Urban Legends

By CactusdiFuoco

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[STORIA COMPLETA] Io sono Furiadoro e la mia esistenza è una sorta di... leggenda. Sono una donna lupo, una s... More

Prologo
L'inizio di un nuovo viaggio
Finto-Vampiro
Il sangue dei licantropi
Sospesa tra due mondi
Il corpo di un lupo
Il muso della ferocia
Di nuovo umana
Massacro di plenilunio
Ciò che mi ha dato la Luna
Una lupa tra gli umani
Il club degli animali
Incontro col mandante
La casa del mago
La routine della donna lupo
Everybody was Kung Fu Fighting
La ricompensa dei ratti
Cannibale
Il gabinetto pensatoio
L'omicidio di Mr.Mell
Illusioni di tempi andati
Licantropi for dummies
Una terribile bestia in abito elegante
Sebastian Barren
Cacciare cacciatori
Le risorse nascoste di un goldenwolfen
Un dottore immaginario?
Un dottore pazzo?
Un luminoso Sabato mattina
September Aster vs Franco Staretti
L'altra bestia d'oro
Tutti i mostri sono capricciosi
Lupouomo
Violenza e mutazioni
Goldenwolfen
Il Natale anormale
Uno spettacolo di magia
Due mostri non possono scontrarsi senza conseguenze terribili per entrambi
Ritorno alla vita
Su Dio e sulla salvezza del genere umano
Lupo acromegalico
Primo intermezzo narrativo
September che parla a ruota libera
Una strana creatura trovata in un fosso
Sharazad
Un plenilunio con Cuscino
Fame di morte
Un nuovo autocontrollo
Il ritorno del cacciatore nero
E si aprirono le porte dell'inferno
Benvenuta nella tua tomba
In cui si ammazza una nosferatu
Conversazione con la Mater Inferorum
Un troll con vestiti nuovi
Santo Stefano di Camastra
Aldo, la bottega e l'uomo misterioso
Ci rivedremo in un'altra città
La Madre dell'Inferno
Solo un sogno in carne ed ossa
Lo squallore e la (gradita) separazione
Mack e Jack
L'orologiaio
Un vampiro diverso da tutti gli altri
Il portale di Miomarto
PARTE SECONDA
Un viaggio sabotato
La Città Senza Nome
Le Creature senza Nome
E il pericolo arriva anche sottoterra
Vampiri pazzi
Una foto di gruppo su una nave da crociera
Un vampiro addormentato su una nave da crociera
In comunione con il vampiro
Furio Dorati
Furio il supereroe
Un inganno riuscito
Quel che Lilith fece a Vlad
Vampiri con le mitragliatrici
Grande Crinos
Fullbeast mode
Intrappolata dalla magia
Di ritorno dall'Inferno
Mostri con le ali
I poteri "aldilà"
Un segno di Dio?
Finale di battaglia
Epilogo
Urban Legends #1: il mago e la donna lupo. Un ebook per voi!

A caccia per vivere

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By CactusdiFuoco

Attenzione: in questo capitolo sono presenti scene di violenza e morte con i cani. Furiadoro è un mostro e così come uccide gli umani fa anche con i cani abbandonati. Se la violenza sui cani (abbandonati) è per voi un tema troppo sensibile, vi consigliamo vivamente di saltare il capitolo (o almeno la seconda parte, in cui va a caccia). Ovviamente, da bravi cinofili, non condividiamo le idee della protagonista del libro riguardo ai cani, che sono le creature più perfette e meravigliose del mondo animale.

Grazie per l'attenzione.

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Tre giorni.

Furono tre giorni di delirio per me e per Cuscino. Per me perché stavo letteralmente impazzendo per la paura di perderlo per sempre, per lui a causa della febbre. Per i lupi, prendere la febbre è diverso che per gli umani, loro non possono sudare, non possono espellere calore attraverso la pelle.

Aveva contratto l'infezione. Anzi, le infezioni. Una gli avvelenava il sangue, l'altra si traduceva in una specie di polverina bianca intorno allo squarcio purulento. L'odore non era affatto buono, ma mi era rifiutata di allontanarmi per più di una decina di secondi dal suo corpo. Per il momento abitavamo tutti a casa di September, una condizione che avrei trovato meravigliosa se non avessi saputo che la causa di tutto questo era la malattia di Cuscino.

