Urban Legends

By CactusdiFuoco

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[STORIA COMPLETA] Io sono Furiadoro e la mia esistenza è una sorta di... leggenda. Sono una donna lupo, una s... More

Prologo
L'inizio di un nuovo viaggio
Finto-Vampiro
Il sangue dei licantropi
Sospesa tra due mondi
Il corpo di un lupo
Il muso della ferocia
Di nuovo umana
Massacro di plenilunio
Ciò che mi ha dato la Luna
Una lupa tra gli umani
Il club degli animali
Incontro col mandante
La casa del mago
La routine della donna lupo
Everybody was Kung Fu Fighting
La ricompensa dei ratti
Cannibale
Il gabinetto pensatoio
L'omicidio di Mr.Mell
Illusioni di tempi andati
Licantropi for dummies
Una terribile bestia in abito elegante
Sebastian Barren
Cacciare cacciatori
Le risorse nascoste di un goldenwolfen
Un dottore immaginario?
Un dottore pazzo?
Un luminoso Sabato mattina
L'altra bestia d'oro
Tutti i mostri sono capricciosi
A caccia per vivere
Lupouomo
Violenza e mutazioni
Goldenwolfen
Il Natale anormale
Uno spettacolo di magia
Due mostri non possono scontrarsi senza conseguenze terribili per entrambi
Ritorno alla vita
Su Dio e sulla salvezza del genere umano
Lupo acromegalico
Primo intermezzo narrativo
September che parla a ruota libera
Una strana creatura trovata in un fosso
Sharazad
Un plenilunio con Cuscino
Fame di morte
Un nuovo autocontrollo
Il ritorno del cacciatore nero
E si aprirono le porte dell'inferno
Benvenuta nella tua tomba
In cui si ammazza una nosferatu
Conversazione con la Mater Inferorum
Un troll con vestiti nuovi
Santo Stefano di Camastra
Aldo, la bottega e l'uomo misterioso
Ci rivedremo in un'altra città
La Madre dell'Inferno
Solo un sogno in carne ed ossa
Lo squallore e la (gradita) separazione
Mack e Jack
L'orologiaio
Un vampiro diverso da tutti gli altri
Il portale di Miomarto
PARTE SECONDA
Un viaggio sabotato
La Città Senza Nome
Le Creature senza Nome
E il pericolo arriva anche sottoterra
Vampiri pazzi
Una foto di gruppo su una nave da crociera
Un vampiro addormentato su una nave da crociera
In comunione con il vampiro
Furio Dorati
Furio il supereroe
Un inganno riuscito
Quel che Lilith fece a Vlad
Vampiri con le mitragliatrici
Grande Crinos
Fullbeast mode
Intrappolata dalla magia
Di ritorno dall'Inferno
Mostri con le ali
I poteri "aldilà"
Un segno di Dio?
Finale di battaglia
Epilogo
Urban Legends #1: il mago e la donna lupo. Un ebook per voi!

September Aster vs Franco Staretti

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By CactusdiFuoco

Eravamo arrivati nei pressi di un piccolo edificio in mezzo alla campagna. Lo studio veterinario era quello, dunque... curiosamente non sembrava avere niente a che vedere con quelle stanzette di città che si riconoscevano come ambienti asettici da un miglio di distanza. Questa, almeno io la vedevo così, era una piccola oasi che svettava fra i pini marittimi.

All'esterno era parcheggiata una vecchia Ford Fiesta grigia metallizzata con un sacco di graffi sulla fiancata. Graffi profondi e regolarmente distanti fra loro, come quelli lasciati da artigli. Mi avvicinai all'automobile e sfiorai con l'indice uno di quei graffi, sentendo piacevolmente i bordi sollevati della vernice scrostata e poi il vuoto sotto il polpastrello mentre lo spostavo al centro del buco. Mi chinai ad annusare quei segni, istintivamente. Erano ancora impregnati dell'odore di colui che li aveva lasciati. Era stato senza dubbio un lupo, un maschio. Ma nessun lupo poteva avere una zampa così grande da lasciare tagli così distanziati e artigli così lunghi da creare fessure tanto profonde. Ne dedussi che fosse un maschio di licantropo.

