YOU'LL LOVE THE DEVIL//JB.

By antoniauu

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Lei Skyler Blue Braun, ragazza bellissima, popolare, testarda, ma dolce allo stesso tempo. Lui Justin Drew Bi... More

capitolo 1
capitolo 2
capitolo 3
capitolo 4
capitolo 5
capitolo 6
capitolo 7
capitolo 8
capitolo 9
capitolo 10
capitolo 11
capitolo 12
capitolo 13
capitolo 14
capitolo 15
Scusate
capitolo 16
capitolo 17
capitolo 18
capitolo 19
capitolo 20
capitolo 21
capitolo 22
capitolo 23
capitolo 24
capitolo 25
capitolo 26
Giochino...
capitolo 27
Altro giochino...
capitolo 28
capitolo 29
capitolo 30
capitolo 31
capitolo 32
capitolo 33
capitolo 34
capitolo 35
capitolo 36
capitolo 37
capitolo 38
capitolo 39
capitolo 40
capitolo 41
capitolo 41 (2^ parte)
capitolo 42
capitolo 43
capitolo 44
capitolo 45
capitolo 47

capitolo 46

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By antoniauu

Nobody's pov.

Mentre Skyler camminava per le vie meno affollate di Los Angeles, con la sua borsa Louis Vuitton, il telefono in mano e gli occhiali da sole tirati sopra la fronte, da tutt'altra parte del mondo una persona compose il suo numero, aspettando poi che rispondesse.

"Smettila di chiamarmi!" Ordinò la bionda rispondendo al telefono.
"Quando ci vediamo quindi? Lunedì?" La voce continuava a parlare, nonostante Skyler non volesse più parlare con quella persona.

"Porca puttana, Louis! Non me ne frega niente del trasferimento, di mio padre e di te!"
"Anche tu non interessi a tuo padre." Ribattè il ragazzo dall'altro lato del telefono.

Un colpo duro per Skyler, ma che non calcolò più di tanto.
Riattaccò la chiamata, perché era appena entrata nel palazzo delle agenzie del padre.

"Devo lasciare questi fogli in nome di Alessandro Braun." Disse Skyler alle due ragazze che la guardavano dalla postazione della reception.
"Da a me." Skyler passò i fogli alla ragazza mora che le aveva parlato.
"Posso andare?" Chiese la biondina, sporgendosi verso le due.

"Il signor DeSilvas, credo abbia qualcosa da dirle per suo padre." Skyler non conosceva affatto quella persona e nemmeno l'aveva mai sentita nominare da parte della sua famiglia. Eppure l'avrebbe sentita nominare per molti altri anni...

"Sta arrivando." Annunziò ancora la ragazza mora, volgendo un ultimo sguardo a Skyler e poi tornando a fare il suo lavoro.

Dei passi si diffusero nell'atrio del palazzo che fecero voltare all'indietro il capo di Skyler.
"Skyler." Esclamò con tono fermo l'uomo alto e di carnagione chiara. Una cicatrice sulla guancia destra faceva da cornice al suo viso. La camicia bianca infilata dentro i pantaloni eleganti, accompagnati da delle scarpe altrettanto eleganti, davano l'impressione dell'uomo dal nome 'DeSilvas'.

Quest'ultimo pose la mano a Skyler che afferrò saldamente, guardando l'uomo negli occhi color ghiaccio.

"Sono Carlos DeSilvas. Di a tuo padre che domani alle cinque di pomeriggio sono libero, mi può raggiungere." L'uomo scrutava attentamente quella ragazzina che stava ferma, immobile, senza proferire parola; quasi che Skyler avesse paura di quella persona.
Dopo aver fatto un piccolo cenno col capo, Skyler parlò: "Per fare cosa?"

"Sei così piccola, Blue. Sei ancora ingenua, ancora per poco." Carlos chinò il capo e ritornò da dove era venuto, lasciando Skyler confusa.

Uscì con passo accelerato da quel palazzo, sbloccando il telefono e componendo uno dei pochissimi numeri che sapeva a memoria.

Camminava, camminava e camminava per Los Angeles, con il disperato desiderio di tornare in centro il prima possibile.
"Pronto?"
"Justin, vienimi a prendere. Sono stata nell'agenzia dei miei e uno mi ha detto una cosa, ma non ho capito e mi ha fatto paura e adesso non so che strada devo fare, perché non c'è niente, un segnale, niente." Skyler parlava a raffica, mentre dall'altra parte del telefono si sentivano solo i passi di Justin, poi il rumore di una porta e di nuovo il rumore dei passi.

