Urban Legends

Galing kay CactusdiFuoco

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[STORIA COMPLETA] Io sono Furiadoro e la mia esistenza è una sorta di... leggenda. Sono una donna lupo, una s... Higit pa

Prologo
L'inizio di un nuovo viaggio
Finto-Vampiro
Il sangue dei licantropi
Sospesa tra due mondi
Il corpo di un lupo
Il muso della ferocia
Di nuovo umana
Massacro di plenilunio
Ciò che mi ha dato la Luna
Una lupa tra gli umani
Il club degli animali
Incontro col mandante
La casa del mago
La routine della donna lupo
Everybody was Kung Fu Fighting
La ricompensa dei ratti
Cannibale
Il gabinetto pensatoio
L'omicidio di Mr.Mell
Licantropi for dummies
Una terribile bestia in abito elegante
Sebastian Barren
Cacciare cacciatori
Le risorse nascoste di un goldenwolfen
Un dottore immaginario?
Un dottore pazzo?
Un luminoso Sabato mattina
September Aster vs Franco Staretti
L'altra bestia d'oro
Tutti i mostri sono capricciosi
A caccia per vivere
Lupouomo
Violenza e mutazioni
Goldenwolfen
Il Natale anormale
Uno spettacolo di magia
Due mostri non possono scontrarsi senza conseguenze terribili per entrambi
Ritorno alla vita
Su Dio e sulla salvezza del genere umano
Lupo acromegalico
Primo intermezzo narrativo
September che parla a ruota libera
Una strana creatura trovata in un fosso
Sharazad
Un plenilunio con Cuscino
Fame di morte
Un nuovo autocontrollo
Il ritorno del cacciatore nero
E si aprirono le porte dell'inferno
Benvenuta nella tua tomba
In cui si ammazza una nosferatu
Conversazione con la Mater Inferorum
Un troll con vestiti nuovi
Santo Stefano di Camastra
Aldo, la bottega e l'uomo misterioso
Ci rivedremo in un'altra città
La Madre dell'Inferno
Solo un sogno in carne ed ossa
Lo squallore e la (gradita) separazione
Mack e Jack
L'orologiaio
Un vampiro diverso da tutti gli altri
Il portale di Miomarto
PARTE SECONDA
Un viaggio sabotato
La Città Senza Nome
Le Creature senza Nome
E il pericolo arriva anche sottoterra
Vampiri pazzi
Una foto di gruppo su una nave da crociera
Un vampiro addormentato su una nave da crociera
In comunione con il vampiro
Furio Dorati
Furio il supereroe
Un inganno riuscito
Quel che Lilith fece a Vlad
Vampiri con le mitragliatrici
Grande Crinos
Fullbeast mode
Intrappolata dalla magia
Di ritorno dall'Inferno
Mostri con le ali
I poteri "aldilà"
Un segno di Dio?
Finale di battaglia
Epilogo
Urban Legends #1: il mago e la donna lupo. Un ebook per voi!

Illusioni di tempi andati

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Galing kay CactusdiFuoco

«Stasera?»

«Esattamente» stavolta annuì e si infilò le mani in tasca «Questa sera avrà luogo un party molto particolare. Tutti coloro i quali sono influenti per quanto riguarda la caccia al sovrannaturale saranno presenti. È un caccia al vampiro-licantropo party. Entro questa sera tu saprai perfettamente cosa dovrai fare, ma ci aspetta un duro lavoro»

«Sono abituata ai lavori duri... quando iniziamo?»

«Subito e non ci sono scappatoie»

«Ok... anche Cuscino deve... »

«No... ehm...» inspirò profondamente, poi sputò una parola mozzicata «No, Cuscino non deve»

«Che è successo, perché sei così nervoso?»

«Sai quello che si dice sull'indole dei lupi? Che non siano addomesticabili e tutto il resto...»

«Ovvio. E non è che solo si dice, è che è proprio vero...»

«Ecco» sbottò, sollevò le mani all'altezza dei fianchi, le serrò, poi le lasciò ricadere «Cuscino, quando non ci sei, sta iniziando a diventare piuttosto... feroce. Ha morso Michele»

«Michele? perché ha morso Michele?»

«Non lo so, dannazione! Io non ci parlo con i lupi, specie se non sono fatti a forma di essere umano. So solo che ha fatto del male al mio maggiordomo»

«Ah. Dove lo ha morso?»

«Lo ha morso sul... ehi, ma perché ti interessa dove Cuscino ha morso Michele?»

«Perché è importante, altrimenti non te lo avrei chiesto. Metti caso gli avesse strappato via una mano o lo avesse morso sul collo. Dovrei seriamente sgridare Cuscino perché è chiaro che dev'essere impazzito!»

