Urban Legends

By CactusdiFuoco

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[STORIA COMPLETA] Io sono Furiadoro e la mia esistenza è una sorta di... leggenda. Sono una donna lupo, una s... More

Prologo
L'inizio di un nuovo viaggio
Finto-Vampiro
Il sangue dei licantropi
Sospesa tra due mondi
Il corpo di un lupo
Il muso della ferocia
Di nuovo umana
Massacro di plenilunio
Ciò che mi ha dato la Luna
Una lupa tra gli umani
Il club degli animali
Incontro col mandante
La casa del mago
La routine della donna lupo
Everybody was Kung Fu Fighting
La ricompensa dei ratti
Cannibale
Il gabinetto pensatoio
L'omicidio di Mr.Mell
Illusioni di tempi andati
Licantropi for dummies
Una terribile bestia in abito elegante
Cacciare cacciatori
Le risorse nascoste di un goldenwolfen
Un dottore immaginario?
Un dottore pazzo?
Un luminoso Sabato mattina
September Aster vs Franco Staretti
L'altra bestia d'oro
Tutti i mostri sono capricciosi
A caccia per vivere
Lupouomo
Violenza e mutazioni
Goldenwolfen
Il Natale anormale
Uno spettacolo di magia
Due mostri non possono scontrarsi senza conseguenze terribili per entrambi
Ritorno alla vita
Su Dio e sulla salvezza del genere umano
Lupo acromegalico
Primo intermezzo narrativo
September che parla a ruota libera
Una strana creatura trovata in un fosso
Sharazad
Un plenilunio con Cuscino
Fame di morte
Un nuovo autocontrollo
Il ritorno del cacciatore nero
E si aprirono le porte dell'inferno
Benvenuta nella tua tomba
In cui si ammazza una nosferatu
Conversazione con la Mater Inferorum
Un troll con vestiti nuovi
Santo Stefano di Camastra
Aldo, la bottega e l'uomo misterioso
Ci rivedremo in un'altra città
La Madre dell'Inferno
Solo un sogno in carne ed ossa
Lo squallore e la (gradita) separazione
Mack e Jack
L'orologiaio
Un vampiro diverso da tutti gli altri
Il portale di Miomarto
PARTE SECONDA
Un viaggio sabotato
La Città Senza Nome
Le Creature senza Nome
E il pericolo arriva anche sottoterra
Vampiri pazzi
Una foto di gruppo su una nave da crociera
Un vampiro addormentato su una nave da crociera
In comunione con il vampiro
Furio Dorati
Furio il supereroe
Un inganno riuscito
Quel che Lilith fece a Vlad
Vampiri con le mitragliatrici
Grande Crinos
Fullbeast mode
Intrappolata dalla magia
Di ritorno dall'Inferno
Mostri con le ali
I poteri "aldilà"
Un segno di Dio?
Finale di battaglia
Epilogo
Urban Legends #1: il mago e la donna lupo. Un ebook per voi!

Sebastian Barren

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By CactusdiFuoco

C'era un sacco di gente all'interno, tutti tipi raffinati che conversavano fra loro a gruppi facendo un sacco di smorfie e gesti a volte esagerati. Soprattutto le donne, con i loro vestiti ridicolamente scomodi e le loro acconciature complicate, mi facevano pena, ma c'erano anche certi ometti vestiti a mo' di clown che a mio parere non sarebbero stati bene nemmeno nel contesto circense più decaduto d'Europa.

Ci degnarono, anzi mi degnarono, di alcuni sguardi curiosi e qualche formale "salve", ma nulla di più per mia fortuna. Non volevo avere niente a che fare con loro, volevo sapere dove si trovavano i cacciatori. Ero certa che avrei saputo riconoscerlo un rude cacciatore di licantropi, qualora lo avessi visto, e finora il più duro degli invitati che avevo visto era una ragazzina di non più di sedici anni che aveva avuto il sommo coraggio di vestirsi da punk in mezzo a tutta quell'accozzaglia di gente formale ed assolutamente ignara.

«Guardali» mi disse September, fiero «E non sanno chi sei. Potrebbero intuire anche che sei un licantropo, ma non cosa sei davvero... »

«Perché, cosa sono?».