Eravamo in sei sotto un tetto: io, Cuscino, Blacky, Il dottore, September, il nostro maggiordomo Michele. Ora che ci penso, l'unica femmina ero io. Al tempo non lo trovai strano, e anche riflettendoci adesso... non mi pare affatto strano. Diciamo che li ho sempre considerati il mio piccolo harem. Di cui usufruire quando ne avevo voglia, anche se praticamente li sfruttavo tutti come maggiordomi. Non avevo mai provato ad accoppiarmi con qualcuno di loro.

Erano i miei amici o perlomeno credevo che lo sarebbero stati fino a primavera, quando magari ci avrei fatto un pensierino.

Mi stavano sempre così vicini, mi sostenevano. Perché avrebbero dovuto farlo, se non mi volevano bene? Sarebbe stato bellissimo, se non fosse stato per colpa della malattia di Cuscino. Blacky, in particolare, era il licantropo più gentile che avessi mai incontrato. Beh, in realtà era il primo con cui avevo avuto occasione di confrontarmi pacificamente. Chissà, magari avrei scoperto che erano tutti così, se non li avessi fatti fuori o se non avessero cercato di farlo loro.

Lui era sempre disponibile. Per tutto. Solo che non aveva il senso dell'umorismo. Non lo avevo mai sentito ridere. E lo stesso valeva per il dottore, mai una sola risata, anche se quest'ultimo era invece capacissimo di battute pungenti da fare sbellicare un cretino.

Mi chiesi come mai Blacky e il dottore Staretti vivessero insieme. Non erano molto diversi, è vero, entrambi erano due uomini gentili e tanto timidi da non ridere in pubblico, ma mi sarebbe piaciuto sapere come si erano incontrati. Dove, come, perché avevano deciso di stare insieme. Non per criticarli, ma per saper come potesse formarsi un duo tanto perfetto. Al confronto della loro capacità di collaborazione, della loro affinità, della loro amicizia, mi parve che io e September fossimo uniti soltanto da una specie di possessività. Può darsi anche che mi sbagliassi, ma invidiavo quei momenti in cui vedevo il dottore e Blacky sedersi di fronte alla casa, sul gradino, e parlare sottovoce di cose, di segreti, che io e Set probabilmente non avremmo mai avuto. E allora appoggiavo la testa sul petto di Cuscino, coricato insieme a me sul divano letto aperto, e gli raccontavo storie che mi sembravano inventate di sana pianta da me medesima, ma che, alla fine, mi lasciavano sempre la sensazione di essere vecchie leggende che mi erano state raccontate da grandi saggi.

E allora iniziavo a pensare a tutt'altre cose. Mi confessarono, il terzo giorno, che mentre pensavo parlavo ad alta voce, senza accorgermene, di cose come "lupi d'argento in boschi d'inchiostro e pelli d'uomini dentro i lupi".

Questa cosa mi impressionò un po'. Non i lupi d'argento in boschi di inchiostro, quanto invece il fatto delle pelli d'uomini dentro i lupi. Non so perché, ma sentivo che stava succedendo qualcosa. Un nuovo passo. Un passo, non un ostacolo. C'ero già arrivata, sapevo perfettamente cosa doveva succedere, ma era una consapevolezza così piccola e fioca, così rannicchiata, che crederci risultava difficile. E così non me lo raccontai neppure da sola.

Il quarto giorno September mi svegliò con un colpo di mattarello dietro la testa che mi fece vedere letteralmente le stelle, puntini bianchi vorticanti nel nero. Non mi opposi, e poco dopo tornai a sonnecchiare. Un altro colpo, più forte del primo, mi raggiunse. Stavolta aprii gli occhi di scatto e feci per protestare, quando Set si mise ad urlare come un pazzo

«Sei un lupo morto! Morto! Dannazione! Non ti sei mossa di lì se non per andare in bagno... mangi lì, non ti muovi di un millimetro da tre giorni, stai diventando un invertebrato sessile ancorato a quello stupido divano letto! Voglio vederti fuori di qui entro trenta secondi!»

«Ma chi si prenderà cura di ...»

«Mi prenderò io cura di Cuscino, me ne prenderò cura io!» si indicò, e poi indicò la porta di uscita «Non sono un idiota. Voglio vederti fuori di qui. Voglio vederti tornare a casa trascinando un grosso animale, una mucca, completamente ricoperta di sangue! Voglio che tu ti muova! Dannazione, sloggia, rapidamente! Sloggia!»

«Ma... »

«Dieci secondi»

«September io ...»