«Ah, lasciamo perdere e vieni con me...» mi afferrò la mano e mi trascinò via, verso il piano superiore.

Entrammo nel suo studio, la stanza più caotica della casa. Carte e cartacce erano disseminate dappertutto. Però adoravo quel locale, era impregnato di un odore di menta delizioso.

September mi lasciò la mano e si sedette al suo posto, dietro la scrivania scura di legno massello, sulla poltrona con lo schienale rosso imbottito che tempo prima mi aveva dato dubbi circa la mia capacità di percezione dello spazio. Io spostai un mucchio di spartiti con la mano e mi accomodai sulla panchetta sistemata davanti alla scrivania. Appoggiai i gomiti sul ripiano di massello e poi il mento sui palmi rivolti all'insù

«Allora, Set, che cosa dobbiamo fare?» chiesi

«Beh, avrei voluto darti i vestiti di questa sera, innanzi tutto, ma poi ho pensato... »

«I vestiti di questa sera? Cosa vuoi dire?»

«Oh, incontreremo persone molto importanti, è imperativo che tu ti vesta in maniera decente»

«Mi sembra di essere decente, Set» borbottai, premendo il tono sulla parola decente

«Ah, si? Guardati».

Abbassai gli occhi su di me stessa. Vidi una felpa grigia scura, aperta, su una canottiera pesante, grigia scura anche lei. Più in basso pantaloni pesanti di lana, tipo pigiama, quelli economici, che rimanevano un po' sollevati sulle caviglie, visto che erano troppo corti. Qual'era il problema? Erano puliti e per niente appariscenti. Dovevo diventare un pinguino come quelli che si vedono nei film, oppure mettermi un vestito stile "sposa perfetta"? Credevo che quelle cose esistessero solo in televisione.

Ma September aveva appena deciso di rovinare la mia concezione del mondo umano.

«Ovviamente non puoi venire ad una festa con questi addosso» disse il mago, indicando la mia comodissima felpa e facendo oscillare su e giù l'indice, in un gesto di ammonimento «Ma avevo pensato che non ti saresti nemmeno messa un abito da sera da donna, non sei proprio la tipa che si mette le gonne o che sappia come si debbano portare, che è la mia preoccupazione maggiore... perciò... uhm...» si alzò in piedi e si diresse verso l'armadietto color caffè dove di solito teneva i documenti.

Aprì le ante lentamente. Anche se era girato di spalle, sapevo che stava sorridendo. Non stava sorridendo bonariamente, però, e questo era male. Trafficò un po' con le mani, spostando cose nel caos dell'interno armadietto, e poi si voltò trionfante con una busta trasparente distesa sugli avambracci. Ma la cosa spaventosa era quella che si vedeva dentro la busta. Era un completo elegante, affiancato, scuro, appeso ad una gruccia, sotto cui si intravedeva una camicia scarlatta. Al primo impatto mi venne da storcere il naso, poi lo osservai meglio e valutai i pro ed i contro. Contro: non sarebbe stato il massimo della comodità e non era nel mio stile. Pro: poteva anche diventare il mio stile e, in fondo, era anche un po' inquietante quel rosso e quel nero. Potevo farci l'abitudine.

«Beh, Set, forse... e dico forse... lo metterò» Dissi, piano

«Perfetto, sapevo che lo avresti detto. Adesso parliamo di altro» mi rispose lui, appoggiando l'abito sulla scrivania e tornando a sedersi al suo posto.

Era sicuro di sé. Inforcò gli occhiali da vista con la montatura blu, quelli che si metteva quando dava uno sguardo alla contabilità (anche se secondo me non ne aveva bisogno), ma continuò a guardarmi da sopra le lenti con curiosità, le ciglia immobili, calate, che non mi permettevano di vedere le sue iridi come avrei voluto. Tossicchiò, più che altro per farmi innervosire, e poi si abbandonò contro lo schienale sorridendo

«Allora, lupacchiotta, sei pronta per un viaggio nelle origini lontane della tua specie maledetta?» mi chiese

«Ovviamente»

«Allora lascia che ti racconti...» allungò una mano e la posò sul dorso della mia mano destra, poi il suo sorriso si allargò ancora e la luminosità ambientale calò notevolmente.

I pochi raggi di luce solare si riflettevano sui suoi occhiali, che brillavano candidi. Non riuscii a staccare lo sguardo dal suo volto, pallido nel nero che calava su di noi. Poi la sua voce si fece vellutata come la seta ed iniziò a narrare con i toni lontani di una fiaba orientale udita in sogno.