Set mi guardò allibito, con la bocca aperta. Sembrava che qualcosa nella sua testa si fosse rotto e che se lo avessi scossi avrebbe fatto il rumore "clank clank". Richiuse la bocca con un gesto rabbioso

«Tu sei un goldenwolfen»

«Prego?»

«Goldenwolfen, aurolupus, la grande bestia d'oro... non lo hai, non lo hai letto?»

«Dove?» chiesi, sicura di essermi persa qualcosa

«Nel libro che ti ho dato! Mi hai detto che lo hai letto»

«Beh...» giocherellai con il tessuto del mio colletto «Non proprio fino in fondo, in realtà»

«Che cosa?» sibilò, ma non aggiunse altro, limitandosi a girare la testa dall'altra parte.

Io fissai le sue spalle, capendo di aver saltato l'occasione giusta per capire cos'ero e goderne al massimo. Ne stavo combinando una dietro l'altra e stavo facendo arrabbiare September. Però mi accorsi che qualcosa non andava. Qualcosa non quadrava, ma non era detto che ciò mi dispiacesse.

Guardai il cielo. Era nero, costellato di stelle.

Riabbassai gli occhi verso September e lo vidi umano come di giorno. Non avrebbe dovuto essere un grosso, incontrollabile, feroce lupo antropomorfo? Da quello che ne sapevo si, non lo avevo ancora visto che si liberava dalla sua maledizione.

Gli battei delicatamente sulla spalla con l'indice ed il medio congiunti

«Ehi, Set, posso farti una domanda?»

«Cosa c'è?» sbuffò lui, seccato. In realtà si stava solo sforzando di sembrare seccato e non lo era affatto.

Gli sorrisi con colpevolezza, come a voler ammettere i miei errori

«Come mai non ti trasformi?» chiesi «Insomma, come mai non stai mangiando nessuno? Non eri maledetto... insomma...»

«Furia! Sono mesi che non mi trasformo più!»

«E perché?»

«Lo sapresti, se avessi letto quel libro»

«Oh, quel libro... » sbuffai io, stavolta «Lo so, ho sbagliato, va bene? Ti prego... dimmi perché non ti trasformi»

«Beh, è perché... »

«Buonasera» disse una voce di donna alle mie spalle.

Serrai i pugni. Mi sarei volentieri voltata per strozzarla, ma Set non avrebbe gradito, molto probabilmente. Mi voltai lentamente, trovandomi faccia a faccia con una donna alta, quasi un metro e ottanta. Aveva i capelli lunghissimi e scuri, striati di colpi di sole, tirati all'indietro sulla fronte e tenuti da una fascia candida. I suoi lineamenti erano sufficientemente delicati, il colorito della sua pelle, bronzeo, strideva in modo strano con la robaccia con cui si era colorata le palpebre, di un azzurrino brillante, e con il rimmel nero. Le sue labbra erano terrificantemente rosa, brillanti anche quelle, come la cromatura di un'automobile.

«Tu sei September Aster, giusto?» Chiese, con un candido interesse da brava ragazza

«Si» il mio amico le rispose radiosamente «Sono io... e tu devi essere la figlia del signor Palermo»

«Si... che formalità, signor Palermo» lei soffocò una risatina «Oh, andiamo, siete andati a scuola insieme, la conosco abbastanza la vostra storia».

Set annuì, continuando a sorridere, poi mi prese una mano

«Lei è Fury» mi presentò «Viene dall'America, è qui con me per conoscere l'Italia»

«Oh, Welcome miss Fury» disse la donna, con impeccabile accento bretone.

Odio l'accento bretone. Io vengo dall'America, non dalla Gran Bretagna, e non sono neanche tanto sicura di essere americana. L'accento bretone puzza di standardizzato e di calmo e di snob.

Deglutii con calma, senza darlo a vedere, visto che avevo la gola secca ma non volevo sembrare affatto imbarazzata.

«So l'italiano» Replicai.

Lei mi guardò come se la avessi appena accoltellata. Forse aveva persino ragione, dovevo essere più comprensiva con lei. Io avrei sbranato qualcuno che mi avesse risposto a quel tono.