«Lo dico per te. Vai a caccia. Ti sentirai meglio e la smetterai di avere sempre quel muso del cavolo! Sembri in fin di vita! Ma non lo sei, dannazione, non puoi soffrire anche tu... vai fuori! Ti ci butto a calci, se mi gira!».

Mi alzai e mi avviai fuori senza neppure guardare indietro. September aveva ragione. Dannatamente ragione. Stavo morendo anch'io, ed era la cosa più stupida che potessi fare in quel momento.

Uscii fuori. Dopo tre giorni ad annusare il puzzo stagnante di una ferita che lentamente andava in cancrena, l'odore dell'aria fresca, frizzante, fiorita, era meraviglioso.

Presto sarebbe stato Natale. Presto sarebbe stato il mio giorno. September mi aveva detto che, siccome non sapeva quando ero nata, avremmo festeggiato il mio compleanno a Natale.

Un'antica tradizione dice che è sacrilego nascere nello stesso giorno in cui nacque Gesù Cristo, perciò se questo accade, il nascituro non può che essere un uomo lupo. Anzi, per essere più precisi, un incontrollabile lupo mannaro, un mostro di Satana.

Io ero solo un licantropo femmina che stava cercando di ritagliarsi il proprio posticino in cima alla catena alimentare, come mi era di diritto, ma mi dava un certo compiacimento che si pensasse di me che fossi una creatura mitologica. Mi faceva sentire radiosamente splendente. Può anche sembrare ridicola l'immagine di un mostro che brilla di luce propria, ma nella mia mente aveva un valore sacro, quasi religioso. Ma la mia mente era e rimarrà sempre un po' troppo diversa da quella di chiunque.

Sentire il rumore dei miei piedi nelle ciabatte foderate di morbido peluche che schiacciavano l'erba gelata fu incredibilmente piacevole. Inspirare a fondo, farsi passare quell'aria frizzante attraverso le narici nella sensazione balsamica di aver annusato della menta, poi guardare verso la campagna aperta, alla ricerca di una preda di grossa taglia da uccidere il più brutalmente possibile, conficcandole i denti nella gola.

Set aveva ragione, questo mi avrebbe fatto bene. Ma scommetto che lui non sarebbe stato poi felicissimo quando sarei entrata a casa trascinando i quarti posteriori di una vacca pezzata che perdevano sangue.

Non volevo fargli perdere la pazienza più di tanto, perciò promisi a me stessa di ragionare mentre facevo le cose. Mi sfregai le mani, forte, per sentire il calore che si sprigionava.

Era bello essere soli in mezzo al verde. Mi incamminai, con le mani nelle tasche della tuta sformata che indossavo di solito. Incrociai il dottore che tornava dal supermercato, scendendo dalla sua vecchia Fiesta sforacchiata. Lui mi guardò quasi con sorpresa da dietro le lenti degli occhiali quasi tondi che aveva iniziato ad indossare. Davano una bella impressione di lui, ancora più dottore di quanto non fosse stato prima. La sua faccia si allargò in un sorriso, poi scaricò le buste dal sedile posteriore

«Fantastico» disse «Sei uscita, finalmente»

«Oh, sembra che tutti stavate aspettando solo questo»

«Tu dici di no?» fece roteare intorno alle dita una bustina più piccola, quella della farmacia, che sapevo contenere i preziosi farmaci per Cuscino «Sei importante per tutti noi. Non ti mentirò. Tu sei una chiave»

«Una chiave?» uhm, questa non mi suonava nuovissima, mi ero sempre sentita un po' chiave, nel senso di aprire qualcosa di nuovo, ma non mi era neppure un discorso chiarissimo «Ma una chiave di cosa?»

«Hai mai guardato Wolf's Rain?»

«Wolf's Rain?» ripensai all'immagine di un lupo dalla pelliccia bianca e il suo gruppo di amici «Intendi dire il cartone animato che trasmettevano su MTV?»

«Proprio quello»

«Si, certo che l'ho guardato» gli feci l'occhiolino «Se l'unico modo per farsi somministrare una dose di belle immagini sui propri simili, soprattutto un gruppo di bei maschi, è guardarli disegnati, pensi che io me lo perda?»

«Ovvio che no» si diresse verso casa, leggermente curvo, anche se dubitai che fosse per il peso delle buste «Beh, è qualcosa di simile a quello che fa Kiba. Presente il lupo bianco che apre il Rakuen, il paradiso dei lupi?»