Accadde molto tempo fa, la nascita dei primi uomini-lupo. Non si sa esattamente quando la loro specie nacque, ma fu all'incirca al tempo dei primi mammiferi evoluti, quelli dotati di placenta, come i canidi. Tuttavia gli uomini li conobbero tardi. Molto tardi.

Buio. Era come se ogni cosa intorno a me fosse scomparsa, sentivo solo il palmo della mano di September e la sua voce suadente, dolce, che mi permetteva di non perdermi in quel caldo buio.

Era il tempo del fuoco e della pietra, della paglia e del bestiame, delle case costruite su bastoni di spesso legno scuro. Era il tempo della seconda infanzia degli uomini, quand'essi ancora cacciavano pur sapendo costruire villaggi e coltivare campi, la notte dei tempi che oggi si narra con ardore, l'era in cui il glabro primate conservava ancora la sua parvenza di animale e si addentrava nella foresta tenendo in mano il bastone, strisciando, silenzioso, in attesa che la carne che vive si manifesti...

Forse era la suggestione, ma...

E fu allora, sotto le chiome scure dei boschi primordiali, laddove la luce giungeva a stento, che per la prima volta...

...Ma vidi un bosco cupo e fitto, una foresta impenetrabile di abeti, costellata di pezzi di tronco abbattuti e marcescenti, mentre sopra le nostre teste sembravano sfidarsi lunghi rami dritti come spade e frondosi.

Set era accanto a me, non più davanti, ed entrambi eravamo in piedi, seppure la mia testa sfiorasse gli aghi verdi delle conifere. Il lupo che era in me sussurrava, chiedendo di uscire. Non lo repressi, ma neppure gli permisi di correre libero. In fondo quel bosco era un'illusione, no?


Era un giorno oscuro, per la razza umana, quello in cui incontrò voi...

Eravate esseri straordinari e ogni cosa si inchinava al vostro potere. Sembravate lupi. Lupi che vagavano, in branchi di cinque o sei individui, alla ricerca di cibo. Eravate molto diversi da come eravate oggi? Alcune testimonianze dicono di si, che eravate grandi e scuri come orsi bruni. Le vostre zampe erano più grandi, carnose, fatte per avanzare anche in mezzo agli sterpi secchi che pungono le palme come aghi. I vostri musi, più che quelli del lupo, erano quelli dell'orso, e le vostre braccia erano grandi e spesse come quelle dei lupi mannari.

Dei lupi mannari parleremo poi, per ora ti dirò che i licantropi e i lupi mannari sono creature ben diverse tra loro.

Ma vi somigliate, sotto certi aspetti, e vi somigliavate ancora di più a quel tempo, quando eravate neri e marroni e avevate unghie come selci ricurve.


E mi parve quasi di vederla, quella figura... quella figura che ...

Avanza come un'ombra, nessuno la vede. E poi eccoli, sono tanti, più di quanti sembravano al primo sguardo. Escono dalle macchie di verde strisciando, le loro pellicce sono folte ed ispide, come vecchi cappotti o come spazzole. I loro musi sono lunghi e spessi, le zanne bianche spuntano fuori dalle labbra nere e sottili, sporchi di sangue o di bava. Non sembrano che enormi cani feroci dagli sguardi gialli come l'oro. Normalmente hanno un linguaggio fatto di ululati, quindici tipi diversi di ululati che si lanciano per comunicare cose basilari come una sfida o la chiamata alla caccia. Ma, al contrario di tutti gli altri predatori, essi nascondono un segreto che gli uomini non conoscono, uno stratagemma per ingannare le loro vittime, per ghermirle quando meno se lo aspettano...


E allora non riuscii più a distinguere le parole di September da quello che vedevo. Sapevo che era tutta un'illusione prodotta dalla sua voce, ma... ma era così reale.

Avanzai lentamente, o mi parve di avanzare, in mezzo all'intrico verde e spugnoso di muschi e vecchi rami marci. Era l'apoteosi delle tenebre in pieno giorno, non credevo che potesse essere così buio anche all'aperto. Gli occhi gialli mi scrutavano, minacciosi. Erano belli, rotondi, con l'iride che si scuriva man mano che si avvicinava alla pupilla, virando nell'arancione intenso. Erano tre paia, ma sapevo che in realtà i licantropi che mi avevano circondata erano molti di più. Avrei avuto paura, o avrei provato rabbia, se non avessi saputo che erano un'illusione. Poi qualcosa affiorò da un mucchio di rami secchi. Era un muso nero vellutato, lungo, impellicciato, su un collo cinto da una collana nera arrotolata tre volte a cui erano appese una ventina di zanne, come quelle dei selvaggi dei cartoni animati. Il resto del corpo che lo seguì era massiccio e muscoloso, le zampe erano tozze, i tendini in risalto anche sotto lo strato di grasso che serviva a proteggerlo dal freddo. Il pelo si rizzava in un sorta di criniera con sottili strisce dorate che partiva da in mezzo alla fronte e si prolungava fino a metà della schiena, come nella cresta delle iene.