Aveva un odore più forte di quello di September quand'era trasformato, un effluvio che sapeva più di carne e d'acciaio che di muschio e d'ambra. Ma è sempre difficile identificare con precisione un odore: ognuno di essi è unico e trasmette sensazioni diverse. Questa volta, la sensazione fu quella di sapere che il licantropo che aveva graffiato l'auto era qualcuno che aveva un carattere celato, come si dice, dietro una spessa cortina d'acciaio, un fisico magro e saldo, magari la pelliccia nera. Qualcuno di particolare.

Potevo sbagliarmi in un sacco di cose, ma il naso... oh, il naso non mi aveva mai tradita.

D'improvviso sentii il battere di piedi di un uomo che faceva una corsetta leggera, un uomo che era troppo alto per essere September. Senza neppure girare la testa notai una macchia di un colore grigio-marroncino che si avvicinava rapidamente, respirando con regolarità. Riconobbi il suo odore, il suo passo, il suo modo di essere. Era un dottore, che al tempo in cui lo incontrai mi parve un'allucinazione.

Anche così, in pieno giorno, era strano. Una figura irreale, in un camice bianco sporco con i gomiti rattoppati. Come può un medico non avere abbastanza soldi da comprarsi un nuovo camice? Avevo letto abbastanza libri e guardato abbastanza televisione da sapere che il loro era un lavoro eccellentemente retribuito.

Così, in piena luce, il medico Franco si fermò dalla sua leggera corsetta e il camice svolazzante si fermò e si adagiò contro le sue gambe. Era più magro di quanto mi fosse parso la prima volta, ma comunque non emaciato. I suoi capelli di un colore polveroso erano notevolmente diversi da com'erano il giorno della festa, non più spettinati, ma con una frangia molto simile a quella di Set, solo un po' meno scompigliata, che gli cadeva sulla fronte. Non so spiegare perché, ma nella mia mente questo è l'aspetto che dovrebbe avere uno scienziato.

Lui sollevò una mano in segno di saluto, sorridendomi. Mi accorsi che le sue mani erano molto grosse, le sue dita forti, le unghie spesse e anche quelle di un colore polveroso. Mi chiesi, e mi chiedo tutt'ora, se quel colore sia naturale oppure se sia solo un velo di sporco. Tutta la sua pelle è diversa da quella di un essere umano normale. La prima volta mi parve più vellutata e fredda, come roccia. Avrei voluto toccarlo per scoprire se davvero fosse fredda.

September parve avere la mia stessa idea, perché si avvicinò al dottore e gli tese una mano

«Buongiorno, dottor Staretti» gli disse, in tono amabile

«Buongiorno» rispose lui, continuando a sorridere.

Notai che aveva qualcosa di vagamente simile al dottor Barren, credo fossero le rughe sotto gli occhi. Il suo sguardo era gentile. Aveva una cicatrice molto vistosa sulla mano che stava stringendo a September, che sembrava una specie di vena in rilievo:pareva che un coltello, o magari un bisturi vista la sua professione, gli fosse strisciato contro il dorso della mano ledendo i muscoli con una certa profondità dal polso fino all'inizio del dito medio.

Il dottore si voltò a guardarmi di nuovo dopo aver scambiato con Set qualche convenevole banale, l'ormai rituale richiesta di accertamento della salute di chi si ha di fronte. Si avvicinò a me e poi diede un'occhiata rapida alla propria automobile

«Allora, aurolupus, sembra che tu abbia già scoperto qualcosa su chi vive in questa casa» mi disse

«Si» io annuii «Sembra che ci sia un bel maschio».

Lui si mise una mano davanti alla bocca, come se trattenesse una risata

«Oh, un bel maschio» ripeté, divertito forse dalla mia affermazione «Si chiama Blacky. E quando ha saputo che tu esistevi... beh, forse è meglio che te lo dica lui».

September si avvicinò a me e mi strinse la mano come se avesse voluto dirmi di essere prudente. Ancora non capivo il perché della sua reazione. Nessun giovane maschio dal pelo nero avrebbe potuto sconfiggermi, né diventare il mio capobranco. Io ero la più forte, quindi cosa c'era da temere?

Il dottor Franco indicò la piccola struttura alle sue spalle

«Ma prego, entrate pure... vi va del caffè?»

«No, grazie » rispose Set, facendo una specie di smorfia «La caffeina mi uccide»

«Ah» il dottore parve profondamente deluso, come se ci fosse qualcosa di orribile nel criticare il caffè, ma quell'espressione scoraggiata passò solo un istante attraverso il suo viso «Allora del thé? Succhi di frutta? Sangue e zucchero?»