Set mi strizzò la mano, perfettamente d'accordo con il mio proposito di migliorare la gentilezza, poi si rivolse gentilmente alla signorina Palermo

«Ti prego, non farci caso... è solo che ogni volta che dico che lei è americana la gente le parla in inglese e questo le da un po' fastidio. La fa sentire ignorante».

Oh, com'era bravo a mentire, September. La sua voce aveva proprio il tono adatto, con sfumatura mortificata per me, disinvolta come a discolparsi del sospetto di stare dicendo una balla. Non si poteva non credergli.

La signorina Palermo ridacchiò di nuovo a bassa voce

«Mi scusi, miss Fury, ma credevo che lei... »

«Non preoccuparti. E dammi del tu» lo dissi educatamente, ma c'era comunque qualcosa di sbagliato nella mia voce. Come ironia. Non volevo essere ironica.

Mi aggiustai di nuovo il colletto, nervosamente

«Scusami, scusami se sembro scortese a volte» dissi, sottovoce.

Ecco, lo avevo detto. Mi ero definitivamente consegnata alla debolezza umana.

«Non preoccuparti!» Esclamò la signorina Palermo, sventolando una mano con le unghie smaltate a mezz'aria, con fare disinvolto «Non mi sei mai sembrata scortese».

Tsè, ma va a crederci! Si tradiva da sola. Spostai lo sguardo altrove mentre la signorina mi rubava Set, trascinandoselo dietro, e parlando animatamente con lui. Il mago sembrava entusiasta di quella conversazione e si era messo a citare momenti di quando lui ed il signor Palermo erano dei ragazzini e andavano ancora bazzicando per il paese come dei ladruncoli. A quanto pare era educato aspettare almeno un po' prima di andare a riprenderselo con la forza.

D'improvviso vidi un uomo che attrasse la mia attenzione.

Chiesi a chi mi capitava sotto tiro chi fosse quel tizio. Quello che riuscii a scoprire di lui, dopo aver interrogato quattro o cinque persone, era che si chiamava Barren di cognome.

Era un signore sulla quarantina, abbastanza alto, sul metro e ottanta buono direi. Era uno di quegli uomini un po' all'antica, ma non in senso cattivo. Quando ti salutava non potevi non essere compiaciuto e soddisfatto, visto come ti porgeva la mano con formalità, poi la stringeva con il vigore giusto, rassicurante, e si presentava con calda voce baritonale, modulata sulle note di un accento a metà fra quello tedesco e quello inglese.

Con l'atteggiamento appena un po' spavaldo del conte girava per il salone mostrando di conoscere tutti, così come nessuno dimostrava di conoscerlo davvero. Era enigmatico eppure... eppure era come se non incuriosisse nessuno. O forse nessuno voleva avere a che fare con lui. Eppure era un uomo che, personalmente, mi incoraggiava alla conversazione. Era anche bello, a dirla tutta, con i suoi capelli scuri e folti tirati all'indietro, gli occhi azzurri intensi dalle pupille che sembravano sfumare nel ciano attraverso gradazioni di colori che andavano dal blu scurissimo al color acque basse sotto il cielo calmo, le rughe sottili sotto le palpebre che gli conferivano un aspetto gioioso e gioviale. Aveva lineamenti abbastanza marcati, mascolini, guance piene e levigate ed una corta barba a coprirgli il mento che mi dava l'impressione di essere morbidissima. Avrei voluto accarezzarla, ma dubito che avvicinarmi a lui ed iniziare a strofinargli la faccia fosse il miglior modo per attaccar bottone.

Senza neppure accorgermene lo seguii lungo tutto il cortile. Poco prima lo avevo avuto a neppure un metro di distanza da me e solo questo mi aveva permesso di vedere con tanta chiarezza i suoi magnifici occhi. Però ci avevo pensato troppo prima di poter dire una sola parola ed ecco, si era mosso. Nessuno lo chiamava, ma lui andava da tutti. Mi accorsi di aver perso di vista anche September.