Era seducente, bellissimo... beh, questi erano i miei gusti, perlomeno.

Si avvicinò a me e mi fissò per ancora qualche istante, prima di sbuffare e voltarsi. Era un invito a seguirlo. E io dovevo essere pazza a non farlo. Mi accodai, ovviamente.

Dietro di me spuntò un branco di animali quasi identici al capo, solo che nessuno di loro era grande quanto lui e tutti loro avevano pelli di animali legate addosso, intorno alle spalle o al collo. Non riuscivo a distinguere benissimo i loro musi, nel buio quasi assoluto, ma in qualunque caso qualcosa mi suggeriva che erano amichevoli verso di me, senza dubbio anche il fatto che non mi ringhiavano contro.

E cosi ci avviammo. Dapprima al trotto leggero, poi sempre più rapidi. Stavamo uscendo dalla foresta. Non provavo alcuna fatica, forse perché era tutta un'illusione. Eppure...

Rapidi come luce. Mi sembrava che un sottofondo rock mi riecheggiasse nella testa, pulsante nelle mie tempie, corrente nel sangue. Galoppavo fianco a fianco con la creatura più bella che avessi mai visto. Forse. Forse avevo visto, da qualche parte, qualcosa di più bello, ma per il momento sentivo soltanto l'ebbrezza di correre accanto a quell'illusione di compagno perfetto.

Perfetto? Ma cos'era la perfezione? Forse era quel bosco, quella selva nata dalla voce di velluto del mio migliore amico, che mi faceva vedere qualcosa che era stato dimenticato dagli uomini, che mi faceva toccare con mano l'antichità stessa.

Una nebbiolina simile a spuma grigia e leggera aleggiava a qualche centimetro dal terreno e lontani, nel freddo, ardevano fuochi fatui di un tenue blu tremolante.

Il fiato del branco si congelava nell'aria immota, come morta, ed i nostri respiri soltanto animavano la selva. Non un solo uccello lanciava il suo grido, al nostro passaggio, al passaggio di coloro che erano, e che avrebbero dovuto rimanere, i regnanti assoluti delle foreste e delle tenebre. Uscimmo alla luce del sole, noi, branco di macchie scure. Beh, io non ero una macchia scura, ma comunque somigliavo a tutti loro. In fondo.

Lontano, accanto all'aria vagamente salmastra di una breve palude, vedevo sorgere alcune casette fatte di tronchi e paglia. E accanto a queste casette vedevo degli uomini piccoli e scuri che si affaccendavano a fare cose come trasportare legna tagliata male oppure trascinare via capre e pecore sporche e riottose.

Erano quelli i nostri obbiettivi, prede, ma non come tante altre.

Il capo dei licantropi sbuffò e mi indico con il muso qualcosa: lance, un mucchio di lance addossate al muro di una casa. E poi un uomo con i capelli lunghissimi che se ne stava seduto sul tetto con a tracolla un rudimentale arco e in mano una faretra piena di frecce lunghe dall'aspetto alquanto letale. Si, capivo: gli umani erano in grado di colpire a distanza e conoscevano già le tattiche di attacco dei lupi. Ma i licantropi erano speciali, e la loro abilità stava proprio in questo: confondere, dissimulare ed infine terrorizzare.

Udii una serie di sordi schiocchi, come di ossa spezzate, e poi scricchiolii morbidi di cuoio e pelle. Dietro di me, i licantropi neri si stavano trasformando in uomini e donne.

Ero abbastanza curiosa da voler vedere come potessero essere fatte delle creature del genere, metamorfosi di giganteschi lupi preistorici dal pelo irto. Il capo si accovacciò accanto a me per qualche istante, ringhiando sordamente qualcosa in una lingua arcaica, ancora più antica di quello che conoscevo e che parlavo con gli animali. Poi il pelo iniziò a rientrare nella pelle spessa del lupo e le zampe possenti si gonfiarono in alto a prendere la forma di bicipiti e tricipiti possenti. Il muso si schiacciò in dentro con un rumore stranamente risucchiato e quella serie di schiocchi che sono tipici di quando si cerca di fare funzionare un accendino rotto, nel complesso la trasformazione fu estremamente veloce. Un uomo scuro, muscoloso, si rialzò lentamente accanto a me. Aveva spalle larghe e un petto ampio, cosparso di fitta peluria nerastra. Qualcuno dietro di lui gli passò una cintura da cui pendevano falde di pelliccia marrone, che lui si allacciò in vita. Ci fu una specie di movimento generale, una sorta di caotica cerimonia di vestizione, poi il gruppo avanzò verso il villaggio.