"Shh. Calmati, inviami la tua posizione e rimani ferma dove sei. Cinque minuti e sono da te." Skyler chiuse la chiamata, facendo come le aveva detto Justin ed aspettando.

Dopo dieci minuti arrivò Justin. Skyler entrò nella sua macchina, iniziando poi a spiegargli tutto nei minimi dettagli, fino a quando non arrivò ad una conclusione.

"Dobbiamo controllare fra le cose di mia madre e di mio padre, non me ne frega se mi è vietato o non porterei di rispetto. Devo trovare una cazzo di risposta a tutta questa merda."

"I tuoi sono a casa, adesso?" Chiese Justin, mentre guidava per le strade di Los Angeles senza una meta ben precisa. Aveva fumato due sigarette e l'aria nell'abitacolo della macchina dava fastidio a Skyler che non diceva niente, perché preoccupata d'altro.

"No, non ci sono." Rispose la bionda volgendogli uno sguardo.
"Ci andiamo ora." Disse Justin, cambiando strada e stringendo la sua mano intrecciata con quella di Skyler.

----
Skyler's pov.

Mentre giro le chiavi nella serratura della porta il cuore mi batte sempre più veloce.
Justin mi sta dietro e la paura che i miei possano rientrare da un momento all'altro mi sta mangiando l'anima.

Trasloco. Fermo la mano, bloccando i miei movimenti e sbarrando gli ochhi.

E' tutto vuoto il piano terra, tranne per la cucina. Hanno portato già via tutti gli scatoloni e l'arredamento, che gli dico?
"Tutto bene?"

"Sì, sì, sì." Rispondo velocemente e faccio scattare la serratura, entrando in casa e lasciando le chiavi per terra, seguite dalla mia felpa.

Inizio a salire le scale, ma la voce di Justin mi blocca.
"Che sta succedendo?" E' scioccato e meravigliato allo stesso tempo.
"Stiamo facendo l'arredamento, a mamma non piaceva lo stile della casa." Mento accennando un sorriso e sperando che ci creda...

Per mia fortuna chiude la porta e mi segue sulle scale. La camera dei miei genitori è tutta intatta, tranne per qualche capo d'abbigliamento dei miei.

Accendo il desktop in camera dei miei genitori e immetto la password; Justin si guarda intorno, scrutando ogni mio passo.

"Non so cosa ci possa essere qua dentro." Dico esasperata, cercando qualcosa sul computer. Qualsiasi cosa. Ma niente di strano attira la mia attenzione.

"Skyler, questa listarella di parquet." Dice Justin accovacciandosi al pavimento.
Non comprendo subito, cosa intende-- poi lo raggiungo velocemente con l'adrenalina che mi cresce nel sangue.

Togliamo il pezzo di parquet facendo molta pressione e osservo con sguardo dubbioso ciò che si trova sul pavimento.
Prendo tutti i fogli e la cartellina gialla, mi siedo sul letto dei miei ed inizio a leggere ciò che questi documenti contengono, anche se sono tutti in disordine.

"Dammi la cartellina." Justin mi sfila l'oggetto dalle mani,mentre io mi perdo nella lettura di tutti quei fogli stampati.

Poi arriva una notifica al computer.
'Posta privata, immettere password'

"Tu continua qui, io vedo il computer." Provo ad immettere una qualsiasi parola dove mi richiede la password, ma sono tutte errate.

Mi guardo intorno, ricordando il computer di Bentley e a quanto mio padre ci sia legato a quel coso.

"La password... è il numero del computer di Bentley, me lo sento." Dico eccitata, ma spaventata allo stesso tempo.

Ritorno dalla camera di Bentley con la password in mente e la immetto nella casella vuota.
'Posta sbloccata'

"Sì!" Un gridolino di felicità mi esce dalle labbra,mentre Justin poggia le mani sulle mie spalle osservando il computer.

'B. Jason Braun'
'Marco Braun'

"Chi è Marco?" Mi interroga Justin, mentre continuo a guardare quel nome con sguardo confuso.
Ci sono un sacco di cartelle tutto denominate con nomi di persona.

'Nuova posta: Incontro Louis Tomlinson'

"Cosa?" Sussurro fra me e me. Il respiro di Justin sul mio collo, la tensione evidente nell'aria e tutte queste cose della posta elettronica, mi stanno facendo spaventare tantissimo.
"Cosa ci fate qui?" Lancio un urlo spaventato quando sento la voce di mio padre. Lascio subito la mia postazione, iniziando a tremare. Justin è più spaventato di me.