«Il paradiso dei lupi?» ebbi un flashback impressionante «Una volta incontrai un licantropo biondo che stava morendo sul rogo. Mi disse di aprire le porte del paradiso. Non in senso figurato. Lo devo fare sul serio»

«Wow» mi prese sul serio «Beh, un bel lavoro. Divertiti a caccia»

«Come sai che sto andando a caccia?» gli chiesi, sospettando che avesse doti di medium ancora non rivelate

«Ah, perché voi mezzi lupi credete che noi umani siamo degli inetti?» alzò gli occhi al cielo, come per invocare qualcuno, un gesto che aveva insita tanta potenza da farmi credere che il dio degli uomini sarebbe sceso all'improvviso, commosso «Ti ho vista, sai, come ti muovevi, fiutavi l'aria, guardavi il prato. Eri pronta a scattare. Se di fronte a te ci fosse stato un cervo lo avresti preso come un ghepardo può prendere un cucciolo di facocero»

«Facocero?»

«Oh, è una specie di cinghiale, ma che vive in Africa ed è un po' più brutto e spelacchiato» mi spiegò, facendomi immaginare un grosso maiale color terra bruciata con una brutta pancia rigonfia e le zampe simili a stecchini «Non guardi i documentari?»

«Non passo la giornata attaccata alla televisione» gli feci notare

«In tre giorni ho visto la tv di fronte al vostro divano letto costantemente accesa, anche di notte»

«Ma non la stavo guardando» dissi la pura e semplice verità, per quasi il settanta percento del tempo la televisione era solo un sottofondo, una colonna sonora «Per esempio mi piace guardare te»

«Ho notato anche questo»

«Sei sposato?»

«Ti sembro sposato?»

«Spostato si, sposato no» confessai, allontanandomi per non vedere la sua espressione che, da quanto ne sapevo, poteva anche essere delusa.

Quando fui abbastanza lontana mi spogliai. E mi trasformai.

Fu meraviglioso essere di nuovo lupo.

Annusai l'aria. E partii, lasciando semplicemente che l'istinto avesse il sopravvento, lasciandomi sommergere dalla lucidità del ragionamento istintivo e dall'emozione fiammante dell'assassino, collegate...

Cerca. Piano. Testa bassa. Un'impronta. Due impronte. Non è uno zoccolo. Cos'è? Zampa di coniglio. Coniglio uguale piccolo animale. Piccolo animale, no troppo sangue sul tappeto di September.

Ero proprio un bravo lupo addomesticato. Anche nel supremo slancio della caccia... beh, era plausibile, non avevo poi abbastanza fame da potermi lasciare del tutto trascinare. Stavo diventando viziata.

Vidi qualcosa che si muoveva. Così, anche d'inverno? Non era normale tutta questa attività. Mi insospettii. C'era un coniglio enorme, bianco a macchie nere, a neppure due metri da me, che rosicchiava le foglie di tarassaco. Mi avvicinai cautamente, nel caso fosse fuggito, comunque, lo avrei recuperato in un balzo. Ma lui continuò a rosicchiare ignaro. Gli annusai il dorso. Non era un coniglio selvatico, il suo odore era troppo umano. Doveva essere scappato a qualcuno. Oppure, molto più probabilmente, era stato abbandonato. Non ci avevano pensato, i suoi proprietari, che quella povera bestia sarebbe stata una preda più facile di qualunque altra per le volpi? O per i lupi. Certo, non ci sono lupi in Sicilia.

Ma questo non significa che un coniglio non possa finire sbranato facilmente da un brutto, rognoso, spelato cane selvatico. Di quelli ce ne sono anche troppi. I miei pensieri si rivelarono quanto più possibile adeguati. L'odore di una piccola muta di cani mi punse le narici. Lanciai il mio ululato in avvertimento

«State lontani! Questo è il mio territorio! Sono una femmina adulta, sono un lupo! State lontani!».

Non vi fu risposta, quei vigliacchi non avevano neppure il fegato di dire "ci dispiace, ci allontaniamo subito". Oppure, pensai con una punta di irritazione, più semplicemente non sapevano come si faceva. Diedi un colpetto al coniglio, prendendolo sul fianco. Quello mi guardò un istante sdegnato, poi balzò un po' più in là e continuò a mangiare. I conigli domestici sono animali davvero idioti.