Iniziai a cercare con insistenza. I ritmi non erano affatto frenetici, c'era molta calma, almeno dove mi trovavo io, nel cortile. Così pensai che potesse essere sparito nel salone interno, quello dove si ballava, ed entrai. Scrutai sopra le teste, sicura che avrei individuato immediatamente i capelli rossi di Set, ma non vidi nulla che mi fosse familiare. Mi infilai fra due gruppi di persone, molto meno formali di quelle che avevo visto fino ad ora, e giunsi laddove doveva trovarsi la pista da ballo.

Mi sarei aspettata un bel valzer ad animare la serata, ma per ora trasmettevano solo canzoni di Shakira a basso volume. Mi fermai e mi appoggiai contro il muro, incrociando le braccia sul petto e osservando i movimenti delle persone che ondeggiavano camminando da una parte all'altra. Mi ero sbagliata su di loro, i ricchi ed i nobili, non erano tutti delle schiappe. Solo la maggior parte.

Ero così piena di me... sapevo di essere la migliore in quella stanza. Sapevo di essere la più forte, la più veloce. Ma questo mi dava davvero il diritto di giudicare tutti loro?

Decisi che si, me lo dava. Se ero la migliore non c'era motivo per negarlo.

Inspirai profondamente, poi sbadigliai. Il mio cervello si stava spegnendo, avevo bisogni di stimoli. Accarezzai la parete, poi strinsi le dita e grattai un po' i mattoni. Non venne via neppure un pezzo, diversamente come accadeva quando sfregavo le unghie sugli altri muri. Mi piaceva quella villa, sarebbe stato bellissimo starci se solo non fosse stata piena zeppa di esseri umani. Sbadigliai di nuovo, mettendomi la mano davanti alla bocca e sentendo il fiato caldo sul palmo della mano. Sventolai le dita. Stavo per avere una serie di tic incontrollati, dovevo fare qualcosa.

Mi staccai dalla parete, mordendomi l'interno della guancia. Come mai un predatore come me aveva così poca pazienza? Forse era per colpa dell'ambiente. Forse avrei avuto molta più pazienza se fossi stata acquattata in mezzo all'erba, se sentissi l'odore di una preda che posso mangiare. In realtà c'era così tanto cibo intorno a me che avevo paura di impazzire e mordere qualcuno. Annusai la testa di un uomo che stava conversando con altri due e mi passò la voglia di azzannare quegli esponenti dell'alta borghesia: odoravano così forte di profumi artificiali che mi ricordarono un vampiro. Dolci e innaturali.

Scossi lentamente la testa. Calma e sangue freddo.

Tornai ad appoggiarmi al muro, tirai la testa all'indietro, sentii la parete che mi schiacciava i capelli. Inspirai profondamente. Dovevo solo aspettare di avere di nuovo a tiro September e lui mi avrebbe detto dove avrei potuto trovare i cacciatori e mi avrebbe condotta da loro.

D'improvviso sentii qualcosa che mi toccava la spalla destra. Abbassai la testa lentamente e vidi Barren. Sorrisi

«Salve» dissi

«Salve» mi rispose lui, con delizioso calore «Cosa fai da sola?»

«Niente» mi strinsi nelle spalle e il tessuto del vestito frusciò contro la parete «Aspetto»

«Cosa aspetti, di grazia, che finisca la festa? Su con il morale... come ti chiami?»

«Mi chiamano... » mi bloccai.

Furiadoro era un nome così strano in quel contesto. E Fury era ridicolo, non rappresentava minimamente ciò che ero. Mi morsi l'interno della guancia, scoprendolo già sanguinante.

Barren si portò una mano alla fronte in un gesto molto naturale

«Oh, ma che sbadato... non mi sono presentato. Sono Sebastian Barren» abbassò gli occhi, mortificato «Non ti dispiace che io ti dia del tu, vero?»

«No» ridacchiai «Anzi, te lo avrei chiesto io se solo non fossi stato così adorabile»

«A... adorabile?» mi guardò sollevando un sopracciglio, poi scoppiò a ridere con la sua bella voce baritonale «Oh, adorabile?»

«Già» perché rideva?

