neutra da non essere eccessiva, abbastanza implicita da invitarlo ad un incontro.

"Via Ilva, una traversa accanto al Meliá. Sono quello col cappello."

Chiuse il telefono e lo infilò nella tasca del jeans, il drink ormai dimenticato sul tavolo così come la festa.

«Ho un impegno, Gonzalo. Non combinare troppi guai.» Uscì dal ristorante, correndo verso l'ascensore per salire in camera e prendere una giacca, ma l'amico lo bloccò per il polso.

«Ehi, ehi, dove stai correndo?» Poteva anche essere brillo, ma di sicuro non gli era sfuggita la stranezza di un improvviso appuntamento di domenica sera in una città dove non aveva amici.

La risposta di Paulo fu uno strano luccichio negli occhi, e a Gonzalo bastò.

×××

Adua camminava avanti e indietro nella stanza da quasi dieci minuti ormai, una mano nei capelli e l'altra che stringeva convulsamente il telefono.

«Ma ti calmi? Mi stai facendo girare la testa!» Vanessa sfilò il cuscino da dietro la schiena e glielo lanciò, senza colpirla. Cadde senza un rumore sul pavimento.

«Tu vieni, vero?» Adua sembrò uscire da quella sorta di trance in cui era caduta e andò a sedersi sul letto accanto all'amica. Il materasso cigolò sotto il suo peso.

«Te lo puoi proprio scordare, tesoro.» Si aggiustò come meglio poteva, senza un cuscino a cui potersi appoggiare, e quando incrociò lo sguardo disperato dell'amica si accinse a spiegare. «Ti ha invitato ad uscire da sola con lui, non posso venire. E non ti accompagnerò neanche se è quello che stai pensando, pensa alla figura che faresti, una bambina che si fa accompagnare all'appuntamento dall'amica.»

Adua si morse l'interno della guancia, riflettendo sulle sue parole. «In effetti hai ragione. Mi sto comportando proprio da stupida, è come se non avessi mai visto un ragazzo in vita mia!» Con una rinnovata sicurezza si alzò di slancio, prendendo la giacca e la borsa e dirigendosi verso la porta. «Incontrerò Paulo, passeremo una bella serata e non farò la figura della sciocca. Alla fine è un ragazzo come tutti gli altri.»

«Esatto! È proprio un ragazzo come gli altri, con qualche milione in più, belle macchine e ragazze che gli svengono ai piedi, che fa un lavoro per cui è conosciuto in tutto il mondo, ma sotto sotto è un ragazzo esattamente come gli altri.» La bionda aveva appena finito di parlare quando il suo cuscino la colpì dritta in faccia, facendole sbattere la testa contro la parete. «Ehi!»

«Te lo sei cercato. Ciao!» Adua si chiuse la porta alle spalle, un sorriso in volto, l'adrenalina che montava nelle vene.

La via era deserta a quell'ora di domenica sera, l'unica luce proveniva dai lampioni sul marciapiede e dall'insegna dell'hotel non molto distante. Adua si strinse meglio nella giacca, guardandosi intorno alla ricerca di un ragazzo col cappello. I suoi occhi si posarono su una figura non molto distante, appoggiata al palo di un semaforo, con le mani in tasca e la visiera abbassata sul volto; eppure dal brivido lungo la schiena poté giurare che stesse guardando lei.

I piccoli e lenti passi si trasformarono in un'andatura frenetica, fino a quando a pochi metri da lui non ebbe più nessun dubbio: Paulo Dybala le sorrideva dolcemente, l'ombra del cappello nascondeva parte del suo volto.

I due restarono così per qualche secondo, distanti pochi metri e incerti sul da farsi, fino a quando Adua non colmò la distanza tra di loro gettandogli le braccia al collo. Il corpo di Paulo aderì al suo e lei non avrebbe mai immaginato di provare quella sensazione, le sue braccia che le cingevano i fianchi, il suo profumo che le sfiorava le narici.

L'abbraccio durò ore e passò in pochi secondi. «Vieni, andiamo da un'altra parte prima che mi vedano.»

Adua si limitò ad annuire, il volto in fiamme e lo sguardo fisso sul marciapiede. Sperò di non essere stata inopportuna, ma decise che non le importava. Non si sarebbe fatta mille problemi mentali.

Il bar in cui entrarono era aperto 24 ore su 24, e seppure Adua si aspettava di non trovare nessuno in realtà qualche cliente c'era ancora. Una comitiva di amici vicino al maxischermo, un paio di signori al bancone, una donna che leggeva un libro in un angolo. Si erano appena seduti ad un tavolino per due quando la cameriera arrivò per le ordinazioni.

«Per me una Coca Cola.» Paulo alleviò il suo imbarazzo ordinando per primo, per poi poggiare le braccia sul tavolo e fissarla negli occhi. Adua guardò prima lui e poi la cameriera, che sembrava più interessata a fare bolle con la gomma che ad osservare effettivamente chi avesse di fronte.

«Lo stesso, grazie.» La ragazza si allontanò, lasciando i due da soli a fissarsi. Si tolsero le giacche, ma Paulo mantenne il cappellino.

Il silenzio regnava tra loro, e seppur Adua cercasse qualcosa di intelligente da dire, lui non ne sembrava disturbato; anzi, pareva proprio si stesse godendo il momento, osservandola con quei suoi occhi limpidi e sorridendo leggermente. La ragazza giocava con le mani sotto il tavolo, lanciandogli di tanto in tanto un'occhiata e poi distogliendo lo sguardo quando sentiva le guance andare a fuoco.

«Sembri nervosa» constatò lui con un sorriso sghembo.

«In effetti mi stai rendendo nervosa» rispose sinceramente. Lui alzò un sopracciglio.