"Fuori da casa mia, Bieber." Dice sempre mio padre; faccio un passo indietro, mentre incontro lo sguardo spento della mia figura paterna. Senza fare più un cenno, sparisce dalla nostra visuale.
Mi giro verso Justin spaventata. Le preoccupazione è evidente nei miei occhi.

"Sta calma, non ha fatto niente." Mi prende il viso fra le mani, baciandomi lentamente.

Chiudo gli occhi, dimenticando tutto per un secondo, ma ritornando alla realtà quando le sue labbra non sono più sulle mie.

Scendo le scale con Justin che mi segue.
Mio padre sta seduto su uno sgabello della cucina portato in salotto, mentre ci guarda.

"Chiamami se hai problemi, vengo lo stesso." Justin mi rassicura, mentre apro la porta di ingresso titubante nell'andare con lui.

"Ti uccido se ti ritrovo nella mia proprietà, Justin." Pronuncia mio padre amaramente ed in questo momento mi ritorna in mente il sogno della scorsa notte.

Una volta che Justin è uscito di casa, rimango ancora con le mani contro la porta, non avendo il coraggio di girarmi verso mio padre.

"Smettila Blue. Rischi di scottarti; e se ti scotti, piangerai per tutta la vita." Mi afferma per un braccio, facendomi voltare lo sguardo verso di lui.

La mia espressione: quella di una persona impaurita, terrorizzata; la sua: indifferente.

"Sei la mia peggiore arma." Mi ha sussurrato prima di girarsi e salire le scale.

----

"Hai detto ai tuoi di mio padre?"
"No, non ho detto niente a nessuno." Mi risponde Justin al telefono.

"Mi dispiace per quello che è successo." Confesso a bassa voce, rannichiandomi sotto le coperte.
"Non è colpa tua, lo so; ma..." Risponde con un sospiro.

"Non posso farci niente." Rispondo mettendomi una mano sulla fronte, stanca di tutto.
Il rumore della maniglia della mia porta, che si apre, mi fa subito nascondere il telefono sotto il cuscino, sperando che Justin si stia zitto o non faccia casino.

"Skyler, sono mamma. Stai dormendo?" Non rispondo niente alla domanda di mia madre, rimango immobile nel letto.

Non ho cenato e sono sicura che sia l'unica un po' preoccupata per me.

Quando chiude la porta, riprendo il telefono: "Ci vediamo davanti scuola?" Chiedo a bassa voce.

"Pensavo ti fossi addormentata." Scherza Justin dall'altro lato del telefono, poi continua: "Okay. Sta attenta." Lo saluto prima di chiudere la chiamata e scendo dal letto.

Metto le Jordan bianche e scendo le scale con il telefono e le chiavi in mano.
Esco di casa, senza prendere una felpa più pesante della magliettina aderente che ho, e mi dirigo verso il cancello di casa.

"Dove stai andando?"
"A farmi una vita, papà." Dico senza nemmeno girarmi, riconoscendo subito la voce di mio padre.

Metto le chiavi nella serratura del cancelletto di casa e prima di uscire mi giro verso la mia figura paterna.
"Non mi inpedirai mai di avere contatti con Justin."

"Hai cinque secondi per rientrare." Mi minaccia guardandomi dal portico di casa.
"Altrimenti?" Lo guardo altrettanto con sguardo di sfida, prendendo coraggio.

"Papà? La vuoi smettere?" Bentley mi salva in tempo ed approfitto di questa distrazione per andarmene, sbattendo forte il cancelletto di casa.

-

"Jay Jay." Gli vado incontro, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. È appoggiato alla macchina, con la solita sigaretta.

Mi sorride, per poi prendermi dai fianchi e stamparmi un braccio sulle labbra, che approfondisco.

"Non stai morendo di freddo?"
"Non volevo perdere tempo e non ho preso niente per coprirmi." Rispondo alla sua domanda, poggiando la testa sul suo petto.

"Sali in macchina, frullato al chiosco di Josh?" Chiede, mentre giro intorno alla macchina.
"Oddio, sì." Dico accedendo subito il riscaldamento.

Mette in moto la macchina e ci allontaniamo da scuola.
Nel frattempo che lui guida, penso ai documenti di mio padre, alla sua sfuriata piuttosto controllata e le cartelle sul loro computer.