Con eleganza si appoggiò al muro anche lui e si infilò le mani in tasca, poi mi guardò di sottecchi. Le sue labbra si incurvarono leggermente, quasi impercettibilmente, sotto la linea scura dei suoi baffetti serici. Poi parlò

«Mi sembra proprio che tu sia diversa da loro»

«Già» riuscii solo a rispondere

«Vuoi fare qualcosa?»

«Già»

«Qualcosa... qualcosa che sia diverso da dire già?» ironizzò

«Ehm» lo guardai per qualche istante con imbarazzo, prima mi misi una mano in faccia senza accorgermene, poi deglutii «Ah, si, certo, qualcosa di diverso»

«Ah, va bene... vuoi ballare?»

«Non c'è musica. E io non so ballare»

«Ah. Mi hai colto alla sprovvista» ridacchiò di nuovo «Uhm...».

Silenzio fra noi. Guardai di nuovo in avanti

«Perché non mi insegni, a ballare?» chiesi, con interesse

«Non sono esattamente il tipo che si definisce un maestro nel ballare... so ballare soltanto così così»

«E un ballerino mediocre mi avrebbe invitata a ballare? Ridicolo o modesto, direi. No, stai mentendo... sai ballare magnificamente»

«Sai osservare bene quando qualcuno mente, eh?»

«Si, se siete così goffi».

Lui fece una mezza smorfia, il dito sotto la barba.

«Si, è vero, so ballare bene» Ammise

«E allora insegnami. Anche se non c'è la musica»

«Chh.. ecco, vedi, credo che il problema sia che, penso che non mi sarà facile ballare con una che è così alta»

Mi imbufalii e per poco non lo afferrai per il bavero

«Ma se prima mi avevi invitata!»

«Per essere cortese» si giustificò lui

«E se avessi accettato?» mostrai i denti

«Beh, avrei accettato anch'io, perché pensavo che tu sapessi ballare, dopotutto la maggior parte dei presenti lo sanno fare»

«Mi dispiace, sei incoerente, guaio fatto. Mi concede questo ballo, Sebastian?»

«Mi pare di capire che non ho altra scelta»

«Capisci bene le cose, eh?».

Lui annuì. Non era spaventato, forse divertito, magari leggermente a disagio... ma non aveva paura.

«Andiamo» Aggiunse «Proviamo a ballare».

Gli afferrai una mano. Portava i guanti bianchi, come quelli di un nobile d'altri tempi. Lo trascinai a forza al centro della stanza. Ecco, ero pronta a schiacciargli i piedi come si deve, ohh yes!

«Come si inizia?» Chiesi, incurante degli sguardi puntati su di noi

«Si inizia sempre con il piede destro, così» e mosse la gamba verso la mia.

Io non mi scollai di lì, nemmeno di un centimetro, e lo bloccai in una posa strana.

«Anche tu dovresti muovere il piede, a dire il vero» Mi fece notare

«Ah, anch'io?»

«Ah ah...»

«Ok... » mossi la gamba che toccava contro quella che lui aveva avanzato, ma con lentezza sconcertante.

Non ricordavo di aver mai visto un ballo così lento.

«Ora l'altra gamba» mi ordinò

«Ma... che razza di ballo è?»

«Il Valzer, no?»

«Val... Valzer? Ma nel valzer le mani non si tengono così, credo» e con lo sguardo puntai la sua mano stretta nella mia destra e poi la sinistra libera e penzolante al lato del corpo

«Ah, dal momento che non mi lasci libera la mano, come faccio?»

«Oh... scusami di nuovo» gli mollai la destra. Mi sembrava un po' stropicciata la sua mano, forse era colpa del guanto, o forse gliela avevo distrutta...

«Ok, ora è questa la posizione» continuò lui, intrecciando le dita della mano destra con le mie e poi mettendo la sinistra sul mio fianco «Bene, adesso iniziamo sempre muovendo la gamba destra, forza!».

Feci il primo passo. Velocizzai un po' il movimento, tanto per non sembrare un bradipo, ma per sbaglio colpii la sua gamba con tanta forza da sentire l'impatto come se avessi dato un calcio sul muro.