«Davvero? Non è mia intenzione, scusami.» In quel momento giunsero le loro bibite, e questo diede ad Adua qualche secondo da riempire sorseggiando la Coca e giocando col bicchiere. Quando capì che le sue mani non riuscivano a stare ferme le sbatté sul tavolo, imponendosi di smetterla, e lui la guardò con un sorriso sotto i baffi come ad aver capito tutto.

Si sporse in avanti sul tavolo, come a tenere privata la loro conversazione da eventuali orecchie indiscrete. «Quando ci siamo incontrati in negozio, ti ricordi?» Come se Adua potesse mai dimenticare. Ad un suo cenno del capo, proseguì. «Ti ho chiesto se ci conoscevamo. Perché hai detto di no?»

Perché sono una deficiente, ecco perché. «È vero, non ci conosciamo» ribadì, sentendosi stupida per essersene uscita con quella pessima frase ancora una volta.

Lui tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia, scuotendo la testa. «Bella risposta, ma sai cosa intendevo veramente. Se ci eravamo già incontrati.» Adua rimase in silenzio, per non rispondere con un'ovvietà, e bevve un altro sorso. Quando lui capì che non avrebbe detto nulla, insistette. «Perché hai risposto così?»

Adua fece un leggero sospiro, fissandosi le mani sul tavolo. «Sinceramente? Non lo so» sbottò frustrata. Lui rise, alleggerendo l'atmosfera, facendo sorridere anche lei. «Non pensavo importasse, che ti ricordassi di me» aggiunse gentile.

Paulo sembrò mettersi sulla difensiva. «Non ho detto che mi importa.» A quelle parole Adua si irrigidì, e sul viso del ragazzo fu evidente il rimorso. Corresse il tiro. «Ma se mi avessi dato un'altra risposta, questo – indicò loro due – sarebbe potuto succedere settimane fa.»

Adua scrollò le spalle, cercando di non mostrare come l'avesse scossa. «Meglio tardi che mai, no?» Sorrise timidamente.

Lui si aprì in un ampio sorriso. «Suppongo di sì.»

Una curiosità le passò per la mente. «Come hai fatto a trovarmi su Instagram?»

Adua non l'avrebbe mai detto, eppure il ragazzo sembrò imbarazzarsi un po'. «Beh, questa è una storia divertente. In realtà è merito di Gonzalo.»

«Higuain?» Adua spalancò gli occhi.

«Sì. – Rise osservando la sua faccia. – Non ti dirò di come ho sbirciato un po' sul tuo profilo o mi metterei in imbarazzo da solo, diciamo che ho visto la foto con me e ho collegato i punti.» Fece un gesto con il dito come a collegare invisibili puntini davanti ai suoi occhi.

Adua sentì il calore irradiarsi dal collo alle guance, ma non abbassò lo sguardo. «Perché mi hai scritto? Sai quanta gente fa foto con te, ma non credo fai così con tutti.»

Paulo si aspettava quella domanda, ma non aveva mai pensato davvero ad una risposta – vera o finta che fosse. «Beh, ma non butto tutti per l'aria. Dovevo farmi perdonare» scherzò.

Sapevano entrambi che la risposta non era altro che una patetica scusa, ma Adua ebbe la decenza di non insistere, non volendo vederlo chiudersi a riccio. Il silenzio calò di nuovo tra di loro, eppure questa volta le parti sembravano essersi invertite: Adua sorseggiava tranquillamente la sua bibita, guardandolo, mentre lui sembrava avesse la sedia bollente da quanto si muoveva.

«Hai ancora il telefono rotto?» I due si fissarono negli occhi per qualche secondo, e stavolta toccò ad Adua sorridere sotto i baffi come aveva fatto lui poco fa: non lo conosceva, eppure sapeva che aveva bisogno di tornare su acque più sicure e quello era il primo argomento che gli era venuto in mente, argomento che tra l'altro le aveva rifilato già varie volte.

Gli occhi di Paulo brillarono, come ad aver capito che lei avesse capito, ed un sorriso mozzafiato si aprì sul suo volto. Adua abbassò lo sguardo sulla sua borsa. «Sì, ma lo terrò così.»

Lui allungò la mano. «Fai vedere.» Lei lo guardò con la fronte aggrottata, prima di fare come le aveva chiesto. Paulo osservò lo schermo, e sembrava che stesse riflettendo su come dire qualcosa. Adua gli andò incontro.

«Però le foto le fa ancora bene» buttò lì casualmente, per poi sorridere astutamente allo sguardo sorpreso di lui: sembrava che capissero i pensieri l'uno dell'altra.

Lui alzò un sopracciglio. «Oh, davvero?»

Lei annuì con un volto serio. «Sì, vuoi vedere?»

Lui imitò la sua espressione posata. «Sì, sono proprio curioso.»

Adua dovette trattenere le risate, poi si spostò più vicina e si scattarono la foto. Il braccio non le tremava, e rifletté che dopo un primo imbarazzo iniziale era soddisfatta di come spontaneamente si fosse comportata quella sera. Guardò la foto con un sorriso, prima di girarsi e trovarlo più vicino di quanto non fosse mai stato. Deglutì.

«La aspetto su Instagram, allora» le disse sottovoce, come a non voler turbare quella vicinanza che si era creata.

Adua sbatté più volte le palpebre, prima di sorridergli. «Non ti deluderò.»

Lui fece l'occhiolino, facendolesaltare un battito. Poi se ne andò.


Salve bellezze!
Passato un bel Natale? Questo è il mio regalo per voi, uno dei miei capitoli preferiti. Non potete capire quanto sia gelosa di Adua in questo momento (?) kjshfjgs
Lasciatemi una stellina e una recensione per farmi sapere la vostra opinione su questo primo incontro.
Bacioni xx

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