Lo annusai di nuovo. Pensai che fosse una femmina. Una femmina gravida. Quei bastardi dei padroni avevano abbandonato una mamma con tutti i coniglietti nella pancia, per farla mangiare da qualche animale selvatico. Sono un lupo, ma capii che non era giusto divorare proprio lei con tutto il cibo succoso e saporito, molto più abbondante, che esiste in giro. E poi che caccia è, se la preda non ha alcuna possibilità di opporre resistenza? Sarebbe come se ci si organizzasse con cani, fucili e tutto per andare a caccia di ricci, quegli animaletti timidi e lenti che al crepuscolo dondolano nel sottobosco. Avrei potuto portare a casa mamma coniglio. Allevare i coniglietti e poi mangiarli.

Lei si sarebbe chiamata, ehm... beh, meglio lasciare i nomi a September.

Proseguii, tranquilla. La avrei ritrovata al ritorno, mamma coniglia. E nessun animale selvatico avrebbe osato attaccarla con me nelle vicinanze. Le volpi, al contrario dei cani selvatici, non erano stupide e sapevano che c'è poco da fare quando il lupo esce dalla tana.

E poi non c'erano molte volpi in giro, ultimamente. Sembrava che in certi periodi scomparissero. Ma le volpi vanno in letargo? Pensai di no, non credo ci siano canidi che vanno in letargo.

I lupi, ad esempio, sono l'essenza stessa dell'inverno, la tempesta personificata. Testa bassa, annusai di nuovo il terreno. Si, avrei ucciso un cane selvatico, questo non avrebbe arrecato danno a nessuno, neppure a me. Certo, la carne di coniglio è circa un miliardo di volte e mezzo più buona di quella di cane malnutrito, ma la caccia è caccia e se volevo una preda che mi resistesse, o che perlomeno cercasse di seminarmi, quella era un cane selvatico.

Così mi diressi verso il branco. Sentivo il loro odore di pelle escoriata, di forme varie di irritazioni cutanee, di aliti pesanti, di zampe impiastricciate di fango. Erano messi proprio male, un branco debole e malridotto che cercava da mangiare in giro per le campagne, ignaro del fatto che potrebbe incontrare la presenza di un predatore più grosso e più cattivo.

Quando si accorsero di me, già da lontano, iniziarono ad abbaiare furiosi. Non ci vedevamo, ma ci annusavamo a vicenda gli odori e sapevamo perfettamente come localizzarci. E poi stavano facendo un chiasso infernale, considerato il fatto che erano anche nel mio territorio. Pensavo che sarebbero rimasti zitti e avrebbero cercato di scappare più silenziosamente possibile per sfuggirmi, ma capii che erano troppo magri, troppo affamati, per rifiutare la fonte di cibo che era presente nel mio territorio. Volevano sfidarmi.

Mi mostrai, senza cercare affatto di terrorizzarli. Sbuffai scrollando la testa.

Erano cani da caccia inutilizzati, c'era anche un setter che sarebbe stato bello se non fosse stato così magro, tanto che la pelle e la pelliccia rasa color bianco sporco si tendevano sulle costole che sembravano volerle stracciare. Il capobranco era un meticcio, con un brutto muso rabbioso, un po' piatto, e la taglia di un bullterrier, massiccio e piccolo, ma anche lui abbastanza magro, anche se meno degli altri. Questo era l'esempio vivente del fatto che essere alti due metri non serve a niente se non sei un guerriero nato.

E fu così che il piccoletto mi attaccò, si lanciò alla mia gola. Le sue corte zampe tozze andavano così veloci da creare un effetto in stile illusione ottica. Il resto della muta, solo cinque individui rognosi e magrissimi, lo seguì ululando, latrando, facendo un fracasso infernale.

Oh, cani da caccia abbandonati che vogliono uccidere un lupo. Cani da caccia denutriti, fra l'altro.

Non appena il piccolo capobranco mi raggiunse, lo voltai a zampe all'aria con il muso e gli squarciai la pancia con un morso. Il sangue mi bagnò il naso. Era così caldo, così diverso dall'aria gelida. Ringhiai, affondando un po' nel ventre, comprimendo le viscere che si torsero contro le mie labbra mentre il succo rosso mi schizzava, poi scattai in avanti e mi gettai sul setter scheletrico, afferrandogli fra i denti il collo. Quello guaì, terrorizzato, poi gli ruppi il collo e stringendo forte strattonai. Forse non ero consapevole della mia forza, perché senza volerlo gli strappai via la testa. La vidi roteare, descrivere un arco rosso nell'aria, ed atterrare con un tump morbido che mi ricordò quello di una spugna imbevuta d'acqua. Seppi che qualcosa di incredibilmente simile ad un sorriso mi tendeva le labbra, quelle labbra nere, sopra i denti, e sghignazzai. Era un ringhio, il mio, solido, tangibile, nonostante la vaghezza del motivo per cui lo avevo emesso. Puro divertimento.