«Ahi!» Si lamentò Barren, con la faccia di chi trattiene un urlo peggiore «Eh... riprendiamo, adesso l'altra gamba...»

«Oh... ok».

Lentamente, non dovevo ucciderlo, dovevo ballarci con lui. Solo che era un piccoletto.

Erano tutti piccoletti confrontati a me.

«Era questo che intendevo, come problemi d'altezza» Intervenne lui, come se mi avesse letto nel pensiero

«Wow, ma sei un esperto di telepatia e queste cose qui?» chiesi

«Telepatia, perché?»

«Pensavo giustappunto, che tu fossi un piccoletto»

Ridacchiò «No, non sono io che sono piccoletto, sei tu che sei enorme»

«Ah, dettagli infimi... tutto è relativo. Per me sei un piccoletto»

«Per me sei enorme»

«Niente male. Mi sembra che io sia riuscita a smettere di schiacciarti i piedi o sfasciarti le gambe, no?» adesso riuscivamo a muoverci un po' meglio, ma sempre lentissimi

«Già, che grande soddisfazione, non tornerò a casa con i piedi ridotti a tappetino» si asciugò la fronte con il dorso della mano, lasciando per un attimo il mio fianco «Beh, un po' più veloci e siamo perfetti»

«Fantastico, ma senza musica mi sembra stupido» mi lamentai

«Va bene... la metto io la musica» mi lasciò, mi puntò un dito contro il volto e con fare spadroneggiante concluse «Aspettami qui».

Una musica ricca di violini riempì la sala, animandosi d'improvviso come una fiamma. Barren ritornò rapidamente

«Adesso, come puoi notare, la musica c'è» mi disse, poi si sfregò le mani «E adesso balliamo»

«Perfetto».

La domanda è: può un gigantesco licantropo ballare il valzer con una specie di conte moderno? La risposta è...

«Che stai facendo, perché non ti muovi?» il mio cavaliere si alzò sulla punta dei piedi, un po' per gioco, e mi sventolò la mano davanti agli occhi.

Perché accidenti mi ero fermata? Inspirai a fondo, poi mi sbloccai

«Puoi attendermi un istante?»

«Eh? Si, certo...»

«Grazie».

Mi allontanai e uscii a prendere una boccata d'aria. Diedi una testata, di proposito, ad un lampione di ferro battuto.

«Che accidenti mi prende?» Urlai, sbattendo il palo «Sveglia, sveglia, sveglia!» mi diedi uno schiaffetto, poi rientrai dentro.

Vidi Barren leggermente sconcertato e mossi la mano in segno di saluto

«Ok, tutto fatto, sono a posto... continuiamo?»

«Si, certo» rispose lui, servizievole.

Gli afferrai la mano, come mi aveva insegnato lui, intrecciando le dita alle sue, e gli misi la mano sul fianco. Questo era leggermente impegnativo, visto che era piccoletto, e cercai di ricominciare a ballare.

«Non può funzionare così» Sbottò d'improvviso lui

«Cosa non può funzionare?»

«Il maschio deve mettere la mano sul fianco della dama, non viceversa. La dama la deve mettere sulla spalla del compagno» puntualizzò, anche leggermente stizzito

«E perché non lo hai detto prima? Così era tutto più facile» cambiai posizione

«Perché prima eravamo nella posizione giusta, no?»

«No»

«Ah. Ma adesso l'ho detto e ciò basta»

«Mi chiedevo...»

«Mmmh?»

«Come mai la posizione è questa? Voglio dire, metti il caso che la femmina sia più bassa del compagno... non le verrebbe difficile mettere la mano sulla sua spalla?»

«In effetti, ma di solito non si è mai troppo basse per questo»

«Ah. E se capita?»

«Si usano i tacchi»

«Tacchi?» chiesi, leggermente stranita

«Si, i tacchi, tipo come fa lei» mi indicò con un gesto rapidissimo la scarpa altissima di una donnina che ci fissava a bocca aperta

«Oh... e non cadono come delle pere cotte?»

«No, con un po' di allenamento potresti farlo anche tu, anche se non ne hai bisogno»

«Perché tu non porti i tacchi?» chiesi ancora. Gli avrebbero fatto comodo, ballando con me.