Mentre ci fermiamo ad un semaforo, continuo a tenere lo sguardo fuori dal finestrino.
La radio è l'unico suono che si sente all'interno dell'abitacolo.

Una macchina in particolare, cattura la mia attenzione.

"Justin?"
"Mh?" Dice spostando lo sguardo su di me; le nostre dita sono intrecciate e stringo più forte le sue.

"C'è la macchina di mio padre." Rispondo mettendomi meglio seduta sul sedile.
"Non è il giorno per scherzare, piccola." Risponde vagamente, ritornando a guardare la strada.

"Non sto affatto scherzando, Justin. DH810RB. È quella la targa." Scatta il verde e Justin spinge il piede sull'acceleratore della macchina.

"Perché impari le targhe delle macchine?" Chiede con tono scherzoso, per poi farsi una risata ripensando a quello che ho detto.

"Lascia stare."

--

Mentre stiamo seduti ad uno dei tavoli del chiosco del Josh con i nostri frullati, penso al momento giusto per dirgli del trasloco.

Ogni santa volta mi faccio coraggio, ma non riesco mai a parlare.
O mi blocco o cambio subito discorso. Sta parlando del perché ha litigato con Jaxon. E sinceramente non lo sto seguendo molto, ma faccio finta di interessarmi.

"Tu? Come va con Bentley?" Mi chiede alla fine, facendomi puntare lo sguardo nei suoi occhi.
"Bene; va tutto bene. Sono solo stanca della scuola. Ho ancora due verifiche ed un progetto di storia da consegnare, altrimenti... non lo so cosa fanno." Dico terminando la frase con un sorriso, abbassando gli occhi sul mio frullato.

"Ciccia, mi dispiace. Sarà per questo allora che ti vedo un po' giù di morale." Mi si avvicina, lasciandomi un bacio sulla guancia, mentre mi stringe la mano sinistra.

Sorrido a quel gesto, socchiudendo gli occhi, godendomi l'attimo.

Il campanello della porta suona, ma non faccio caso alla persona che entra, perché inizio a parlare con Justin.

"Ti devo far vedere una foto." Dice tirando fuori dalla tasca della giacca il suo telefono.
Lo sblocca con l'impronta, per poi accedere alla galleria ed iniziare a scorrere fra tutte le foto che ha.

"Chi riguarda? Me?" Chiedo giocando con la cannuccia del frullato.
Con la coda dell'occhio vedo i suoi movimenti e poi mi porge il telefono.

La foto ritrae Zayn con un paio di mutande, da donna, in testa, a petto nudo nel giardino di Justin.
"Sta fatto un botto." Dico ingrandendo sulla sua faccia.

"Quando è stato?"
"È di due anni fa, quando ancora non eravamo migliori amici. Uscivamo insieme solo perché ci trovavamo nella stessa comitiva. Avevo dato una festa e successe il bordello." Dice fra le risate, contagiando anche me.

"Scommetto che è arrivata la polizia." Ipotizzo reggendomi la testa con la mano destra e continuando a sorridere.

"No, no. I miei mi hanno proibito di dare altre feste del genere." Conclude alzando le spalle e stringendo le labbra.

"Sei adorabile." Dico guardando la sua espressione; mi avvicino e gli stampo un bacio sulle labbra, che approfondisce subito.

"Chi si vede." Apro gli occhi, allontanandomi da Justin, posando lo sguardo sulla persona di fronte il nostro tavolo.

Mi si congela il sangue nelle vene alla vista di Carlos.

"Prego?" Gli chiede Justin, guardandolo dal basso. Mi si secca la gola, non riuscendo a dire niente.
Sto per andare nel panico...

"Blue. Come stai? Non ti vedo molto felice di vedermi." Continua continuando a fissarmi con quegli occhi ghiaccio. Mi terrorizza sto tipo.

"Ma cosa?" Sussurra Justin girando la testa verso di me.
"Cosa vuoi, Carlos?" Ignoro completamente Justin, facendomi coraggio e parlandogli.

"Si sta facendo tardi, non dovresti rientrare?" Mi sta sfottendo. Lo capisco dal suo tono di voce ironico.
È un uomo slanciato, per niente affascinante, ma potente. Un tiranno.

"Che ti frega?" Chiedo poggiando le braccia sul tavolo e guardandolo con sguardo di sfida.
Justin non ci sta capendo niente e credo sia meglio così.