«Sangue e zucchero?» stavolta September parve veramente disgustato «Non stai dicendo sul serio, vero?»

«Mi dispiace, dico sul serio. Blacky lo adora. Non lo prepari mai per lei?» indicò me, con rispetto

«No»

«Ah. Io te lo consiglio, a loro piace molto. Credo. Almeno Blacky è uno di quello che lecca la ciotola» la sua voce mi tranquillizzava, era come se mi cullasse «Ma lui è un licantropo un po' particolare. Non ce ne sono molti come lui. Capirai, quando gli parlerai»

«Non vedo l'ora!» esclamai io

«Ottimo, senza dubbio» il dottore si avviò verso la casetta.

Io lo seguii, nonostante September, attaccato al mio braccio, sembrasse voler rimanere con i piedi piantati lì. Ma lo trascinai senza sforzo dentro, in quell'ambulatorio pulito e ordinato. Non asettico come quegli stupidi buchi di città che la sanità fa utilizzare e c'erano dei bei quadri alle pareti, fiori, una pianta di potos grande come una parete e fissata lungo tutto il muro di destra con numerosi gancetti. Sembrava più una graziosa casetta di campagna per villeggiature, se non fosse stato per il lettino da ospedale, un piccolo tavolo operatorio per animali, le strane apparecchiature addossate alla parete e la vetrina di legno scuro alta piena di medicinali in flaconi candidi con scritte rosse, blu o verdi.

Anche a Cuscino piaceva quel posto, visto come si accoccolò di fronte ai miei piedi sbadigliando. Non è mai facile, credetemi, tranquillizzare un lupo puro: sono creature sempre nervose, sul chi vive, quando si tratta di interagire con gli esseri umani. Ma a quanto pareva l'atmosfera di quel luogo, così familiare e luminosa, faceva stare bene anche un animale del genere.

Il dottore prese due sedie in fondo alla stanzetta e ce le portò. Io mi sedetti senza indugio. Lui rimase in piedi, appoggiandosi con i gomiti al lettino. Set non diede segno di volere muoversi. C'era qualcosa che non andava, ma non capii cosa. Poi guardai di nuovo September e compresi che la verità era che gli stava antipatico il dottore. E allora perché aveva deciso di andarlo a trovare? Per lanciargli occhiate malvagie? Non sembrava un buon piano.

Il giovane mago finalmente parlò, senza mostrare per nulla ciò che provava nei confronti dell'uomo che gli stava davanti

«Professore Staretti» si rivolse a lui con estremo rispetto, quasi ammirazione, benché poco prima avessi chiaramente letto nel suo sguardo un odio che avrebbe incenerito una montagna «Finalmente siamo venuti a trovarla»

«Dammi del tu» lo interruppe lui, quasi in un borbottio

«D'accordo, professore. Franco»

«Sembra che tu non riesca proprio a sopportarmi» indovinò il dottore, inclinando un po' la testa.

"Hai indovinato!" avrei voluto urlare, ma mi contenni. La situazione era già abbastanza tesa così. Cioè, Set era teso, noi eravamo tranquilli. O così mi pareva.

Inspirai a fondo

«Allora, dottore, mi spieghi cosa è successo quella sera? Come hai fatto a farli sparire? I corpi, intendo... »

«Ah, i corpi» il suo volto si piegò in un'espressione strana, ma ritornò immediatamente disteso «Si, li ho fatti sparire... e ho ripulito un po' in giro. Una cosa che avreste fatto anche voi, immagino»

«Così velocemente?»

«Questo solo perché non siete abbastanza organizzati» non c'era alcuna nota di scherno nella sua voce, seppure in quella frase ci sarebbe potuta stare «Siete rapidi a decidere, ma non a organizzare le vostre decisioni. Cosa fare prima e cosa dopo. E soprattutto non sapete come farlo»

«E io penso che tu possa aiutarci, dottore»

«Anche tu... dottore. Il mio nome è Franco»

«Ma a me piace chiamarti dottore» ribattei, imponendo con forza la mia preferenza, in modo che non potesse ribattere «Dottor Franco è il massimo che posso concederti»

«Ah, d'accordo» lui annui lentamente, continuando a fissarmi, con cipiglio vagamente spaventato

«Non volevo essere brusca» dissi immediatamente

«Beh, non importa...»