«Perché non potevo certo immaginare che incontrassi te al ballo» ironizzò lui «E poi sono abbastanza alto, ma tu superi la norma»

«Uhm... sarà che voi italiani siete piccoli»

«Non, non sono italiano» mi confessò, con voce più bassa del solito «Se permetti... »

«Da dove vieni?»

«Danimarca» sussurrò

«Deve essere una terra affascinante, la Danimarca» cercai di lodarlo un po', tanto per compensare tutte le delusioni e il dolore fisico provocatagli «Avete dei narratori di fiabe famosi, vero? Io amo le fiabe. Quelle con i lupi»

«Si, vero, la Danimarca è bellissima. Conosci Hans Christian Andersen? Il più grande inventore di fiabe, secondo me...»

«Ma non ne ha scritte sui lupi, vero?»

«No, purtroppo non ne ha scritte sui lupi. Al massimo li avrà citati»

«E che fiabe ha scritto?» ormai ero avida di informazioni su qualcosa che amavo davvero

«Il brutto anatroccolo, Pollicina, la regina delle nevi, uhm » le elencò concentrato, come se nella testa ne avesse un centinaio e stesse scegliendo in che ordine mettere i titoli da snocciolare poi più rapidamente «Niccolino e Niccolone, l'acciarino, le cicogne, l'usignolo, la principessa della palude, i fiammiferi, e la sua opera massima, la famosissima sirenetta»

«E chi è questa sirenetta?» la mia voce si era fatta un sussurro curioso

«Ah? Non la conosci?»

«Mi dispiace» mi strinsi nelle spalle e feci un imbarazzato passo laterale, sballottandolo più di quanto avrei voluto «Non l'ho mai sentita»

«E allora che fiabe conosci? Sono curioso».

Che bella domanda. Che fiabe conoscevo? Sapevo di essere un'appassionata ascoltatrice di storie, ma non ricordavo neppure di averne mai sentita raccontare una. Aggrottai la fronte e guardai verso il soffitto, mentre dentro la mia testa cercavo dei titoli. O magari anche solo degli indizi, dei personaggi. E d'improvviso ecco la folgorazione

«La Volpe e il lupo» dissi, con sicurezza «Cappuccetto Rosso. La volpe e l'uva. Il lupo mannaro. Il corvo furbo. E poi c'erano anche delle fiabe di cui non mi ricordo il titolo, so solo che erano belle, che erano strane, che erano ambientate fra i ghiacci perenni... ce n'erano alcune che parlavano della caccia e un'altra che parlava di una volpe che si trasformava in una donna. E poi c'era la storia del Wyrm»

«La storia del Wyrm?» stavolta era lui a sembrare incuriosito «Le altre le conosco quasi tutte, ma questa no»

«Sai, io pensavo che fosse famosa».

Beh, era famosa, fra la mia gente. Ma chi diavolo era, la mia gente? Cercavo di ricordarmene senza successo. Soltanto, riecheggiavano nella mia mente, le loro voci piene e spesso gioiose. Qualcuno che mi teneva fra le braccia, una mano grande e ruvida che mi accarezzava i capelli, un canto che si leva da una gola spalancata e si trasforma in un soave ululato.

Ricordavo che quelle notti passate intorno al fuoco erano utilizzate per rievocare momenti passati e per, questo lo rammentavo con particolare gioia, raccontare storie.

«Il Wyld è il caos da cui tutto ha origine» mormorai, abbassando un po' la testa al fine di avvicinarmi all'orecchio del conte, narrando lentamente quello che man mano affiorava nella mia memoria, concetti che si consolidavano alla velocità della luce una volta che li ripetevo «In principio era Gaia, la terra madre di noi tutti dove ogni cosa ha principio e tutto ritorna, mondo fisico e mondo spirituale erano un tutt'uno, gli spiriti divenivano materia, l'energia mutava senza ostacoli. A un certo punto, si narra, il Wyrm, la forza che distrugge e che riporta al caos, impazzì e inizio a divorare la terra, a corrompere la realtà... fu allora che Gaia mandò i suoi guerrieri, gli uomini lupo».