Ci videro arrivare solo quando fummo abbastanza vicini, nonostante avessero la vedetta con l'arco seduta sul tetto. Uno di loro corse dentro la capanna più grande sbraitando parole incomprensibili e poi rivenne fuori, accompagnato da un uomo alto neppure la metà di me, ma piuttosto grosso per la media di quei mezzi pigmei nerboruti. Aveva i capelli lunghissimi e raccolti in un mucchio di treccine, la barba folta, la faccia larga, neanderthaliana, con una specie di musetto prominente come quello degli scimpanzé.

Intorno al busto e alla parte superiore delle gambe portava un vestito di pelli animali conciate alla meno peggio, spolverate di setole nere come se fossero state ricavate dai maiali selvatici, il che probabilmente non era molto lontano dalla verità. Dunque quest'essere apparentemente deforme, così lontano dagli esseri umani che conoscevo, vestito di pelli suine, basso e maleodorante si avvicinò a noi guardandoci con aria di sfida con i suoi occhietti scuri, chissà come tanto spavaldo seppure ci osservasse dalla sua altezza di tappo.

Bah, neppure il più grosso e moribondo degli erbivori che avessi mai visto era così nauseabondo, perciò l'unico motivo per cui il branco cacciava prede del genere era... l'onore? La sfida? Cosa? Avrei voluto chiedere, ma sapevo che se il capobranco mi avesse risposto nella sua lingua fatta di borbottii gutturali storpiati non ci avrei capito un accidente. Poi la folgorazione: caspita, no, era tutta un'illusione! Se avessi chiesto mi avrebbe risposto September.

Però, probabilmente, avrei spezzato l'illusione, e non era questo che volevo. Così me ne stetti tranquilla a godermi quella piacevole illusione.

Il capo degli umani (si, era sicuramente il capo visto come gli altri gli stavano intorno sottomessi) iniziò a parlare e gesticolare. Quello dei licantropi si limitava ad annuire e confermare con stranamente garbati monosillabi. Ecco la loro arte! Dissimulare, ingannare, poi saltare, sbranare...

Il capo dei licantropi disse qualcosa che compresi, con un tono roco e vibrante

«Andiamo nella capanna».

Il capo degli umani fece per un istante una faccia terrorizzata, incurvandosi, poi si raddrizzò ostentando coraggio ed invitò il licantropo capo nella propria dimora. Io e gli altri del branco rimanemmo fuori, ovviamente, da bravi sottoposti. Si udì un discorso concitato, rapido, un tumulto di parole. La voce dell'umano era titubante, ma il suo volume si fece così alto che anche da fuori era perfettamente udibile. Stavano litigando, evidentemente. Sorrisi. Non era una strategia poi tanto sottile quella adottata dal licantropo capo, era un semplice indebolimento gerarchico volto a disgregare dall'interno la tribù prima di sferrare l'attacco. Ed era più che ovvio che il suo aspetto, che era un bell'aspetto considerando le circostanze storiche, lo aiutasse. Il capo umano uscì all'improvviso dalla tenda sbraitando. Quelli della tribù abbandonarono qualunque cosa stessero facendo e gli si strinsero intorno. Avevano lasciato cadere anche le armi, come degli idioti, di fronte all'ira del loro capo. Dietro l'umano comparve il nostro alfa.

Inquietante, solo così potei definire il sorriso che comparve sul suo volto. Le sue labbra si sollevarono lentamente, mettendo in mostra i denti ingialliti vicino alle gengive, brillanti. La spolverata di barba scura che gli copriva il volto si ispessì fino a divenire pelliccia e gli occhi gialli si restrinsero fino a diventare perfettamente tondi, conferendo al suo volto un aspetto ibrido fra quello di un lupo e di un uomo, tanto terrificante quanto può esserlo un demone.

Chi lo guardava fece un salto indietro, e si udirono alcuni isterici lamenti. Una delle donne, un esserino tozzo e piccolo che avrei potuto squarciare con la facilità con cui si strappa un pezzo di carta, corse verso le lance.

Il nostro capo si gettò al suo inseguimento correndo in modo strano, un po' piegato in avanti, e le afferrò un braccio con dita che si ingrossavano e ricoprivano di peli. Ringhiò, mentre il suo muso si allungava con una serie di schiocchi sinistri, e l'umana lanciò un urlo.

«Attaccate» cCi ordinò l'alfa.

Intorno a me gli altri licantropi ringhiarono tutti insieme, di gioia, ed iniziarono a riprendere le loro sembianze.