«Importa» intervenni «Si rischia sempre un po' di fraintendersi quando si parla per le prime volte. Io non voglio che tu mi fraintenda. Voglio che tu mi aiuti»

«Questo è veramente interessante» la sua voce parve riempirsi, di compiacimento credo, e le sue grosse mani grigiastre stropicciarono un po' il tessuto bianco, simile a garza liscia, che ricopriva il lettino «Un licantropo aurolupus che viene a chiedermi aiuto... e per cosa? Tu potresti anche uccidermi così, su due piedi se sai cosa intendo... non ci vuole nulla» rizzò la schiena, in un movimento quasi regale, il rialzarsi di una tigre maestosa che si decide ad andare a caccia, e si infilò le mani nelle tasche del camice, lasciando andare le braccia come se gli fossero solo di peso «Potresti alzarti, venirmi incontro così rapidamente da non lasciarmi margine di tempo per la fuga... potresti stringermi le dita intorno alla gola così forte e bruscamente da rompermi le vertebre del collo oppure, ancora peggio, potresti iniziare a stringere lentamente finché non muoio soffocato. Oppure potresti sfondarmi il torace con un pugno... se mi prendi qui» e, tirata fuori una mano dalla tasca, si indicò la zona sotto i pettorali «Nel plesso solare, trapassi da parte a parte. Non vedo a cosa dovrebbe servirti un omuncolo come me, che non è capace neanche di resistere ad uno dei tuoi assalti»

«Nessuno è capace di resistere a uno dei miei assalti» ribattei, senza nascondere in minima parte la fierezza che in effetti trapelò dalla mia voce con chiarezza «Ma fino ad ora non mi è parso di incontrare qualcuno che meglio di te può aiutare me e September. Questo è perché tu lo sai»

«So cosa?» parve perplesso, le sue sopracciglia si sollevarono fino a dare a tutto il suo volto un aspetto incredibilmente buffo

«Sai... insomma, sai in che situazione ci troviamo e di cosa abbiamo bisogno»

«Non so nemmeno come ti chiami. Se anche tu me l'avessi detto, io non me lo ricordo»

«Ah... non, non te lo ricordi?» mi mordicchiai il labbro inferiore.

Ero sicura di non aver preso un granchio nella valutazione di quell'uomo, ma mi metteva leggermente a disagio il fatto che ogni tanto, tipo in quel momento, facesse il tonto. E poi, cosa più terrificante di tutte, rischiavo di iniziare a mettermi a ridere sguaiatamente proprio in faccia a lui.

«Mi chiamo Furiadoro» Dissi, stringendomi un po' nelle spalle

«Furia d'oro?» lo pronunciò staccato, con accento leggermente strascicato

«No, Furiadoro, tutto attaccato»

«E io cosa ho detto. Furia d'oro» sorrise, incurvando semplicemente gli angoli della bocca, ma senza che quello contagiasse d'ilarità anche i suoi occhi.

Aveva un volto incredibilmente espressivo, molto morbido, ed ebbi modo di credere che possedesse nel suo repertorio almeno una decina di espressioni in più rispetto a quelle di un qualunque altro essere umano. Non riuscii più a trattenermi, dannazione, dovevo toccare la sua pelle! Mi alzai in piedi, mani lungo i fianchi, come un alunno modello che, leggermente imbarazzato, tenta di fare la propria richiesta al professore che stima tanto, ma deve sbrigarsi a togliersi quel peso

«Posso toccarti?» chiesi, rapidamente, in un tono che neppure io riuscii a decifrare del tutto, ma che neutro non era affatto. Diciamo che mostrai un po' di curiosità e qualche nota metallica di rabbia che non c'entrava affatto con il concetto espresso.