"Skyler-" una risatina gli esce dalle labbra; una risatina di merda. "Attenta alle fiamme, tesoro."

"Non ho paura di scottarmi." Ribadisco, immaginando le stesse parole di mio padre questa mattina.

Si allontana verso la cassa del chiosco, facendo spuntare un ghigno sul suo volto, paga il suo conto e poi torna a guardarmi.

"Ti rimarranno le croste, allora." Elaboro la sua risposta, corrucciando la fronte, ma prima che gli possa rispondere è già arrivato alla porta.

"Ci vediamo lunedì, Skyler. Oh, ciao anche a te Justin." Il cuore perde un battito al suo saluto. Come cazzo fa a sapere il nome di Justin?

La sua figura sparisce dietro la porta e subito mi ritrovo addosso lo sguardo di Justin.

"Chi cazzo è quel coglione?!" Mi urla contro, la rabbia evidente sul suo volto.

"Sta calmo, è solo l'uomo di cui ti ho parlato questa mattina."
"Calmo un cazzo, Skyler! Come fa a sapere il mio nome?!" Se solo lo sapessi io...

"Justin, non lo so. È un conoscente di mio padre, non so più niente." Ribatto mentre corrugo la fronte.
Serra la mascella, incrociando le braccia e appoggiandosi alla sedia.

"Avevo ragione allora. La tua famiglia c'entra sempre." Alzo gli occhi alla sua affermazione, girando la testa dalla parte opposta.

"Sei uno stronzo." Borbotto ripensando a quello che ha appena detto. Stiamo tornando alle 'origini'?

"No, Skyler. La verità fa male, ma sinceramente non me ne fotte un cazzo, perché quell'uomo è un maniaco che conosce anche il tuo codice fiscale a momenti. E non mi va bene." Mi risponde, poggiando le mani sul tavolo. Lo guardo cercando di far trasparire il meno possibile le emozioni che sto provando in questo momento.

"Chiamo Bentley." Mi alzo dal tavolo, prendendo il telefono e sbloccandolo.
Mentre compongo il suo numero, mi fermo alla cassa.

"Quanto viene?" Chiedo guardando Josh dietro il bancone.
"Oh, è stato offerto dal signore con la cicatrice..." Commenta lui, guardandomi con sguardo dispiaciuto.

"Pff, ci seguirà fino a casa. Grazie, Josh." Mi parla da dietro le spalle Justin, prendendomi per una mano e tirandomi con se fuori dal locale.

"Devo chiamare Bentley." Cerco di staccare la presa che Justin pone sulla mia mano, ma non fa altro che stringere di più.

"Ti riporto io, cogliona." E solo quando apre la macchina, lascia la sua presa sulla mia mano, permettendomi di entrare.

Il viaggio in macchina lo passiamo in silenzio,mentre io non vedo l'ora di arrivare a casa. Parcheggia due villette prima della mia.

"Scusami per prima, mi sono lasciato prendere dal nervoso." Mi dice prima che io possa scendere dalla macchina.

Apro lo sportello, venendo inondata da una folata di vento gelido. Socchiudo gli occhi per le parole che oramai ho sentito tantissime volte, per poi rispondergli: "È sempre la solita storia, Justin. Ma non ti incolpo, perché so che è anche colpa mia."

Scendo dalla sua macchina, iniziando a camminare verso casa.
"Sky." Non mi giro quando mi chiama, ma mi afferma da un braccio facendomi girare e scontrare con il suo petto.

Le sua braccia che avvolgono il mio corpo e che mi accarezzano la schiena; le mie mani che si uniscono dietro il suo busto, stringendolo forte a me.

Mi lascio coccolare da quella persona che ho amato.
Forse non l'avrò amata tantissimo, perché ho solo 17 anni, ma so per certo che ho provato qualcosa di bellissimo per lui.
E poi, non mi importa più niente di tutto: della mia famiglia, di me stessa e di noi due.

Perché da quel che ho capito non ci sarà più un noi due.
Da quel che ho capito, fino a quando ci sarà mio padre, non lo vedrò più con quella serenità dell'inizio.
E poi come posso vederlo? Da Londra a Los Angeles la distanza è parecchia.

Siamo rimasti così, abbracciati, stretti fra le braccia dell'altro con il freddo gelido della notte che ci circondava.

Ma stavo bene, mi sentivo bene sia fisicamente che psicologicamente.
E sono certa che lui non ha sospettato nulla riguardo la lotta che stavo facendo con me stessa, perché l'ho nascosta troppo bene.


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