"Si" Pensai, esultante. Ma proprio in quel momento la visione si interruppe e mi ritrovai di nuovo in un nero vuoto, in cui riecheggiava la voce rassicurante e vellutata di September.


Questo era il loro ruolo nei primi tempi della storia umana. Erano gli unici capaci di ridimensionare il potere dell'uomo, di, per così dire, farlo scendere dal suo piedistallo di dio. Più avanti nel tempo, quando la razza umana imparò ad evitarli e combatterli, essi si specializzarono ulteriormente, dando vita a nuove forme, più complesse, ed in grado di ingannare in maniera migliore gli occhi umani. I licantropi divennero esseri quasi leggendari, per un certo periodo, tanto che lo stesso Zeus, padre di tutti gli dei, fu considerato alla stregua di uno di essi: un grande lupo dal pelo bianco e brillante, in certe sacre occasioni. L'etimologia del termine licantropo deriva infatti dal greco e identifica un uomo che ha la caratteristica donata da Zeus Lykaios, cioè di essere un lupo. Il mito greco si avvale di figure quali Latona, che, tramutatasi in lupa, generò le divinità legate al Sole e alla Luna, ovvero Febo e Artemide, e Licaone, capostipite dei Pelasgi, trasformato in lupo da Zeus.

Durante l'epoca romana, essi furono chiamati Versipellis, per la credenza che i peli in questi soggetti crescessero verso l'interno del corpo e la loro pelle si rivoltasse al momento di trasformarsi, mostrando dunque la pelliccia. Il che non era molto lontano da quella che era la realtà.

Non c'è un modello preciso di comportamento nei licantropi, ma è sicuro che in alcuni periodi della loro vita fossero estremamente feroci, e ciò accadeva in particolare quando la luna era piena ed alta in cielo. Durante tutta la loro lunga storia, però, vi furono creature in grado di eguagliarli in quanto a pericolosità, a forza, in quanto al terrore che incutevano, forse addirittura superandoli, grazie alla loro aura di arcani esseri maledetti. Sto parlando di qualcosa che, in fondo, tutti voi lupi-uomini, o donne, conoscete. Qualcosa che vive nell'ombra degli edifici antichi, che sfodera le zanne nell'umido buio delle notti senza luna, aprendo i suoi occhi di morto intrisi di sangue secco al calar delle tenebre per cercare la preda a cui rubare la vita.


La magia si ripeteva. Stavo vedendo di nuovo.


All'ombra di edifici antichi.


Un grande castello. E strade, viuzze, vicoli ciechi, tutta una serie di grigie, squallide pietre. Non era il luogo dei licantropi e in fondo in fondo mi faceva star male. Era asettico. Si, lo so che nei film si vede spesso il lupo mannaro di turno che scivola per i vicoli polverosi alla ricerca della sua preda, cose come animali giganti per le strade di Londra, ma i luoghi che vedevo non erano adatti per i miei delitti. Perché laddove il licantropo caccia, si suppone che cerchi qualcosa di vivo, ma dubitavo fortemente che qualcosa di realmente vivo potesse camminare per quelle vie. C'era un odore di ferro. Si, trucioli di ferro molto asciutto e pietra, polvere, cose secche e metalliche oppure stoffe antiche. Ma come si può immaginare un odore così dettagliatamente? Questo per me, probabilmente, sarebbe rimasto un mistero. E mi si accapponava quasi la pelle a vedere come funzionava bene la voce di September.

Qualcosa si mosse dietro di me. Mi voltai, ma era solo un uomo che proseguiva per la sua strada infagottato nei suoi vestiti inglesi da buon borghese. Aveva i capelli perfettamente pettinati all'indietro sul capo, sotto un cappello ben spazzolato, e baffi castani curati. Era Solo.

Oh, quanto poteva essere pericoloso camminare da soli per quelle strade? Lo seppi con certezza quando vidi l'uomo scomparire. Proprio scomparire, a nemmeno una decina di metri da me, in un batter d'occhio. Una scia nera rimase per qualche istante nell'aria, o forse impressa nella mia cornea, poi scomparve. Seguii la linea con lo sguardo, e vidi che una sagoma scura stava scomparendo in fondo al vicolo. Se fossi stata certa di vedere un film, avrei detto che fosse scomparso in un solo fotogramma. In automatico scattò il mio istinto ed io seguii la cosa che aveva preso l'uomo per il vicolo. Il fatto è che non ero a mio agio, perché ogni mio passo su quel selciato duro sembrava una piccola esplosione nel silenzio. E perciò mi sembrava di essere un elefante quando invece avrei dovuto essere un lupo... era tutto così innaturalmente silenzioso. Incominciai a camminare in punta di piedi. Alle mie narici giunse un odore così dolciastro, così pungente, così marcio che per poco non iniziai a tossire come se mi stessi strozzando. Mi portai una mano alla gola, poi davanti al naso, ma quel gesto stupido non calmò affatto la sensazione di annusare un cadavere marcio cosparso di miele. Adesso mi parve incredibilmente facile seguire la creatura, visto l'odore che si lasciava dietro. Facile e tuttavia pericoloso. Perché c'erano due parti separate di me che si ringhiavano l'una contro l'altra, l'una dicendo "fuggi il più lontano possibile" l'altra "distruggi la cosa, distruggila!".