Lui si mise di nuovo una mano davanti alla bocca per non ridere, premendosi le dita contro le labbra, poi la fece scivolare fino al petto e la lasciò lì, premuta sopra il cuore

«Giusto cielo! Vuoi toccarmi?» inclinò un poco la testa, come un cane curioso, e un paio di ciuffetti gli coprirono il sopracciglio destro «Non credevo di essere così irresistibile»

«In un certo senso lo sei» mi avvicinai a lui con circospezione, cercando anche di carpirne le note di profumo con più chiarezza di quanto avessi fatto fino ad ora «Diciamo che mi interessa il colore della tua pelle... è strano. Senza offesa»

«Oh, la mia pelle» un vero sorriso si dipinse sul suo volto e la mano che poco prima era sul suo petto si mosse verso di me, tendendosi per permettermi di tastarlo agevolmente «Si, è un po' particolare dicono. Io non ci vedo niente di male. Siamo tutti così, nella mia famiglia, leggermente grigi. Ma è una varietà cromatica come tante altre, no? Ce ne sono neri, bianchi, giallini, tendenti al rosso, rosa intenso, non vedo perché non dovrebbe esistere il color pelliccia di ratto»

«Ma tu non sei color pelliccia di ratto» ribattei, prendendo le sue dita «Diciamo che è panna. Un bellissimo colore, e poi sei rosa anche tu, anche se meno degli altri»

«Wow» Dondolò sul posto, gongolando per finta «Chi dice che ad essere diversi non si fa colpo sulle donne, merita una dissezione seduta stante».

Non era freddo come roccia, ma era comunque meno caldo di me. Ma era normale che io, donna lupo, emanassi un calore superiore al suo. Le sue dita non erano solo grosse, erano enormi vista la sua taglia. Non avevo mai visto qualcuno che avesse la mano grossa come la mia. Ma la sua pelle era comunque piacevole al tatto, non vellutata, ma morbida.

«E comunque» Puntualizzò il dottore «Il mio colore non è niente di speciale. C'è di peggio per il mondo, tipo gli albini. Come me ne esistono tanti... solo che tu non ne hai visti mai. Ahia. Mi stai stropicciando la pelle, per favore, evita di farmi sanguinare!».

Mi accorsi che avevo preso a pigiare con troppa forza i polpastrelli contro le ossa delle dita e le nocche, solo per il piacere di sentire la cute che si tendeva e diventava ancora più liscia. Non mollai la sua mano, ma allentai la presa

«Scusa» mormorai «Mi dispiace... »

«Non, non fa niente, non preoccuparti» sbuffò lui, tutto d'un colpo «Sembri molto interessata a...»

«Te?» tira a indovinare September

«Alle mie caratteristiche morfologiche» completò Franco Staretti, con un leggero colpo di tosse «Che c'è, hai qualche problema, September Aster?»

«Problema?» sentii qualche venatura isterica nella sua voce «No, nessun problema»

«Davvero?»

«Senti, smettila di fare il tanto saccente e dici quello che hai da dire»

«Ma tu sei sicuro che io abbia qualcosa da dire?»

«Ovviamente»

«Ecco, adesso ti sbagli» il dottore mi passò un braccio sulle spalle, in un gesto amichevole che però, in qualche modo, mi ricordò quel traditore di Paul Hersen.

Non mi discostai, ma assunsi un'aria iraconda

«Finitela» ringhiai «Mi sembra di assistere ad una conversazione fra due bambini»

«Due bambini» ripeté il dottore, con calma

«Esattamente. Ma in particolare Set. Cos'hai?»

«Questa cosa si chiama gelosia» mi spiegò Franco, stringendosi più forte a me «Sai cosa significa, ma non capisci a quali livelli di idiozia possano giungere gli esseri umani. Anche un abbraccio per loro è una minaccia. In questo momento lui non vuole che io ti tocchi»

«Perché?»

«Te l'ho detto, senso di possessione e niente più»

«Senso di possessione? Come fai a saperlo?»

«Devi solo guardare i suoi occhi. Lui può anche essere bravo in molte cose... e lo è, se si è conquistato la tua ammirazione abbastanza da farsi seguire, ma purtroppo non riesce a nascondere ciò che pensa. Persino io, che sono solo un dottore di campagna... »

«Finiscila!» sbottò September, così forte che Cuscino sobbalzò indignato «Credi che io starò qui a sentirti per tutto il giorno! Hai qualcosa da dirci? Altrimenti ce ne andiamo»

«Voglio che facciate pace» dissi io, in tono solenne «Se non lo fate... credo che potrei diventare d'improvviso una persona che non riconoscerete»

«Cosa vuoi dire?» Set parve terrorizzato d'improvviso.

E per la prima volta, in lui, avvertii forte l'odore della paura. Ero sicura che se avessi toccato le sue mani, avrei sentito le prime gocce di sudore che gli bagnavano i palmi. Ma di cosa aveva paura?