Gli occhi di Sebastian parvero ingrandirsi per lo stupore

«Co-cosa stai dicendo?» balbettò

«Cosa sto dicendo?» rialzai la testa e con delusione scoprii che i miei ricordi sfumavano «Niente, tu mi hai chiesto di raccontarti la storia del Wyrm e io te la stavo raccontando».

Ma nei suoi occhi rimase un'ombra di terrore, una specie di consapevolezza, anche dopo che il suo volto si rilassò e mi sorrise. Era come se io avessi detto qualcosa che in fondo lui sapeva oppure che gli avessi confermato le parole che qualcuno gli aveva già detto, ma che a quel tempo non aveva considerato veritiere. Un gran casino, vero? Come spiegarlo...

Mi accorsi che c'eravamo fermati e ci stavamo guardando negli occhi, nel bel mezzo del salone e con un sacco di persone che a loro volta guardavano noi. C'era qualcosa di sensuale nella sua incertezza, nel modo in cui i suoi occhi inquieti tremavano leggermente, nel modo in cui teneva le labbra leggermente socchiuse e sorrideva, nella sua paura remota. Gli lasciai la mano, sentendola troppo morbida nella stretta. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo più a fondo, ma non potevo.

Non ora che sapevo cos'era.

E, senza alcun dubbio, era un mio nemico. Protesi la mano verso il suo volto, rabbiosamente. Lui si ritrasse e deviò il mio colpo con l'avambraccio. Era forte, il rumore delle nostre ossa che batterono fu quasi metallico.

Vidi September che si avvicinava alla corsa leggera, con la faccia preoccupata.

Mi allontanai da Barren guardandolo con disprezzo. Come poteva un uomo così perfetto essere nemico della mia specie? Cosa gli avevamo fatto? Anche lui aveva capito cos'ero e mi guardava con disgusto. I suoi occhi saettarono ai propri palmi delle mani, la fronte si corrugò e la bocca si storse in una smorfia nauseata. Non poteva sopportare di aver toccato un licantropo, con quelle mani. Poi guardò di nuovo me ed i suoi occhi sembravano urlare "disgustoso ibrido, grosso animale, perché mi hai toccato?".

Ma non reagì in alcun modo, fisicamente, si ritrasse di qualche passo, sconsolato, poi si girò dall'altra parte.

September mi afferrò una spalla

«Brava, hai rovinato l'effetto sorpresa» mormorò, sollevandosi in punta di piedi fino al mio orecchio

«Non è colpa mia» risposi, imbarazzata come non lo ero stata mai in tutta la mia vita «Non sapevo chi fosse quell'uomo e mi sembrava... così cortese... mi sembrava. E poi ho scoperto quello che era e ci sono rimasta un po'... ecco, così ...»

«Come sempre» ridacchiò e si appoggiò con il mento alla mia spalla «Senti un po', prima che lo vada a dire ai suoi amici, che tu sei qui, devi fermarlo»

«Cosa?» domandai, quasi certa di non aver capito bene, ma il sorriso di Set era così cospiratore e malvagio che sebbene precisò immediatamente quello che voleva dire, lo avrei capito lo stesso.

«Ora sa che sei qui. Per fortuna non ha ancora capito che sei un goldenwolfen, sa solo che sei un licantropo. Perciò...» Si fermò un istante, il respiro leggermente affannoso, poi smise di sorridere sebbene i suoi occhi fossero ancora vagamente scintillanti «Perciò devi eliminarlo prima che possa chiamare qualcuno che possa capire chi sei, non ti pare?»

«Eliminarlo?» mi guardai intorno.

Sarebbe stato difficile uccidere Sebastian Barren con tutta quella gente intorno, senza uccidere anche tutti loro. Probabilmente ne sarei stata capace, non vedevo nessun contadino armato di forconi né tizi con i fucili che mi guardavano male. Niente armi, solo umani. Ma dubito che Set mi avrebbe lasciata fare a pezzi tutta quella gente, per così dire, innocente. E Sebastian era già sparito, assolutamente scomparso in mezzo alla folla.

Dannazione!


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