Ovviamente, dovendo dare ascolto ad una parte di me, davo ascolto a quella che diceva di attaccare. Sono fatta così e non c'è niente da fare ...

Lasciai ricadere le braccia ai lati del corpo ed annusai deliberatamente l'aria, poi mi misi in cammino.

Forse arrivai un po' troppo in fretta, forse fu lui a trovarmi.

In qualunque caso mi rifiutai di avere paura.

Un'ombra nera, una cosa grossa e vaporosa, si mosse verso di me per il vicolo, quasi scivolando raso terra, con due specie di ali ai lati del corpo. Quando si fermò mi accorsi che le due ali erano in realtà parti di una lunga tunica di seta nera, vagamente brillante nel grigiore squallido del vicolo. Anche la sua pelle era quasi brillante, ma in modo malsano. Mi guardò e io lo guardai, senza poter fare a meno di sentire un odio profondo, se non altro rivolto al suo orrendo sorriso perverso.

Somigliava ad un uomo, ma solo come un cane può somigliare ad un lupo. Era alto e slanciato, con mani sottili, gambe lunghe avvolte in pantaloni aderenti, i muscoli in risalto nonostante la sua struttura fisica fosse sufficientemente magra. Mi si avvicinò con passo lento, nonostante avessi l'impressione che potesse muoversi con una velocità tale da risultare quasi impossibile da vedere, tale da scomparire in un battito di ciglia...

Il suo volto affilato non si muoveva, rimaneva come pietrificato a sorridermi senza sollevare troppo le labbra. Ma io vedevo i suoi denti, sapevo che possedeva canini affilati come rasoi, li scrutavo, bianchi nel nero dell'ombra di quelle labbra esangui. Era di una bellezza tale da essere disgustoso. Forse un essere umano lo avrebbe considerato bello, seducente, perfetto, perché somigliava ad una versione ancora più liscia dei modelli che posano per le pagine patinate dei giornali di moda. Ma tale perfezione non era che un inganno, una maschera che nascondeva la mostruosità del suo animo nero come la morte.

Fece un altro passo e i suoi capelli neri ondeggiarono. Erano lunghissimi, gli arrivavano oltre i fianchi in una cascata di inchiostro raccolta in una coda attraverso un fiocchetto viola di raso. La sua pelle risplendette di riflessi adamantini, i suoi occhi si fissarono su di me con tanta intensità che per un istante pensai che si potessero staccare e venire a colpirmi, a traforarmi.

Erano occhi rossi, scarlatti, come il sangue fresco e denso, ma erano morti. Come spiegarmi? Tutti voi avrete notato la differenza fra lo sguardo di un vivente da quello di un morto. Innanzitutto la fissità: gli occhi di un vivente non possono rimanere mai perfettamente immobili, se li guardi da vicino noti che hanno una serie di minuscoli, quasi impercettibili, scatti involontari. E poi il colore. Il colore degli occhi di un essere vivente, almeno fino a un certo punto, è abbastanza vivido da poter distinguere tutta la serie di venature che rendono ogni iride assolutamente unica. Ma i suoi occhi non erano così. Erano rossi e densi, senza alcun'altra sfumatura che non fosse un cerchio più chiaro intorno alla pupilla color fegato, come quella di un pesce albino.

Si slanciò verso di me, con una rapidità sorprendente e senza alcun preavviso, così tanto che parve il movimento di un personaggio sullo schermo di un videogame dopo che il videogame era stato messo in pausa per parecchi minuti. Mi spostai appena in tempo, buttandomi sulla sinistra, ed in quel momento i miei occhi incontrarono i suoi, così da vicino che sporgendomi appena un po' avrei potuto baciare il suo volto pallido. In quel brevissimo lasso di tempo notai, quasi con orrore, che c'era qualcosa che non andava anche nella forma delle sue pupille. O meglio nella dimensione... anche se adesso erano in una zona più luminosa non si restrinsero e quando sfrecciarono dietro di me, tornando nell'ombra, non si dilatarono come quelle di un essere umano. Era innaturale. E sentii che non avevo mai odiato così tanto una creatura come in quel momento.