Mi sfilai dalla presa del dottore, che parve capire e si ritrasse. Mi avvicinai a September, guardandolo con serietà. Studiai il suo volto. Un volto sconvolto, assolutamente, come se d'improvviso lo avessi pugnalato a tradimento. La fronte leggermente corrugata, su cui spiccava quel simbolo, la croce celtica, di cui non sapevo il significato. I suoi capelli, rossi, come fiamme.

I suoi occhi, verdi, spalancati. Erano molto belli.

L'unico peccato di tutto questo è che tanta bellezza era miniaturizzata. Non era della taglia giusta.

Mi accorsi che se fosse stato più maturo, più alto e appena un po' più muscoloso, sarebbe stato molto simile all'uomo che avevo sognato una volta. Occhi verdi, capelli rossi. La mia accoppiata di colori preferita.

«Set» Gli dissi, e gli posai una mano sulla testa, affondando i polpastrelli nella sua capigliatura morbida.

La sua espressione si alleggerì

«Furiadoro, io... »

«Tu!» la mia mano scorse rapidamente verso la sua nuca, lungo il retro del suo collo, fino al colletto del giubbotto, che afferrai saldamente per tirarlo su.

Sollevai il suo corpo leggero di una ventina di centimetri da terra e lo guardai negli occhi

«Allora, ragazzino. Ora tu e il dottore vi darete la mano e sarete buoni amici. Non voglio sentire mai più questa stupidata della gelosia. Da nessuno. Appena qualcuno lo dice gli mozzo la lingua. Ma tu non dargli modo di dirlo, capito ragazzino?»

«Capito, Furiaaa!» lui, anche così, sospeso da terra letteralmente, riuscì a sembrare terribilmente disinvolto e mi fece il saluto militare.

Ridacchiai, scuotendolo per gioco.

Franco Staretti non si unì a noi, molto discretamente, anzi, parve farci spazio perché lo sentii ritrarsi in un angolo della stanza. Era un uomo più discreto di quanto pensassi. Malleabile. E un bravo psicologo, proprio come Set, se non di più. Quando io e Set finimmo di giocherellare, lui si riavvicinò tranquillo. Io presi la mano di September e la infilai in quella, molto più grossa e robusta, ornata di cicatrice, del dottore. Vidi le dita di entrambi stringersi con la stessa intensità. Non c'era sfida in quel gesto, era una pura e semplicissima constatazione di amicizia. I due si guardarono negli occhi per qualche istante. Entrambi avevano sguardo sereno, rilassato, sotto le sopracciglia distese e le fronti chiare. Ne fui felice.

Il dottore si grattò una tempia con fare noncurante

«Adesso mi è concesso di parlare liberamente?» chiese

«Ma certo» rispose Set

«Ma scusa, prima non potevi dire tutto ciò che volevi?» ribattei io, sorpresa da quel piccolo scambio di battute

«Certo che no» il dottore si strinse nelle spalle e fece il gesto di abbracciarsi da solo, prendendosi per i gomiti «Troppa tensione. Troppe parole inappropriate. Poca familiarità con il mio interlocutore. Sarebbe finita male... credimi» sorrise.

Io annuii. Era tutto perfettamente plausibile. Che cosa strana, questi esseri umani. Psicologia.

Bah, l'importante era che ora fossero (o che fingessero di essere) amici e che entrambi mi aiutassero a capire che cosa stava succedendo e come fare per fermare tutto questo gran manicomio. Insomma, c'erano in giro fin troppi loschi tipi. Cacciatori di quelli della mia specie. Mi venne involontario risalire con la mano fino al sopracciglio rovinato e pensare a tutti i tagli che segnavano la mia pelle, alla lunga linea raggrinzita che partiva dal centro del mio palmo e percorreva l'avambraccio fino a metà. Pensai che, in un certo senso, fosse complementare con quella del professore. La sua cicatrice era sul dorso della mano, la mia sul palmo. Ed entrambe sembravano scomparire dentro la manica.

Mi venne voglia di stringere la sua mano fresca nella mia, per far combaciare le due cicatrici e vedere fino a che punto erano simili. Ma non lo feci, anche se sapevo che sarebbe stato facilissimo chiederlo e vedere esaudita la mia richiesta.

Perché percepivo che c'era qualcosa che non andava.


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