Gli altri cani mi danzarono intorno abbaiando e scoprendo i denti. Io li fronteggiavo rapidamente, passando dall'uno all'altro individuo in meno di mezzo secondo, e facevo schioccare le mascelle rabbiosamente, facendoli retrocedere ad uno ad uno, cosicché il cerchio, invece di restringersi, si allargò. I cani erano spiazzati. Io ero dovunque, una grossa presenza calda fatta di pelo, muscoli, denti e grasso. Tutte cose che in loro erano insignificanti, al mio cospetto.

Un incrocio indecifrabile di specie, con il pelo di un color mattone spento e una macchia nera che gli copriva mezza testa, si lanciò coraggiosamente in avanti, ma quando vide il mio muso che calava su di lui lo vidi frenare bloccando bruscamente le zampe anteriori, infilarsi la coda fra le zampe e trascinarsi via sollevando spruzzi di terra nel tentativo di sfuggirmi.

Parve una specie di segnale, perché d'improvviso tutti gli altri animali lo seguirono, guaendo terrorizzati, e si allontanarono da me e dal mio territorio il più rapidamente possibile.

Non c'era molto da mangiare nel corpo scarno del setter, così annusai direttamente il piccolo incrocio di bullterrier e poi lo azzannai di nuovo al ventre, aprendo un po' di più lo squarcio per estrarne le succose viscere.

Masticai vigorosamente, poi cercai di strappare un po' di carne da sopra le ossa della gabbia toracica. La carne di cane non è la più buona del mondo, credo di averlo già detto, ma tutto cambia gusto quando sai che te la sei procacciata tu.

Masticai per un po', guaendo piano per farmi sentire e scoraggiare eventuali disturbatori del mio pranzetto. Passarono una decina di minuti. Mi asciugai il muso nell'erba, strofinai le zampe come si farebbe con i piedi su uno zerbino fino a far si che i peli ispidi, come setole di spazzolino duro, furono quasi immacolati e finalmente mi decisi a tornare a casa.

Trotterellai fino all'albero sulle cui radici avevo lasciato i vestiti e, con un po' più di difficoltà del previsto, mi ritrasformai. Mi vestii più veloce che potei, visto che il freddo mi pungeva la pelle in maniera alquanto fastidiosa. Ero ormai certa, più che certa, che i licantropi selvatici passassero l'inverno nella loro forma di lupo.

Poi passai a prendere mamma coniglio.

Si, in effetti non era malaccio se gli fosse rimasto appioppato quel soprannome: Mamma Coniglio. O Coniglia, si vedrà... accarezzai il suo pelo, mentre me la mettevo in braccio. Era morbido e setoso, poi sulla testa e dietro il collo era meravigliosamente fitto. Non era un animale fatto per la natura, per correre in mezzo agli sterpi secchi delle pianure, per sfuggire alle fauci dei predatori. A parte il fatto stesso che era enorme, troppo lenta anche per il più grasso e molliccio dei cani rognosi che circolavano per le campagne da praticamente sempre. Accarezzai la sua pancia, rigonfia, premendo forse un po' troppo per seguire le forme dei minuscoli corpicini compressi lì dentro. La coniglia cercò di scappare, sporse le zampine anteriori da oltre le mie braccia e diede sfogo a tutta la forza compressa in quelle posteriori. La trattenni agevolmente, stringendola contro di me, quella carne che viveva. La annusai ancora. Era una bella sensazione stringersi addosso quella calda, morbida palla di pelo bianco e nero, spaventata. Avrei potuto ucciderla con una mossa sola, anzi, con una sola, piccola, pressione sul cranio. Ma avevo in mano la vita sua e di tutti i suoi piccoli ed avevo appena deciso di risparmiarla. Mi sentii una brava donna lupo.

La porta di casa era socchiusa. La spinsi con la spalla ed entrai a passo felpato, con il sorriso sulle labbra

«Ehi!» esclamai, sentendo che la mia voce risultava quanto mai allegra «Set, guarda un po' che cosa ti ho portato!».

Non vi fu risposta. Mi raddrizzai, smisi di fare il passo della pantera rosa e iniziai a chiamare più forte

«September, guarda che non è un animale sgocciolante di sangue... ho una sorpresa per te».

La casa era silenziosa. Anzi, no, c'era come un gemito di sottofondo, lento, un guaito.


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