Fu inalando il suo odore di polvere e di carne putrefatta che compresi veramente cosa fosse. E quanto fosse importante che io lo uccidessi, che lo carbonizzassi, che lo facessi a pezzi piccolissimi.

Mi sorpassò, il corpo abbassato e disposto in maniera tale da essere quasi parallelo al terreno, poi scoprì i denti e sibilò, ricordandomi in maniera impressionante una scena della mia infanzia in cui ero finita faccia a faccia con un grosso serpente nero.

Mi voltai per fronteggiarlo, stringendo i pugni. Il sangue mi pulsava nelle tempie in maniera tale da farmi male. Il vampiro si riportò in posizione orizzontale mostrandomi i denti, canini affilati, bianchi, solo un po' giallini al colletto. Le sue labbra esangui si mossero a formare parole di disprezzo

«Cagna».

La sua voce era così carezzevole da sembrare finta. Avevo sempre pensato che i vampiri disponessero di una voce roca e cavernosa, come grosse statue di pietra animate, e ci rimasi un po' male a dire il vero.

Lui scattò di nuovo verso di me e stavolta schivarlo era impossibile. Mi parai il petto con le braccia e lui impattò su di me con violenza. Non sentii alcun dolore, benché quel coso mi fosse balzato addosso con la velocità di un proiettile. I suoi denti si scoprirono ancora e brillarono... si, come diamanti sotto la luna. Ma dov'era la luna? Se ci fosse stata, io sarei stata invincibile. Ma non c'era nessuna luna a brillare su di noi, solo quei denti affilati, lunghi, così diversi da tutti gli altri denti che aveva nella sua bocca dal fiato che sapeva di marcio, di morto, di cose innominabili. In un mezzo istante rividi ciascuna delle carcasse che avevo mai guardato in tutta la mia vita, rividi gli occhi vitrei di tutti loro in visi congestionati, contratti, rabbiosamente terrorizzati, impotenti, induriti dalla morte. Era quello il volto del vampiro, se lo guardavi da vicino: non aveva niente di morbido, niente di dolce tranne l'odore, era un agglomerato liscio di pelle pallida con due buchi rossi che erano gli occhi ed una cavità oscura nella quale scintillavano denti brillanti.

Sapete, è strano se ci pensate, che le cose più belle sono le più facili a rovinarsi... da lontano, quand'era calmo, il vampiro sembrava bellissimo. In un volto umano, la bellezza non è che questione di millimetri, di un'armonia particolare fra naso, labbra, zigomi, taglio degli occhi e attaccatura dei capelli. In un vampiro, l'equilibrio è pressoché perfetto quando i suoi lineamenti sono distesi. Poi eccolo lì, ce lo hai davanti, basta che tende le labbra perché il sottile equilibrio fra i suoi lineamenti perfetti si incrini, rendendolo una creatura mostruosa, più brutta di qualunque altra cosa tu abbia mai visto.

Ringhiai e cercai di azzannarlo alla gola, seppure il suo odore marcio mi desse la nausea.

E all'improvviso smisi di sentire quell'odore, senza nessuna gradualità, che venne sostituito dal tenue profumo della pelle umana pulita. Non ero nella strada grigia e di fronte a me non c'era nessun vampiro.

Mi ritrovai protesa sulla scrivania, con metà delle carte che prima vi erano poggiate che adesso erano gettate per terra, e September con lo sguardo terrorizzato a mezzo centimetro dalla mia faccia. Sentivo il suo fiato sulle guance e sulle labbra, caldo, irregolare.

Sorridendo mi allontanai, cercando di scusarmi con lo sguardo e dimenticandomi per un istante di troppo che September non parlava il linguaggio degli animali.

Lui si sfregò le mani ritornando serio, ma ancora un pò stretto nelle spalle

«Ma che cosa diavolo volevi fare?» mi chiese, qualche nota isterica a punteggiare il suo accento un po' tedesco

«Niente» mi strinsi nelle spalle anch'io «Avevo dimenticato che fosse un'illusione. Sei bravo con questo giochetto... continuiam...»

«No! Le tue reazioni sono pericolose» sventolò un dito in aria, poi assunse un'aria stranamente saccente «Se tutti coloro i quali vengono sottoposti a questo trattamento fossero pericolosi come te, l'ipnosi diventerebbe senza dubbio un'attività estrema in cui quasi nessun ipnotizzatore vorrebbe cimentarsi, né?»

Civettuolo, come un ragazzino dell'alta società, inclinò la testa da un lato. Le sue labbra si sollevarono lentamente in sorriso morbido

«Non credo proprio» Disse, piano «Che potremo continuare con questo metodo, oppure quando arriveranno certi... momenti... potresti farmi del male».

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